DI TONY STRAKA
La “Borsa Petrolifera Iraniana” (IOB) potrebbe diventare il catalizzatore per un cambiamento dell’attuale posizione dominante di cui gode il dollaro americano nei mercati internazionali? Le molteplici paure riguardo gli approvvigionamenti del petrolio hanno fatto schizzare il prezzo del greggio a 67,10 US$ al barile, appena al di sotto del massimo storico attualizzato all’inflazione degli ultimi anni. Oggi, il mondo si trova a pagare giornalmente per il petrolio un conto di 5,5 miliardi di dollari: è evidente che chi compra e vende oro nero sta esaminando attentamente ogni alternativa che possa portare a dei miglioramenti finanziari.
Fino ad ora chi opera con divise diverse dal dollaro si è sobbarcato costi supplementari nella compravendita del petrolio: la conversione delle monete locali può essere considerata una tassa nascosta di cui il settore bancario internazionale è ben contento. La IOB, eliminando il costo di questa transazione, diverrebbe un fattore primario per far crollare il dominio del dollaro. Dato che i grossi problemi causati dalle inadeguate infrastrutture per la raffinazione e il grosso calo della produzione (per esempio nel Mare del Nord) sono due fattori non eliminabili nel breve periodo, rimane un solo modo per far tornare il sorriso ai produttori e alla maggior parte dei loro acquirenti.
Gli importatori di petrolio sono intrappolati in una ragnatela di paure riguardo gli approvvigionamenti: il presidente Venezuelano Hugo Chavez ha minacciato di destinare il proprio greggio non più agli Stati Uniti ma alla Cina, la quale in questo periodo ha scarsità di gasolio e diesel. Gli attacchi ai pozzi iracheni hanno rallentato le esportazioni del paese mediorientale, mentre l’industria petrolifera ecuadoregna non si è ancora completamente ripresa da uno sciopero generale, problema che stanno cercando di evitare anche le compagnie nigeriane.
Fino ad oggi il petrolio è sempre stato quotato solamente in dollari, sia sui mercati di Londra che in quelli di New York. Ogni mese gli introiti a livello mondiale per la vendita del greggio superano i 110 milioni di dollari (sulla base di 20 giorni lavorativi), un terzo dei quali finisce nelle casse dei paesi membri dell’OPEC (Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio): cosa succede a questa montagna di denaro? Secondo i dati forniti recentemente dal Ministero del Tesoro americano, i paesi dell’OPEC hanno parcheggiato nelle proprie holding operanti in dollari la miseria di 120 milioni, equamente divisi tra capitale azionario e certificati di debito dello stato americano. E’ una chiara indicazione che i produttori di petrolio stanno investendo le loro fortune altrove; il fatto che i loro introiti siano investiti in maggior misura in certificati di debito europei piuttosto che americani è un altro indizio su dove potrebbero essere diretti i petroldollari.
Questo vale soprattutto per l’Iran, per il quale non ha senso accettare solo dollari in cambio della materia prima più desiderata, anche alla luce dell’ostilità dimostrata dall’attuale amministrazione USA in seguito all’intenzione iraniana di costruire dei reattori nucleari. I vertici iraniani hanno annunciato che il nuovo mercato regolamentato del petrolio partirà nel marzo 2006, e ci si chiede se non cercherà di attrarre altri compratori oltre a quelli statunitensi.
La proposta di creare un mercato petrolifero era stata annunciata per la prima volta nei piani di sviluppo iraniani per il 2000-2005; lo scorso luglio, Heydar Mostakhdemin-Hosseini, capo del consiglio di amministrazione della Borsa Valori Iraniana, ha dichiarato che le principali autorità governative sono d’accordo nell’istituire l’ Iranian Oil Bourse (IOB), dove saranno quotati prodotti petrolchimici e greggio. Quest’iniziativa potrebbe trasformare l’Iran nello snodo cruciale per la compravendita di petrolio nel Medioriente, e la maggior parte delle trattative si svolgerebbe via internet; gli esperti del London’s International Petroleum Exchange (IPE) e del New York Mercantile Exchange (NYMEX) hanno già confermato la fattibilità del progetto.
La futura IOB ha due frecce molto appuntite al proprio arco. Può, e probabilmente lo farà, attirare i compratori europei quotando il petrolio in euro, facendo così risparmiare i costi per le transazioni in dollari; l’Iran potrà inoltre siglare accordi con giganti assetati di petrolio come Cina e India per ottenere in cambio diversi prodotti e materie prime. A quel punto chissà se gli hamburger americani e i servizi legali offerti dagli Stati Uniti saranno considerati delle contropartite adeguate per la risorsa più desiderata al mondo???
