DI ANTONIO DE MARTINI
corrieredellacollera.com
Quando lo Stato Maggiore tedesco diede il via all’ “operazione Barbarossa” nel primo giorno d’estate del 1941, per quasi trenta giorni avanzò distruggendo in media due divisioni di fanteria e una brigata corazzata al giorno, si aprì la via di Mosca e quella del Caucaso: aveva conquistato l’Ucraina.
Mosca dista 460 km dal confine ucraino, territorio della pianura sarmatica, priva di ostacoli naturali cui poter appoggiare una difesa efficace.
L’occupazione dell’Ucraina da parte di una potenza straniera come la NATO o gli USA lascerebbe il fianco scoperto ai difensori del bastione montagnoso caucasico, che è il solo ostacolo naturale di cui disponga la Russia per difendere i suoi campi petroliferi e i giacimenti Kazaki.
Un assalitore che si impossessasse dell’Ucraina, e avesse la superiorità aerea, avrebbe alla sua mercé l’impero russo, potendo accerchiare l’esercito del sud, minacciando direttamente la Capitale e interrompendo le comunicazioni con San Pietroburgo e l’esercito del Nord.
Questi a un dipresso sono stati i ragionamenti utilizzati dagli americani per spingere i tedeschi – eternamente innamorati dei loro errori strategici – a molestare la Russia, incoraggiando gli ucraini a dimostrazioni progressivamente violente, pur sapendo che la U.E. non è pronta ad accettare né ad aiutare un’Ucraina che volesse aderire alla Unione Europea, comunque in calo di appeal.
Infatti l’accordo proposto a Yanucovich non era di adesione sic et simpliciter, ma di avvio di un iter ipotetico, lento e irto di codicilli come si sta facendo con la Turchia da 35 anni circa.
Di fronte alla riedizione del ben noto quadro strategico, i russi si sono innervositi e hanno spedito in Occidente (in Italia a Verona) l’ex competitor di Putin alla Presidenza, Glaziev, a spiegare che avrebbero combattuto pur di non consentire una tanto pericolosa penetrazione strategica.
Errore da matita rossa.
Capito che i russi avevano abboccato, gli occidentali hanno accelerato i processi di protesta e innescato la sceneggiata provocazione-repressione-reazione, ormai nota anche al più stupido dei questurini italiani.
L’infiammarsi della situazione è da manuale e rispecchia il crescendo repressivo che le allora inesperte autorità francesi applicarono agli studenti del maggio 1968.
Gli effetti di reazione sono gli stessi, sfruttati da gruppuscoli neo-nazisti in cerca di violenza e finalmente appoggiati da dichiarazioni della cancelliera Angela Merkel in difesa della libertà di pensiero.
La Germania non ha intenzione di scucire un euro, in realtà sta dando un contentino alle tre Repubbliche baltiche e alla Polonia, che vedono con interesse il possibile allontanarsi dell’orso russo dai loro confini ( resterebbe solo la Bielorussia).
Gli Stati Uniti vedono invece con favore l’ipotesi remota di una Russia che perda le basi navali di Sebastopoli e di Odessa, e dunque la possibilità di ogni suo sfociare nel mediterraneo. Perseguono in concreto, invece, l’ipotesi di arrecare un grave danno all’investimento fatto dai Russi per le Olimpiadi invernali di Sochi (oltre 40 miliardi di dollari) come sabotarono i giochi olimpici di Mosca nel 1980.
Insomma, fatto salvo il sabotaggio olimpico che ha una sua razionalità, per il resto siamo in piena visionaria, geopolitica anni Trenta.
Questo scenario, a onta del suo potenziale drammatico (le guerre spesso scoppiano per un elemento imponderabile), mi ricorda la scena del film “Amici miei” in cui Adolfo Celi, lungi di difendere il suo amore con la bella dispendiosa amante, la rifila a Gastone Moschin con tanto di bambini, bambinaia, cane gigantesco da mantenere….
Abbandonata a sé stessa, l’Ucraina scoprirebbe a sue spese che, mentre tutti vogliono cornificare la Russia, nessuno la vuole mantenere come invece si aspetta la costosa signora.
Nella realtà si creerà uno spirito di scissione, anche per ragioni culturali e religiose, che porterà – se tutto va bene – a una parcellizzazione territoriale solo in parte vantaggiosa per l’occidente, mentre la Crimea e i suoi porti strategici resteranno nell’orbita russa.
Antonio De Martini
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28.01.2014