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DI CARLO BERTANI
carlobertani.blogspot.com

L’attacco alla Freedom Flotilla dello scorso 31 Maggio, è parso a molti come una boa senza ritorno, qualcosa che potrebbe scardinare gli attuali equilibri nell’area. Oppure che, passata l’indignazione, tutto rimarrà come prima.
Sinceramente, il mio sesto senso sta raccontando che la seconda ipotesi è la più plausibile, almeno per quel che riguarda gli aspetti esteriori, soprattutto per quelli di stampo militare. Un po’ diversa la situazione, invece, in ambito politico e, soprattutto, mediatico.

L’aspetto giuridico

Secondo la Conferenza di Ginevra del 1958, il limite nel quale uno Stato può esercitare il controllo sui natanti che vi transitano è di 12 miglia nautiche, circa 23 Km. Chi esercita la giurisdizione sulla nave?

Il principio generale è che ogni nave è sottoposta esclusivamente al potere dello Stato di cui ha nazionalità: lo Stato di bandiera o Stato nazionale ha diritto all’esercizio esclusivo del potere di governo sulla comunità navale e esercita siffatto potere attraverso il comandante (considerato come organo dello Stato).

La successiva Conferenza di Montago Bay (1982) introdusse il concetto di mare territoriale (sempre 12 miglia), estendendo però il limite a 24 miglia (46 Km circa) – in quella che è definita zona contigua al mare territoriale, calcolato dalla linea dei capi, ossia dai segmenti che uniscono i capi della costa – ma solo per le seguenti attività:

a) prevenire la violazione delle proprie leggi di polizia doganale, fiscale, sanitaria e di immigrazione;
b) reprimere le violazioni alle stesse leggi, qualora siano commesse sul suo territorio o nel suo mare territoriale.

Quali sono i casi nei quali una Marina può intervenire?

1) Acque internazionali. La nave pirata può essere catturata da qualsiasi Stato e sottoposta a misure repressive. Lo Stato nel cui territorio è in corso una guerra civile può visitare e catturare qualsiasi nave che si proponga di recare aiuto (in armi o armati) agli insorti;
2) Zona economica esclusiva. Lo Stato costiero può visitare e catturare navi e relativo carico per infrazioni alle proprie leggi sulla pesca o allo sfruttamento delle risorse sottomarine;
3) Mare territoriale. Rilevano i principi già analizzati del diritto di passaggio inoffensivo e della sottrazione alla giurisdizione penale dello Stato costiero dei fatti puramente interni alla nave.

Precisiamo che il conflitto arabo-israeliano non può rientrare nella casistica delle guerre civili, giacché i palestinesi non sono cittadini israeliani.
La materia è assai complessa (non tutti gli Stati hanno recepito in pieno i contenuti della Conferenza di Montago Bay), perciò consigliamo chi desiderasse approfondire l’argomento di visitare il collegamento in nota [1], dal quale è stato tratto il testo in corsivo.

Secondo le cronache inviate dai partecipanti alla missione della Freedom Flotilla [2], “L’attacco è avvenuto in acque internazionali, a 75 miglia al largo della costa di Israele, in violazione del diritto internazionale”. Le fonti israeliane non hanno smentito, ossia non hanno affermato che le navi stessero attraversando aree sottoposte alla Conferenza di Ginevra del 1958 né altre aree che consentissero ad Israele qualsivoglia diritto ad intervenire per un’ispezione.

Siccome le navi della Freedom Flotilla battevano regolarmente la bandiera dei relativi Stati, il comportamento israeliano può essere circoscritto a tre eventi:

1) atto di pirateria;
2) guerra di corsa;
3) atto di guerra nei confronti dei Paesi di provenienza (bandiera) del naviglio in oggetto.

