DI DEBORA BILLI
Crisis
Qualcuno chiede perché non parliamo di Tibet. Non c’è molto da dire: l’ennesimo popolo oppresso, non una novità.
Quel che è nuovo, è che le anime belle pronte a portare il fiocchetto stavolta invocano una pronta ed incisiva reazione: boicottiamo i Giochi Olimpici. Ovvero, che ci pensino gli atleti. A parte pochi miliardari, quelli che al tiro con l’arco, la canoa, il salto a ostacoli, la ginnastica ritmica si stanno allenando da 4 anni.
Quei sovversivi di Terrorpilots hanno visto giusto: invece di mandare avanti gli olimpionici a fare il lavoro sporco, il boicottaggio perché non lo attuano le aziende che ci fanno affari e che hanno messo la Cina al centro dei loro interessi? Oppure gli industriali italiani ed europei che spostano laggiù le produzioni, perché la manodopera costa meno e i sindacati che rompono le palle manco esistono?
Se avete letto Leonardo, poco sopra, la conclusione logica è inevitabile. Il mio benessere di marca occidentale, già di per sé traballante, è fondato tra l’altro anche sulla repressione del Tibet, e la globalizzazione è riuscita là dove le famigerate Ideologie del secolo scorso avevano fallito. Qualcuno comincia a sentirsi un filino responsabile?
Dice poi un commentatore su Petrolio: è comodo comprare le loro cose a basso costo e campare i pensionati sul controvalore monetario.
Ancora dell’idea di delegare la nostra indignazione alle ragazzine delle parallele asimmetriche? O non sarà il momento, chissà, di far sentire la nostra opinione sia ai cinesi che agli affaristi? E la domanda più saliente: riuscirebbe l’italiano a fare a meno di acquistare jeans, sneakers, t-shirt, cellulari, ipod, flat screen, barbie e nintendo per due o tre mesi?
Io già me lo immagino a buttar via furtivamente il fiocchetto Free Tibet.