GLI STATI UNITI SONO UNA SOCIETA’ VIOLENTA ?
DI CARLO GAMBESCIA
La storia del video-shock del marine che inventa (?) una strage, e poi la canta, accompagnandosi con la chitarra, tra gli applausi dei commilitoni, non può non suscitare almeno due domande: la società americana è una società “costitutivamente” violenta? E se sì, quali sono i rapporti tra violenza “costitutiva” ed espansione imperialistica Usa?
Proviamo a rispondere.
Soprattutto quando ci si riferisce ai popoli, è sempre pericoloso parlare di attitudini alla violenza collettiva, o addirittura di caratteri nazionali precostituiti. Come invece accadeva in certa letteratura pseudo-scientifica di fine Ottocento che divideva i popoli in superiori e inferiori, in “mansueti” e “feroci”, inventandosi presunte differenze antropologiche, che qui è inutile a ricordare. Va però ammesso che esistono delle costanti, come dire, sociologiche, che incarnano la storia, la tradizione e la cultura di ogni popolo. Sotto questo aspetto l’America è stata definita una società violenta e individualistica, quasi hobbesiana, perché sarebbe distinta da una costante guerra di tutti contro tutti. Che c’è di vero in queste affermazioni?La risposta è impegnativa. Cominciamo col dire che in effetti la storia degli Stati Uniti è segnata da quel mito della frontiera, che porta con sé la figura di un pioniere, abituato a farsi giustizia da sé e usare liberamente le armi. Dopo di che vanno ricordate le componenti bibliche: in particolare quella del popolo americano come il nuovo popolo eletto (bianco, protestante e di origine anglosassone). E ciò spiega l’atteggiamento di durezza verso i presunti popoli “inferiori” (nativi e minoranze), e illumina le ragioni culturali di una politica estera, divenuta nel tempo sempre più aggressiva.
A questi aspetti vanno poi aggiunti quelli più strettamente economici e sociali. In primo luogo, il primato attribuito all’economia, e in particolare a valori economici come il successo e il denaro. In secondo luogo, l’individualismo del pioniere, una volta coniugatosi, con quello economico, ha dato vita sul piano dei comportamenti collettivi a una società conflittuale e competitiva, o come si dice a somma zero: chi vince prende tutto, chi perde, magari per due volte di seguito, va a fondo.
Ovviamente, questi elementi, e in particolare i fili che li collegano, non vanno intesi in chiave di puri automatismi sociali e storici, nel senso dello stereotipo dell’americano eterno cowboy. Tuttavia questa miscela di individualismo aggressivo ed etnocentrismo, che rinvia al Far West, ai pionieri e a una certa lettura della Bibbia, ha prodotto non solo uno straordinario progresso economico (non condiviso però da tutti gli americani…) ma anche una società dura, a tratti spietata, e sul piano esterno, un imperialismo altrettanto privo di riguardi e spesso incontrollato.
A queste costanti sociologiche del “carattere” americano, che dunque esistono, vanno poi affiancati quelli che sono gli elementi “circostanziali”: le necessità dell’economia, la qualità e la sete di potere delle élite, il bisogno di trasferire, e quindi sopire i conflitti sociali, dall’interno all’esterno della nazione. Tutti elementi contingenti che di volta in volta possono frenare o accelerare l’aggressivo etnocentrismo individualistico di fondo.
Attualmente tutto sembra congiurare verso la crescita esponenziale dell’imperialismo incontrollato: dalla volontà di potenza chiaramente rivendicata dall’amministrazione Bush alla necessità di dare sfogo all‘economia, attraverso le classiche “commesse” militari. Naturalmente, giocano un ruolo decisivo, sia l’assenza di alternative politiche all’amministrazione repubblicana, sia la totale mancanza sul piano internazionale di un potere capace di controbilanciare quello Usa.
Ma quel che ripugna, e si tratta di un dato morale più che politico, è la scelta americana di ridurre ogni volta a danno collaterale, o “tragico incidente“, qualsiasi vittima causata dalla marcia trionfale dei “liberatori”, come ad esempio è accaduto per il nostro Calipari. Per non parlare poi delle migliaia di iracheni caduti sotto le bombe “intelligenti“. In tali frangenti gli americani, non fanno distinzioni, e trattano le vittime alla stessa stregua di quei perdenti che la società Usa emargina in modo sistematico: disoccupati, senza casa, poveri, minoranze riottose. Come una specie di prezzo, neanche troppo caro, da pagare al cammino del progresso.
Ma in che direzione?
Carlo Gambescia
Fonte: http://carlogambesciametapolitics.blogspot.com/
19.06.06