DI ROSANNA SPADINI
comedonchisciotte.org
Vladimiro ed Estragone stanno aspettando su di una strada desolata un certo “Signor Godot”. La scena è completamente spoglia, solo un albero sullo sfondo che perde le foglie e poi rinasce, rimarcando così l’impercettibile trascorrere del tempo. Ma Godot non appare mai sulla scena, e non si sa nulla sul suo conto. Egli si limita soltanto ad inviare un messaggero dai due vagabondi, il quale dirà loro che Godot “oggi non verrà, ma verrà domani”.
Come in una perfetta tragedia dell’assurdo, noi aspettiamo Godot ma lui sembra non arrivare mai … ancora nessun accordo infatti nella trattativa tra Grecia e creditori, con la prospettiva di un default che si fa sempre più vicina. Sembra un vero scenario da incubo, però secondo quello che dice un’infografica di Bloomberg, finora il numero più alto di default lo avrebbe registrato proprio la Germania, che nel corso della sua storia pare ne abbia subiti addirittura sette come l’Austria, contro gli otto della Spagna, i sei del Portogallo e i soli cinque della Grecia. Scopriamo dunque che la Germania, paladina dell’ordine di bilancio, ha dichiarato default più volte della Grecia. Forse l’analisi di Bloomberg è sensazionalistica e certo il fallimento ha assunto significati diversi attraverso i tempi, però la Germania ha sicuramente dichiarato default nel 1932, nel 1939 e nel 1948.
Nel bel mezzo della Grande Depressione poi, la crisi economica costrinse addirittura molti Stati europei occidentali a dichiarare fallimento: smisero di pagare i debiti verso gli USA anche il Regno Unito e la Francia. Quando nel 1932, alla Conferenza di Losanna il Regno Unito e la Francia azzerarono quasi il debito di guerra tedesco, si trovarono però per questo in difficoltà a pagare le pendenze con Washington. Fu, insomma, un fallimento volontario a catena: la Germania non pagò Francia e Regno Unito e queste ultime fecero altrettanto con gli USA.
Oggi, nella paranoia istituzionale dell’Eurozona, si stanno avviando altre dannose strategie economiche, che condizioneranno molto la vita dei sudditi europei, come ad esempio Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partnership), ma sembra che i media le vogliano ignorare, puntando i riflettori solo sulla Grecia, affare mediaticamente molto più attraente, data la situazione di stallo prolungato dei negoziati e l’urgenza non priva di suspense. Come finirà la partita a scacchi? Alfieri e cavalli avanzano minacciosi per il definitivo scacco all’Impero regnante.
Se poi la Grecia non pagasse la rata al Fmi il 30 giugno, non si attiverebbe necessariamente il default, nulla vieta infatti che scattato il termine dell’ultimatum si continui a discutere. Anche l’uscita della Grecia dall’euro non sarebbe affatto né immediata né scontata e probabilmente ci sarebbero 30 giorni di interregno, durante i quali il Fmi invierebbe la sua lettera di riscossione dei debiti. E anche se i trattati prevedono l’irreversibilità unilaterale dell’euro, non vuol dire che la Grecia non potrebbe uscirne, per poi attivare i negoziati preannunciati con Putin. Infatti è proprio questo che spaventa in modo particolare gli Usa, i quali, costretti dalla crisi del petrodollaro a non lasciarsi scappare nessuna pedina della scacchiera, premono notevolmente per un rapido accordo.
Questo gli scacchisti greci l’hanno capito e Tsipras si è mostrato un abile giocatore di scacchi. Posto dinanzi all’alternativa drammatica tra rifiutare l’ultima proposta dei creditori internazionali e sottoscriverla, affrontando una bufera nel partito e nel governo, Alexis ha fatto la sua mossa. Dopo l’inconcludente negoziato a Bruxelles di sabato con i partner europei, la Bce e il Fmi, il premier greco ha abbandonato il tavolo e ha annunciato un referendum per il 5 luglio. La domanda delle cento pistole non sarà sulla permanenza dell’euro (perché probabilmente resterebbe inevasa), ma sull’accettazione dell’ultimo piano proposto dai creditori.
Da Bloomberg riceviamo il primo testo di referendum greco , non ancora completo, che dovrebbe proporre quanto segue: “Il popolo greco è qui chiamato a decidere se deve accettare una bozza di accordo proposto dalla Commissione Europea, dalla BCE e dal FMI , all’Eurogroup che si è tenuto il 25 Giugno e che consiste di due documenti: il primo documento chiamato Riforme per il completamento del programma corrente ed oltre, ed il secondo chiamato Analisi preliminare di sostenibilità del debito.
I cittadini che desiderano rifiutare l’accordo delle istituzioni votino Non approvato /NO
I cittadini che accettano l’accordo delle istituzioni votino Approvato/SI”
Tsipras, ormai con le spalle al muro, di fronte a questo “golpe al rallentatore”, compie la mossa astuta del referendum, ma il rischio è calcolato, perché è ormai scontato che la Grecia non sarà in grado di pagare 1,6 miliardi di euro al Fmi il prossimo 30 di giugno, però il fatto in sé non innescherà necessariamente un evento di default, perché più insidiosa ancora è la scadenza di metà luglio con la Bce: se la Grecia non dovesse onorare il debito, l’istituto di Francoforte avrebbe sostanzialmente l’obbligo di interrompere la liquidità di emergenza e di provocare in Grecia una crisi bancaria del tipo già visto a Cipro e prima ancora in Islanda ed in Argentina.