I casi 1 e 2 non possono essere presi in considerazione, giacché le navi assalitrici (israeliane) non battevano bandiera pirata e nemmeno possedevano una patente di corsa, consegnata loro dal relativo governo, nei confronti delle navi assalite.
Siccome le navi della Freedom Flotilla non avevano atteggiamento ostile, né avevano commesso atti di guerra nei confronti di chicchessia e neppure avevano attentato all’ecosistema marittimo, violando le norme relative alla conservazione degli ambienti marini la Marina Israeliana – ai sensi della normativa internazionale – ha commesso un atto di guerra nei confronti della Turchia, della Grecia e d’eventuali altre navi battenti altre bandiere.
Ai sensi della normativa internazionale, le nazioni assalite potrebbero rispondere con atti di guerra nei confronti dello Stato di Israele senza, per questo, essere accusate d’iniziare una guerra: l’atto israeliano consentirebbe loro la semplice difesa.

L’aspetto mediatico

L’assalto alla Freedom Flotilla è stata una sconfitta mediatica come mai se n’erano viste per l’apparato d’informazione israeliano: disinformativo o controinformativo che lo si voglia definire.
Interessante notare come una serie di personaggi, da Levy a Grossmann, fino al nostrano Lerner si siano smarcati da una difesa che non aveva più basi per reggere.
Rimangono sulla barricata le Nirenstein, ma questo è ovvio: se la suddivisione dell’intelligenza – per dirla con Cipolla – è una costante nella popolazione degli umani, il buon senso – per dirla con Cartesio – non fu distribuito da Dio in gran copia.
Diventa, quindi, interessante notare i “distinguo” dei commentatori “prudenti” – i quali hanno compreso che la falla fa acqua e non può essere tappata – dai pasdaran che tirano dritto come niente fosse.
Questi ultimi sono giunti al ridicolo.

Presentano bancarelle [3] multicolori dove, a Gaza, abbondano verdure d’ogni tipo: nessuno di noi, ovviamente, ha letto le statistiche di fonte ONU [4] nelle quali sono esposte le drammatiche condizioni di vita dei palestinesi nella striscia di Gaza, derivanti soprattutto dall’illegale embargo israeliano.
Costoro, in definitiva, offendono la nostra intelligenza: sarebbe come fotografare la vetrina di un autosalone zeppo di Jaguar, Bentley e Rolls-Royce a Roma e poi affermare che tutti gli italiani sono dei Paperoni.
Ehi, capataz pelato, fratello dell’editore “ammazzateli tutti”, non ti ho fornito una bella idea? Pensaci.

Poi, ci sono le disinformazioni più “tecniche” [5], dove vi fanno ascoltare l’accorato richiamo via radio di un ufficiale israeliano – a bordo della nave che poi assalirà la Freedom Flotilla – il quale pretende (ma insomma, questi pacifisti non vogliono proprio collaborare!) che le navi lo seguano in un porto israeliano. Dimenticando che, in acque internazionali, la richiesta si configura praticamente come guerra di corsa.
Noi, che ci siamo dilettati nel cercare di capire le stranezze di certi eventi storici – da Pearl Harbour ad Ustica, dal Tonchino all’11 Settembre – siamo stati tutti, ovviamente, completamente convinti dalle accorate richieste dell’ufficiale israeliano. Che, raccontano, era proprio in contatto radio con la Freedom Flotilla! Per quel che riguarda l’onere della prova, quel tizio poteva essere in uno studio televisivo a Tel Aviv e poteva parlare con il regista di là di un pannello di polistirolo.
La realtà, però, ha tagliato loro le ali.

Hanno dovuto ammettere che l’assalto è avvenuto in acque internazionali, mettendo in soffitta vecchi tentativi di ampliamento “unilaterale” delle acque territoriali: anche noi italiani potremmo ampliare unilateralmente, ad esempio, le nostre acque territoriali ad Ovest di 200 miglia. Bisognerebbe, però, sapere come la prenderebbero alla base militare francese di Tolone.
Perciò, l’informazione israeliana meno “de no antri” ha scelto l’altra strada: salvare l’icona di Shalit e dei terrificanti missili di Hamas, gettando a mare (sic!) la marina di Tzahal, l’insipienza di Barak e la sfingea inconcludenza di Netanyahu.
Ma, quella che appare come una semplice scelta redazionale, nasconde in realtà due diverse impostazioni politiche per il futuro.
Qual era il vero obiettivo?

