THE ANTI-EMPIRE REPORT N° 26

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DI WILLIAM BLUM

Katrina e i buoni americani

Tutta la gentilezza, tutta la premura e la generosità, la massima empatia, prendersi degli estranei in casa, donare tanto denaro e cose e tempo, aiutarli a trovare un tetto, trovare un lavoro, rintracciare i propri cari… Ma va chiesto: perché tante di queste stesse persone possono mostrare così poca premura per le tante, tante vittime della politica estera degli USA – i bombardati e i torturati, i mutilati e gli impoveriti, le vedove e gli orfani, gli abbattuti e i repressi? Come possono questi gentili e generosi americani trarre piacere e orgoglio dallo “shock and awe” della macchina militare del Pentagono? Come possono esultare per l’inarrestabile potenza della macchina nello sfondare mattoni e carne? Indiscutibilmente, molti di loro mostrano più considerazione per il proprio cane che per qualsiasi iracheno o afgano.

La ragione principale penso sia che gli americani sono convinti, o almeno dicono a se stessi, che la devastazione e la sofferenza di questi stranieri è il prezzo che deve essere pagato per una causa più alta.

Comodamente presente negli americani c’è una fede profondamente sentita nell’idea che qualsiasi cosa gli Stati Uniti facciano all’estero, quali che siano gli orrori che possano risultarne, per quanto malvagia possa sembrare, il governo degli Stati Uniti ha buone intenzioni. I leader americani possono fare degli errori, anche di enormi, possono mentire, a volte possono perfino fare più male che bene, ma hanno buone intenzioni. Le loro intenzioni sono sempre onorevoli. Di questo gli americani sono certi. Si meravigliano veramente quando il resto del mondo non riesce a capire quanto l’America sia stata benevola e generosa. Perfino per molte persone che prendono parte al movimento contro la guerra è dura scrollarsi di dosso parte di questa forma mentis; marciano per incitare l’America – l’America che amano e adorano e in cui confidano – a tornare sulla retta via.

Un altro paragone degno di considerazione: guardate ai preparativi del governo americano per l’invasione dell’Iraq. Per quasi un anno intero le basi sono state installate, i campi aerei allestiti, i carri armati messi in posizione, gli ospedali militari preparati per i feriti in Germania, le body bag inventariate, centinaia di migliaia di militari e personale civile assegnati ai loro posti e alle loro mansioni, denaro stampato su a richiesta giorno e notte, sono stati messi tutti i puntini sulle “i”, poco è stato lasciato al caso… e guardate i preparativi per un uragano che colpisce New Orleans, che era al di là della fase dei “se”, e aspettava solo il “quando”. L’impero ha le sue priorità.

La guerra è pace, l’occupazione è sovranità

La città di Rawa nel nord dell’Iraq è occupata. Gli Stati Uniti vi hanno costruito un avamposto per interrompere il flusso di combattenti stranieri che entrerebbero in Iraq dalla Siria. Gli americani si impegnano in perquisizioni domiciliari, picchiano alle porte, detenzioni sommarie, blocchi stradali, attacchi aerei, e altre tattiche estremamente scioccanti per la gente di Rawa. Recentemente, il comandante dell’avamposto, il tenente colonnello Mark Davis, si è rivolto a una folla di 300 persone infuriate. “Non stiamo andando da nessuna parte,” ha detto ai cittadini che si lagnavano. “Alcuni di voi sono preoccupati per gli elicotteri da attacco e il fuoco dei mortai dalla base,” ha detto. “Vi dirò questo: questi sono i suoni della pace.”{1}

Avrebbe potuto dire, dicendo una cosa altrettanto sensata, che erano i suoni della sovranità. L’Iraq è una nazione sovrana, ci assicura Washington, particolarmente in questi giorni di referendum costituzionale, anche se il voto non farà nulla per dare agli iracheni il potere di alleviare la loro afflizione quotidiana, servendo solo a una funzione di pubbliche relazioni per gli Stati Uniti; i voti, andrebbe notato, sono stati contati in una base militare americana; il giorno del referendum, elicotteri e aerei da guerra americani erano indaffarati ad uccidere una settantina di persone intorno alla città di Ramadi.{2}