Peggio di un attacco nucleare iraniano???
Sottraendo la materia prima onnipotente dall’influenza del dollaro, gli effetti sull’economia americana saranno più gravi di un attacco nucleare da parte dell’Iran. La costante domanda per il biglietto verde nasce dal fatto che quasi tutte le risorse del mondo sono quotate in questa divisa, situazione che ha portato negli anni ’70 alla creazione del mercato dell’ “eurodollaro” (conti in dollari aperti presso banche estere o filiali estere di banche americane); il nuovo tipo di contrattazione porterebbe quindi alla fine del dollaro come valuta di riserva.
Con l’economia mondiale così dipendente dal petrolio, lo stesso oro nero può essere visto come una valuta di riserva che in futuro verrà scambiata solo con le migliori contropartite possibili. La Federal Reserve Bank di San Francisco ha pubblicato lo scorso mese uno studio riguardo l’andamento della diversificazione delle riserve fatta dalle banche centrali di tutto il mondo; ebbene, la posizione del dollaro risulta essere in forte declino in molte nazioni. La Cina, il nuovo gigante dell’industria, ha ufficialmente dichiarato che convertirà parte delle proprie partecipazioni estere in petrolio, dotandosi di una strategica riserva, e infatti la costruzione di cisterne per l’immagazzinamento del greggio è iniziata già da quest’anno e durerà per parecchi anni ancora. Non si sa quanti barili di petrolio la Cina abbia intenzione di mettere da parte, quindi per capire le implicazioni che si avranno sul mercato internazionale bisognerà attendere il momento in cui deciderà di usare le future scorte per appianare i picchi del prezzo del greggio.
L’Iran ha un ruolo primario in questo settore essendo il 2° produttore di greggio dopo l’Arabia Saudita, e soddisfa il 5% della domanda di petrolio a livello globale. I politici iraniani sanno benissimo che i depositi in dollari dello stato potrebbero diventare un grosso problema qualora gli USA decidessero di passare dalle parole ai fatti per quanto riguarda eventuali sanzioni economiche, al fine di fermare la costruzione di centrali nucleari in Iran. Avere soldi in banca non aiuta se non puoi usarli. Se l’Iran riuscisse a sostituire parzialmente il proprio fabbisogno interno di petrolio con l’energia nucleare si troverebbe in una botte di ferro: avrebbe energia ad un costo più basso oltre che un aumento delle esportazioni di greggio (oggi l’Iran vende circa 2,5 milioni di barili al giorno), con conseguenti notevoli vantaggi finanziari.
Solo un protagonista ha molto da perdere se dovesse cambiare l’attuale situazione: gli Stati Uniti che, nonostante abbiano meno del 5% della popolazione mondiale, consumano circa un terzo della produzione globale di greggio. La possibilità di acquistare il petrolio in euro porterebbe grossi benefici a milioni di europei e ai loro partner commerciali, inoltre farebbe diminuire enormemente l’influenza USA sui paesi membri dell’OPEC. Se si pensa alla recente e rapida crescita delle ostilità tra Stati Uniti e paesi arabi, una rinuncia al dollaro sembra qualcosa di più di un sogno ad occhi aperti.
Siccome questi sviluppi mettono seriamente in pericolo sia la posizione dominante del Biglietto Verde sia gli interessi americani, è probabile che il “Presidente della Guerra” decida di mantenere la linea dura contro i venti di cambiamento che spirano dal Medioriente. Occorre ricordare che Saddam Hussein aveva intavolato delle caute trattative con l’Unione Europea per vendere il suo petrolio in cambio di euro; ciò accadeva nel 2002, e solo 12 mesi dopo scoppiò la prima Guerra del Petrolio di questo secolo.
La IOB potrebbe permettere all’Euro di diventare momentaneamente la principale valuta di riserva, prima che Cina e India salgano ai primi due posti dell’economia mondiale nei prossimi decenni. Un declino del dollaro nel mercato petrolifero potrebbe avere conseguenze anche in altri mercati di materie prime dove la divisa statunitense è l’unica utilizzata nonostante gli USA detengano solo piccole quote di mercato. Un economia globale dove è richiesta efficienza assoluta soprattutto alla luce dei sempre più esigui margini di profitto in ogni settore, è un ottimo propulsore per futuri cambiamenti nei mercati delle altre materie prime. Questo processo potrebbe cominciare con acciaio ed energia per poi allargarsi a tutte le altre risorse che hanno un mercato a livello globale.
Tutto il mondo, a parte gli Stati Uniti, ha molto da guadagnare.
Fonte:www.atimes.com/
Link:www.atimes.com/atimes/Global_Economy/GH26Dj01.html
26.08.05
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ANDREA GUSMEROLI