''TRATTARE CON I RIBELLI E ANDAR VIA COME IN VIETNAM''

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Intervista a Seymour Hersh

«Il voto? La realtà è che il Paese rimane in guerra e diviso». «Le probabilità che Bush attacchi l’ Iran sono diminuite»
Per il celebre giornalista americano Seymour Hersh nemmeno le elezioni riusciranno a invertire il corso della storia: «Non possiamo vincere»

DI ENNIO CARETTO

Seymour Hersh è felice che in Italia si stampi per la prima volta My Lai four, il libro sulla strage compiuta dai soldati americani in un villaggio vietnamita nel ‘ 69 che lo rese celebre in tutto il mondo (My Lai Vietnam, Piemme: in uscita il 10 febbraio). «Qui non si trova più – dichiara il più grande giornalista investigativo d’ America, che l’ anno scorso svelò le torture ad Abu Ghraib, e che a gennaio ha accusato Bush di volere bombardare gli impianti nucleari dell’ Iran -. Invece sarebbe utile, perché ci sono molte analogie tra il Vietnam e l’ Iraq». Hersh, che ha pubblicato altri volumi in Italia – il più recente è Catena di comando (Rizzoli) proprio su Abu Ghraib – paragona la situazione irachena degli ultimi due anni a quella vietnamita dal ‘ 65 al ‘ 67. «Allora, come adesso, chiunque criticasse l’ amministrazione era attaccato come un estremista di sinistra o un traditore. Tutto cambiò nel ‘ 68, quando incominciammo a perdere».
Vuole dire che il peggio in Iraq deve ancora venire? Che le elezioni non sono servite a nulla?

«Gli iracheni che hanno votato hanno mostrato coraggio. Ma chi si cerca di ingannare? E’ impossibile che l’ affluenza alle urne sia stata così alta come hanno detto. E non c’ erano giornalisti né osservatori a controllare la regolarità del voto. La realtà è che il Paese rimane in guerra, sciiti e sunniti sono divisi, la componente integralista preme, e Allawi cerca di restare al potere».

Esistevano alternative alle elezioni?

«Esistevano, ce lo ha insegnato il Vietnam. Noi uscimmo dal Vietnam dopo che Henry Kissinger incominciò a negoziare in segreto con Le Duc Tho. In Iraq avremmo dovuto parlare con gli insorti fin dall’ inizio, e dovremmo farlo adesso».

Lei avrebbe negoziato mentre si combatteva?

«Guardi che non ci fu una guerra vera e propria. Tutti si dileguarono, dissero a Bush: vuoi Bagdad? Prendila! Si misero a combattere solo dopo l’ occupazione, nell’ estate del 2003. Allora capimmo che avremmo avuto dei problemi. La soluzione di Bush ora è la democrazia. Quale democrazia? Quella imposta con 150 mila soldati?».

Non pensa che l’ America possa vincere?

«Abbiamo un altro fattore contro, il petrolio. Quando incominciò a scarseggiare, contribuì a farci venire via dal Vietnam. Rischiamo di fare il bis in Iraq, mentre il Paese va ricostruito, deve riprendere a produrre greggio in grande quantità. Noi dipendiamo dal petrolio mediorientale».

La maggioranza dell’ America però appoggia il presidente.

«Io la metterei così. Nella guerra del Vietnam noi ce la prendemmo con i nostri soldati, e li trattammo male al loro ritorno dal fronte. Demmo loro la colpa di ciò che stava accadendo. Fu uno dei motivi dello scandalo di My Lai. Oggi siamo meno ingenui. Le atrocità contro i detenuti di Abu Ghraib non suscitano lo stesso orrore: sappiamo che i soldati sono in Iraq perché così vuole Bush».

Come giudica gli autori delle atrocità?

«Dopo che incontrai 55 militari coinvolti nella tragedia di My Lai pensai che erano delle vittime, come le persone che avevano ucciso. Ragazzi che avevano commesso un errore spaventoso, che avevano delle responsabilità, ma in altre circostanze avrebbero vissuto una vita produttiva».

Perché fu contrario alla guerra del Vietnam?

«Iniziai la mia carriera scrivendo dei diritti civili in America e di Martin Luther King. Leggevo i dispacci dei miei colleghi dal Vietnam, e vedevo che non erano contro la guerra, la ritenevano una guerra anticomunista, criticavano solo la nostra strategia. Ma per altri giornalisti, i francesi ad esempio, i vietcong e i nordvietnamiti erano nazionalisti, non facevano parte di una congiura comunista internazionale. Era vero, il Vietnam e la Cina non erano amici. Mi persuasi che dovevamo venire via».

Crede davvero che Bush voglia attaccare l’ Iran?

«Sarebbe pazzo se lo facesse, ma nel gennaio del 2003 avrei detto la stessa cosa a proposito dell’ Iraq. Le probabilità che si ripeta in Iran sono tuttavia diminuite dopo che ne ho svelato le opzioni. Sono certo che la gente che me le ha illustrate vuole fermarlo, altrimenti non me ne avrebbe parlato».

Ennio Caretto
Fonte:www.corriere.it
10.02.05

 

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