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DI MARCO BAZZATO

Yasser Arafat è morto, si è spento in un ospedale militare francese, il vecchio guerriero che per quarant’anni ha guidato il popolo palestinese e negli ultimi anni era costretto nel bunker a Ramallah, ha dato il suo addio in silenzio, distante dai riflettori e morendo nell’umana malattia.
Il terrorista è divenuto statista ed ora il potere da lui detenuto in modo totalitario per anni, sarà diviso, e dovranno dar prova d’essere all’altezza “dell’Illustre predecessore”
Non è il caso in questo momento di innalzare monumenti o roghi inquisitoriali, sulla statura etica e politica dello statista scomparso, saranno gli storici, confidando nella loro obiettività, che dovranno dirci se quest’uomo deve essere annoverato fra i grandi per il suo popolo, o fra i terroristi che hanno fatto versare sangue innocente in varie parti del mondo.
Ci sono fatti storici e personali incontrovertibili sulla sua figura, e debbono essere ricordati.
In primo luogo la sua ultima moglie di religione cristiana, risulta un paradosso che un leader carismatico abbia avuto al suo fianco una donna d’una religione diversa dalla sua e non sia incorso proprio in medioriente, dove il radicalismo musulmano è forte, negli anatemi che colpiscono coloro che sposano una donna di religione diversa, ma solo ai “grandi” è concesso il diritto divino di violare le “regole religiose”.
Su una cosa si può concordare con il leader scomparso: la necessità di dare ai palestinesi la capitale ex aequo con gli ebrei, questo dovrebbe essere un imperativo, non per espropriare il popolo ebraico della Città Sacra, o per estromettere gli Israeliani dal controllo del loro territorio, ma perché dando capitale politica ad un futuro stato palestinese, si riunirebbe tramite un atto non solo religioso ma soprattutto politico di fortissimo coraggio Israele, rendendo onore a Gerusalemme quale capitale delle radici storiche delle tre grandi religioni monoteiste esistenti sul pianeta.
Avvallare questa necessità darebbe la possibilità di far capire che la coesistenza inter religiosa è possibile, estromettendo così quanti, in nome di qualsiasi integralismo e travisamento dei testi sacri, continuano a proporsi come messia salvifici in nome di Ein Sof, Dio, Allah scatenando guerre e vittime innocenti che da millenni dividono il mondo.
Ora il compito passa ai nuovi leader della dirigenza Palestinese, dare segnale di continuità dell’idea fin ora non realizzata di Yasser Arafat, augurandosi che riescano ad avere in parte lo spessore politico del defunto premier.
Volere ora la sepoltura di Arafat a Gerusalemme, sarebbe controproducente sul piano politico, ma se fosse portato avanti il processo di pace e stabilizzazione dell’area, l’idea non potrebbe apparire utopica.
È necessario lo sforzo anche della dirigenza Israeliana, che deve uscire dalla mentalità del fortino asserragliato, visto che allo stato attuale si sentono in diritto d’eludere anche ogni tribunale internazionale o risoluzioni dell’Onu, perché troppo spesso protetti dal Governo Americano, e l’ultimo esempio è la costruzione del Muro condannato da più parti.
Certo, il problema della sicurezza non si deve tralasciare, ma non si può avere la presunzione che ricostruendo un nuovo Muro di Berlino, si abbia la certezza assoluta dell’Invulnerabilità dei territori Israeliani, (ed in questi giorni si ricorda il 15° anno della caduta, ma con l’elevazione del muro Israeliano, si preferisce il silenzio per evitare paragoni imbarazzanti).
La morte dell’anziano leader può aprire spiragli inattesi, se si eviteranno in primo luogo le guerre intestine in seno al Parlamento palestinese, e se la dirigenza politica di Israele porrà un freno alle esecuzioni mirate e alle rappresaglie.
Il gesto di coraggio delle due dirigenze, dovrebbe essere l’unione delle forze migliori dei rispettivi governi per isolare da entrambe le parti gli estremismi religiosi che si annidano in seno, che sono i primi responsabili del sangue innocente.
Superare secoli d’incomprensioni reciproche è un’impresa che può apparire irrealizzabile, ma l’utopia è edificabile con il paziente lavoro umano e diplomatico di coloro che, indipendentemente dagli schieramenti politici e religiosi in medio oriente e nel mondo, hanno a cuore la pace e la stabilità d’una terra che è patrimonio universale di cultura e di Fede.

Marco Bazzato
Sofia, 11.11.2004
[email protected]
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