L’aspetto politico

Il vero obiettivo dell’azione militare condotta il 31 Maggio 2010 (anniversario della battaglia dello Jutland!) era la Turchia, ma non sul piano geopolitico (ossia intesa nella sua interezza): l’esito atteso era quello di far saltare gli equilibri interni turchi.
Per capirlo, dobbiamo fare un passo indietro.

Per riuscire a traghettare l’Impero
Ottomano verso la moderna Turchia, Mustafà Kemal (detto Ataturk) dovette cedere l’arbitrato del suo impianto costituzionale alla casta militare. In altre parole, dal 1923 in poi, furono i militari a reggere – in pratica – il timone della politica turca.
Una reggenza a volte discreta, altre pesante, come dimostrano i colpi di stato del 1960, 1971 e 1980, ma non è probabilmente coerente chiamare “colpi di stato” le ingerenze dei militari nella vita politica turca, giacché quel diritto – che può essere inteso come una sorta di “veto” quando essi ritengano che la politica turca si discosti troppo dai loro piani – fu riconosciuto proprio da Ataturk. Al punto che la tribuna centrale del parlamento turco era riservata proprio ai militari: osservatori silenti (ma non troppo) di tutte le vicende legislative della Turchia moderna.

Ovvio che questo impianto non potrebbe mai essere accettato all’interno dell’Unione Europea – come non potrebbe mai essere accettato uno Stato come Israele, addirittura privo di una Costituzione – ed il compito del partito islamico moderato dei Gul e degli Erdogan è proprio questo: riportare l’esercito all’interno dei confini “naturali” stabiliti da tempo in Europa.
Chi, in Turchia, aveva solidi rapporti con Israele?
Il perno della “strana alleanza”, fra il più popoloso paese musulmano del Mediterraneo e la “controparte” ebraica, ruota (anzi, oramai potremmo dire “ruotava”) proprio sulle collaborazioni in campo militare, le manovre congiunte, ecc. In pratica, con questa impostazione forse un po’ bislacca ma in qualche modo funzionale, Israele manteneva un piede nella staffa NATO, poiché la Turchia è da sempre il “baluardo” ad Est dell’Alleanza Atlantica.

La nuova politica di Erdogan – si veda, come prodromo della situazione di questi giorni, il mio “Solimano guarda verso Est [6] – mette ovviamente in crisi i rapporti fra la casta militare ed Israele indebolendo, contemporaneamente, i militari all’interno e l’alleanza sul piano internazionale.
In fin dei conti, potremmo quasi affermare che l’attacco alle navi della Freedom Flotilla sia stato una “scialuppa di salvataggio” lanciata ai militari turchi, per compiere quel “quarto colpo di stato” che avrebbe riportato la politica turca su un binario più gradito a Tel Aviv. Difatti, Erdogan torna precipitosamente in Turchia dall’America del Sud (dov’era in visita) e s’affretta a cavalcare politicamente uno sfrenato antisionismo, unica sua “assicurazione” contro le mire dei militari. I quali, osservando che la popolazione è schierata all’unisono con il partito islamico, si trovano depotenziati ad agire.

