DI DEBORA BILLI
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Davvero non c’è speranza alcuna di rivoluzione, almeno finché non avremo la pancia vuota? Brutte notizie: poche speranze, anche in quel caso
Gli scenari sul crash prossimo venturo escono dai blog di nicchia e diventano argomento di conversazione sul tram e al bar. Affermazioni come “Zapperemo tutti la terra” e “Vado stare in campagna finché sono in tempo” non sono più appannaggio di cassandre internettiane e pronosticatori di cambiamenti climatici, picchi del petrolio, guerre atomiche e profezie Maya. Le sento dalle mamme a scuola, dagli impiegati, dai negozianti, e vivo una sensazione di straniamento: come se improvvisamente tutto il mondo fosse saltato nel mio, di mondo. Prendo le distanze: ehi mica ci avrete creduto davvero, io scherzavo, cos’è questo catastrofismo, un po’ di ottimismo che diamine.
Serpeggiano voglie di ribellione, da parte dei medesimi soggetti. Quante volte, negli ultimi tempi, ho sentito insospettabili padri di famiglia vaneggiare di Brigate Rosse, bombe, corda e sapone, o lettere minatorie. Sembrano caduti all’improvviso tutti i tabu della classe media. Ma la conclusione è sempre la stessa: con un sospiro si sentenzia che il popolo non si ribellerà mai. Perché? Perché “stiamo ancora troppo bene, il pane non manca”.
Questa storia mi convince poco. Mi sembra un’altra di quelle frasi fatte, senza fondamento. Ho dimenticato degli studi di storia molto più di quanto ricordi, ma mi pare che gli ultimi millenni non siano esattamente costellati di rivoluzioni proletarie. Nel Medioevo la popolazione stava da schifo, eppure non cane ha alzato la testa. Il pane mancava davvero, e non solo quello. Durante l’Impero Romano gli schiavi avevano proprio poco di cui rallegrarsi, ma l’unico ad aver avuto da ridire è stato Spartaco e ancora se ne parla. Schiavismo e fame hanno regnato indisturbati per secoli, il vero ritratto del vivere umano, insieme a gabellieri, scherani e altri sopraffattori. In Irlanda, alla fine dell’800 sono morte di fame 4 milioni di persone ma nessun potente è finito impiccato al palo più alto.
Allora cosa ci ha condotto a ritenere convintamente che non appena prova un languorino allo stomaco, il popolo corre a rovesciare i tiranni che lo affamano? A me pare una bella favola novecentesca, forse un mito legato alle grandi rivoluzioni socialiste, alle falci e martelli, a quell’unica narrazione che ha alimentato i sogni di milioni di affamati trasformandosi in immarscescibile speranza di riscatto. Contro ogni logica, peraltro, anche perché la fame porta spesso all’ignoranza e si sa, l’ignorante subisce e non sa reagire. Al massimo, assistiamo a qualche fiammata locale subito repressa nel sangue o nella riprovazione della stampa tutta.
Così,è lecito concludere che la pancia piena non si ribella, e la pancia vuota neppure. Restano i sogni, e resta il rimandare la sete di giustizia ad un domani che però non verrà.
E non ditemi che ci ricasco, col catastrofismo, perché ormai siete diventati peggio di me.
Debora Billi
Fonte: http://crisis.blogosfere.it
Link: http://crisis.blogosfere.it/2011/12/troppo-benestanti-per-ribellarci.html
19.12.2011