DI MASSIMO FINI
ilfattoquotidiano.it
Nel Medioevo la Chiesa, attraverso le elaborazioni concettuali della Scolastica (Tommaso d’Aquino,
Alberto Magno, Raymond de Pennafort, Enrico di Langstein, Buridano, Nicola Oresme, Duns Scoto), condusse una lunga, generosa, e per molto tempo vittoriosa, battaglia non solo contro l’usura ma anche, cosa che oggi si tende a dimenticare, contro l’interesse. E con argomenti più sottili e sofisticati di quelli di Aristotele che sosteneva che il denaro, essendo sterile, non può produrre altro denaro. Dice Duns Scoto: “Il tempo è di Dio e quindi di tutti e non può perciò essere monetizzato e fatto oggetto di mercato”. Ma la questione può essere ulteriormente approfondita.Se il tempo è di tutti, nessuno (a parte Dio, per chi ci crede) può essere padrone del nostro tempo che, come diceva Benjamin Franklin, è “il tessuto della vita”, cioè la vita stessa. In epoca preindustriale il contadino (e l’artigiano) vive sul suo e del suo, è padrone del proprio tempo, della propria vita. Scrive lo storico Carlo Maria Cipolla: “L’artigiano della bottega preindustriale… lavorava più ore dell’operaio industriale, ma non doveva necessariamente soggiacere alla dura disciplina degli orari e dei tempi della fabbrica e per diversi settori manifatturieri aveva il piacere e l’orgoglio di far uscire dalle proprie mani un prodotto finito” (Storia economica dell’Europa preindustriale).
Noi moderni, si sia operai, impiegati, operatori del terziario, vendiamo invece ad altri più che le nostre energie, come dice un po’ rozzamente Marx, il nostro tempo, la nostra vita. A parte alcuni privilegiati siamo tutti degli ‘schiavi salariati’ come scrive Nietzsche. Ci siamo messi in condizioni tali che in molte situazioni siamo costretti a scegliere fra il lavoro, cioè la vendita ad altri del nostro tempo senza la quale non possiamo però sostenerci, e la salute (Ilva docet).
Anche da questo punto di vista, quello dell’inquinamento, della salvaguardia dell’ambiente e, in definitiva, della nostra vita, gli uomini e le donne del Medioevo si sono dimostrati più sapienti di noi.
Scrive ancora Cipolla: “Il carbon fossile fu in uso già nel Medioevo, ma la gente del Medioevo era molto sospettosa di questo tipo di combustibile vagamente, ma decisamente intuendo che il suo uso implicava conseguenze nocive per l’ambiente.
Sotto molti aspetti la gente del Medioevo, pur nella sua ignorante superstizione, fu molto più cosciente dei possibili danni dell’inquinamento che la gente dell’epoca della Rivoluzione industriale”. E J. D. Gould in ‘Economic Growth in History’ aggiunge: “L’inquinamento, la distruzione dell’ambiente, la gestione del traffico sono ovviamente il risultato dell’industrializzazione e della tecnologia moderna e non trovano corrispondenza nella società preindustriale. Più si studiano tali società, più ci si rende conto che esse riuscirono a trovare un miracoloso equilibrio con la natura, bilanciando il consumo presente e la conservazione per il futuro con un tale successo che le moderne strutture economiche non sono riuscite nemmeno a immaginare”.
Capre! Capre! Capre! (scusate, ma sono reduce da un dibattito con Vittorio Sgarbi).
Massimo Fini
Fonte: www.ilfattoquotidiano.it
22.09.2012