E, questo, corrisponde in pieno con le due “anime” dell’informazione israeliana: quella rozza, che considerava un gioco da ragazzi scatenare la reazione interna dei militari turchi, e che oggi continua ad affossare Israele sul piano internazionale. La quale, però – contemporaneamente – riesce a “parlare” a quella parte del sionismo estremo a fini interni israeliani: giustificando l’ingiustificabile, continua a legare al carro del Likud i partiti estremisti dell’ortodossia ebraica.
Se, invece, preferite un approccio meno legato ad Ezechiele e desiderate fare un po’ di Kippur per le vittime innocenti, è pronta l’altra campana – Grossmann, Levy, Lerner, ecc – i quali (essendo più intelligenti della focosa Nirenstein) hanno subito compreso che l’operazione era miseramente fallita e tentano – con una buona dose di cenere fra i capelli – di salvare almeno il salvabile, ossia che Hamas è un’organizzazione terrorista, la quale governa “illegalmente” Gaza (ma non aveva vinto le elezioni?), i terrificanti razzi palestinesi, il soldato Shalit, ecc. Leggete i loro articoli: grondano pentimento e salvatio, salvezza per quel poco che tentano di salvare.

A questi signori, imbellettati di tanto ardore democratico, poniamo una domanda che può apparire tecnica, mentre è invece profondamente politica.
Perché mai, le navi israeliane – se desideravano mantenere il blocco di Gaza – non hanno fermato il convoglio appena fosse entrato nelle acque territoriali (sedicenti) israeliane – 23 km da terra, mica sulla spiaggia – per chiedere, con tutti i crismi della legalità internazionale marittima, un’ispezione?
Vista l’ora dell’attacco e la rotta del convoglio, le navi della Freedom Flotilla avrebbero varcato la soglia delle 12 miglia nautiche all’alba: cosa ben diversa rispetto alla notte, come chiunque abbia navigato ben sa. La notte, in mare, ogni tappo di sughero si trasforma nell’Olandese Volante.
Se l’avessero fatto, nessuno avrebbe messo in dubbio il diritto israeliano d’ispezione: alla luce del sole in tutti i sensi, temporale e giuridico.
Invece?

Invece, si scende dalle funi con gli elicotteri in hovering sopra delle navi mercantili, dove la gente sta dormendo – durante “l’ora del lupo”, fra le 3 e le 4 di notte – per poi poter dire che ci sono state reazioni violente, ma le uniche dichiarazioni delle prime ore sono quelle israeliane. Quelle di una forza navale che sequestra ed imprigiona senza motivo centinaia di persone di svariate nazionalità!
Spieghino, gli illustri giornalisti di nazionalità israeliana o di provata “amicizia” per lo Stato d’Israele, le motivazioni di quella scelta, che è incomprensibile proprio alla luce del diritto marittimo e del buon senso: a meno che – come sopra ricordavamo – i “destinatari” di tanto clamore fossero pochi personaggi con molte stellette sulle uniformi, che attendevano un centinaio di miglia a Nord, con i piedi ben piantati sulla terraferma. I quali, hanno glissato. Qui, si apre l’altro scenario, quello militare.

L’aspetto militare

Israele ha smarrito l’icona di terrifica potenza militare nella campagna libanese del 2006, e non l’ha più ritrovata. Si limitano a bombardare ed a vessare la popolazione civile di Gaza, ma finiscono per mostrare al mondo la loro deprimente impotenza.
Perché affermiamo ciò?
Poiché se, nel 2006, Israele fosse stato la potenza militare tanto osannata, le colonne corazzate di Tzahal avrebbero dovuto innestare la marcia in Galilea e frenare nel centro dei Beirut. In realtà, non giunsero nemmeno a varcare il Litani, lasciando sul campo circa il 10% dei mezzi corazzati.
A cosa fu dovuta quella sconfitta?

Al deprimente pressappochismo dei suoi generali ed ai mezzi tecnici del nemico.
I carri israeliani furono fermati da un nuovo tipo di lanciarazzi russo a doppia carica: il primo razzo provocava lo scoppio della corazza reattiva [7], mentre il secondo penetrava il carro. Successivamente, ci furono le proteste israeliane a Mosca, ma i russi risposero con il classico “pippa”.
Ancor più significativo fu il danneggiamento o l’affondamento (ha scarsa importanza) d’alcune unità navali israeliane, ad opera dei missili antinave lanciati da Hezbollah. Qui, è necessario un approfondimento.