Il clima potrebbe a quel punto ulteriormente surriscaldarsi, gli avversari interni al partito e le opposizioni potrebbero portare un attacco concentrico al premier tale da rovesciare il governo e provocare nuove elezioni. Qualcuno in Europa sembra contare proprio su questo, auspicando nei fatti un “regime change” ad Atene, questo è ciò che decodifica la tranquillità dei mercati, che sembrano pregustare un possibile scenario di riserva, il piano B.
Del resto l’Europa è il più fedele alleato degli Stati Uniti, e Washington non vuole perderne nemmeno un pezzetto, nemmeno la piccola Grecia. Se infatti la Grecia dovesse lasciare l’euro e avesse necessità di prendere in prestito una valuta forte per sostenere la propria bilancia dei pagamenti, otterrebbe aiuti dalla Russia e forse anche dalla Cina, potrebbe lasciare addirittura la NATO, potrebbe partecipare al progetto del gasdotto della Russia, il che evocherebbe uno scenario intollerabile per le élites atlantiche.
L’ultima proposta, emersa al Consiglio europeo pareva piuttosto allettante, conteneva una novità indiscutibile: un piano da 15,5 miliardi esteso a fine novembre (dunque oltre il doppio rispetto ai 7,2 miliardi che erano l’oggetto del negoziato sinora), di cui dodici miliardi sborsati dagli europei e 3,5 miliardi dal Fmi, in cambio di misure di contenimento dei conti pubblici e riforme, a dimostrazione che l’Europa usurocratica cerca assolutamente di non farsi sfuggire una pedina del puzzle, che anche se di modesta valenza economica (la Grecia vale circa il 2% del Pil europeo), sembra essere particolarmente preziosa dal punto di vista geopolitico.
La mossa del referendum consente comunque a Tsipras di trasformare i rischi in un potenziale vantaggio, abile e obbligata anche la scelta della data: il 5 luglio, dopo la scadenza del 30 con l’Fmi ma prima delle scadenze con la Bce. È un messaggio politico forte ai creditori europei e, comunque vada, riapre per Tsipras scenari politicamente gestibili. Se i greci voteranno SI’ il premier potrà tacitare l’opposizione interna ed eviterà un insidiosissimo passaggio parlamentare sulle analisi specifiche della proposta dei creditori, registrando un successo politico. Se i greci voteranno NO la sua forza negoziale nei confronti delle istituzioni creditrici aumenterà, e gli consentirà di contrattare da posizioni più sicure quanto l’Eurogroup è pronto ancora a concedere per non rompere l’indissolubilità della zona euro.
Ma i gabellieri dell’Impero sono subito accorsi sui vari network nazionali per rassicurare l’opinione pubblica, sforzandosi con mille proclami di convincerla che l’unica salvezza consiste nella permanenza nell’Eurozona: il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Djessembloem afferma con enfasi che l’Eurogruppo si è sempre mostrato disponibile all’accordo, invece il governo greco ha abbandonato la trattativa (sic); il ministro dell’economia italiano Padoan si è affrettato a dichiarare che la Grecia non è uscita dall’euro, che non sarà eventualmente l’Europa a far fallire la Grecia, ma è stato il suo governo a fare scelte inadeguate (strizza?); il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble dice che l’Europa farà di tutto per salvare Atene (doppio sic); Pierre Moscovici, commissario europeo agli Affari economici, dichiara che il default della Grecia sarebbe una catastrofe e che comunque l’Europa continua ad esistere e ha 19 membri.
Insomma, comunque vadano le cose Tsipras ha vinto moralmente, ha giocato sullo scacchiere d’Europa attraverso mosse astute e intelligenti, muovendosi tra mille insidie, dicendo di voler restare nell’euro e invece operando per uscirne, presenziando trattative sia con l’UE che con Putin, esaltando l’Europa dei popoli, ma criticando aspramente il potere finanziario che la governa attraverso l’usura fatta a sistema, mostrando ai cittadini europei la loro nuova dimensione di sudditi, in un contesto socio economico dominato da una classe privilegiata di oligarchi che hanno il potere di creare, mediante erogazione di prestiti a interesse, tutti i mezzi monetari di cui necessita il resto della società, divenendo di conseguenza sua creditrice strutturale.
Nel “Monopoli globalizzato”, mentre la politica sembrava finita, e nel resto d’Europa i partiti si sono ridotti a gabellieri delle élites finanziarie, un giovane governo di un piccolo stato ha avuto l’ardire di rifiutare le proposte dei padroni del vapore, richiedendo la partecipazione popolare alla drastica risoluzione di “uscire dall’euro”, che forse non tutti i greci possono avere capito, ma può rappresentare l’unica loro possibilità di sopravvivenza e di rinascita economica e sociale. L’Europa non potrà più essere quella di prima.
Onore a Tsipras e a Varoufakis, che con la mossa dell’alfiere e del cavallo hanno determinato un rischiosissimo scacco all’Impero …
Rosanna Spadini
Fonte: www.comedonchisciotte.org
29.06.2015