Un missile non colpisce per traiettoria balistica (a differenza di un razzo), bensì perché l’elettronica di cui dispone – in volo od a terra – gli consente di “trovare” da solo il bersaglio. Ovviamente, la nave tenterà di confondere il missile inviando falsi segnali ed “oscurando” la propria posizione: in gergo tecnico, queste operazioni si chiamano ECM od ECCM, ossia contromisure elettroniche e contro-contromisure elettroniche.
Come probabilmente avrete capito, si tratta di una partita a scacchi elettronica, nella quale ciascuno dei due contendenti cerca di confondere l’avversario: potete aggiungere tutti i “contro” che desiderate.

I missili giunti sui bersagli, però, testimoniarono che l’elettronica di Hezbollah (di provenienza siriana, quindi iraniana, in definitiva software indiano o russo) ebbe la meglio su quella isra
eliana, di provenienza USA. Ciò allarmò, e parecchio, le alte sfere militari, di qua e di là dell’Oceano Atlantico. Mesi dopo fu programmata ed eseguita una ricognizione armata sul territorio siriano, molto probabilmente per “catturare” segnali elettronici, più che per colpire chicchessia.
Dal 2006 – nonostante le roboanti minacce all’Iran – Tzahal se n’è stato ben compreso nei suoi confini: al più, esercitano una sorta di “caccia alla volpe” sui civili palestinesi, ad esclusivo uso della propaganda interna.
Perché Israele non ha deciso – quando ancora era in carica Bush – di bombardare i siti nucleari iraniani?

Semplicemente, perché non era e non è in grado di farlo.
In tutti i casi, gli F-15 con la stella di David dovrebbero inoltrarsi per centinaia di chilometri sul territorio o sul mare nemico, e non sono in grado di farlo. Troppo rischioso, perché l’Iran non è certo Hamas. Troppo lontano, per non rischiare fiaschi ancora peggiori. Troppo pericoloso anche per scatenare Armagheddon, giacché all’attacco nucleare israeliano – i quali, ritengo, non avrebbero remore ad attuarlo – subirebbe il contrattacco con testate biologiche dall’Iran, mentre i missili Iskander siriani “ombreggiano” già oggi i siti nucleari israeliani, compresa la centrale di Dimona.
La vecchia definizione di “tigre di carta” – in fin dei conti – ben s’adatta: ciò non ha condotto certo i militari turchi a lanciarsi nella carica. Più probabilmente, li ha consigliati di ringuainare le sciabole.

Conclusioni

Quello che sta avvenendo, è soltanto la disperata ritorsione di un imperialista mancato, il quale osserva passare il tempo e, con esso, vede ogni giorno scemare le possibilità di raggiungere i suoi obiettivi di potenza, la Eretz Israel tanto agognata.
Lo stesso Olmert giunse a dire, nel Settembre del 2008, che:

“Grande Israele è finita. Essa non esiste. Chi parla in questo modo si auto-illude.” [8]

Purtroppo, dalle le treccine nere che spuntano dalle tese dei cappelli a Gerusalemme – fino alle treccine rosse di qualche giornalista nostrana – pare che la sordità stia dilagando. Consiglieremmo un buon otorinolaringoiatra: prima che sia troppo tardi e che la sordità, inesorabilmente, avanzi.

Carlo Bertani
Fonte: http://carlobertani.blogspot.com/
Link: http://carlobertani.blogspot.com/2010/06/tutto-puo-succedere-o-niente.html
1.06.2010

[1] Fonte: http://www.studiamo.it/dispense/diritto-internazionale-marittimo.html
[2] Fonte: www.repubblica.it
[3] Vedi: www.informazionecorretta.com
[4] Vedi: www.asianews.it
[5] Vedi: http://www.informazionecorretta.com/
[6] Vedi: http://carlobertani.blogspot.com/2010/04/solimano-guarda-verso-est.html
[7] Vedi: http://it.wikipedia.org/wiki/Corazza_reattiva
[8] Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Grande_Israele

Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte

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