Anche Londra insiste che l’Iraq è una nazione sovrana. Recentemente, centinaia di residenti hanno riempito le strade nella città meridionale di Bassora, gridando e sollevando i pugni in aria per condannare le forze britanniche colpevoli di aver fatto un’incursione contro un carcere e avervi liberato due soldati britannici. La polizia irachena aveva arrestato i britannici, che erano in abiti civili, per avere pare sparato (contro chi o cosa non è chiaro), e aver cercato di piazzare degli esplosivi o avere degli esplosivi nel proprio veicolo. Le truppe britanniche allora hanno riunito diversi veicoli blindati, li hanno lanciati contro le mura del carcere e hanno liberato gli uomini, mentre elicotteri armati sorvolavano la scena.{3}

Un’interessante domanda collaterale: qui abbiamo soldati inglesi in abiti civili (almeno un servizio giornalistico diceva vestiti come arabi), che giravano in un’auto con degli esplosivi, sparando… Questo non alimenta la frequente congettura che le forze della coalizione sono state in qualche misura parte dell’ “insurrezione”? La stessa insurrezione che è usata come scusa dalla coalizione per restare in Iraq?
Ci dicono che anche l’Afghanistan è sovrano. A luglio un comunicato dell’organizzazione per la cooperazione di Shanghai – costituita da Russia, Cina, Kirghizistan e dai vicini centroasiatici di quest’ultimo – ha chiesto agli Stati Uniti di precisare una data per il ritiro delle proprie truppe dalle basi in Asia centrale in base al fatto che le operazioni in Afghanistan stavano diminuendo. Ma a settembre potevamo leggere in un servizio del Washington Post dall’Afghanistan: “I sovietici qui hanno costruito più di venti anni fa una pista per l’atterraggio di caccia a reazione. Gli americani, avendola praticamente consumata con i loro aerei da trasporto giganti, stanno costruendo una nuova pista più lunga, che sopporti i più pesanti carichi militari USA. La costruzione, a quattro anni dall’inizio della presenza militare americana in Afghanistan, non si ferma qui. I piani prevedono rampe ingrandite per caccia a reazione ed elicotteri, diversi bunker per lo stoccaggio di munizioni e una torre di controllo a sei piani, per una spesa totale di oltre 96 milioni di dollari. La ristrutturazione ancora più costosa di un campo d’aviazione è in corso in Iraq alla base aerea di Balad, un centro della logistica americana, dove per 124 milioni di dollari l’aviazione sta costruendo rampe aggiuntive per elicotteri e aerei da trasporto. E più a sud, in Qatar, forma un modernissimo centro di operazioni aeree da quasi 10.000 metri quadrati per il monitoraggio degli aerei americani in Medio oriente, in Asia centrale e in Africa si sta delineando sotto forma di un gigantesco bunker in cemento. Il prezzo di 500 milioni di dollari comprende una serie di servizi di supporto che sarebbero l’invidia di ogni aviazione.

“In complesso, i militari USA hanno più di un miliardo e 200 milioni di dollari di progetti in corso di realizzazione o progettati nella regione del Comando centrale – un piano di espansione che i comandanti americani dicono necessario sia per sostenere le operazioni in Iraq che per fornire una presenza a lungo termine nell’area.”{4}
Naturalmente ci sono aree diverse da quelle militari che illustrano il persistente esercizio di sovranità degli USA sull’Iraq, aree come quelle riguardanti le aziende multinazionali. Le vendite beni iracheni e la deregolamentazione, la privatizzazione, le imposte sulle aziende, ecc. erano state promulgate in precedenza dall’autorità provvisoria della coalizione di Washington per rendere la vita facile alla Halliburton e ai suoi complici. Queste leggi e questi decreti restano ancora in vigore e sono stati preparati in modo da essere piuttosto difficili da emendare. A detta di tutti, la nuova costituzione irachena non li menziona.
E non dimentichiamo: tutti gli americani in Iraq, e tutti i loro alleati, militari o civili, hanno completa immunità da qualsiasi organismo di polizia o giudiziario iracheno, qualunque cosa facciano.

Incompetente a Gaza

Da qualche tempo il Pentagono sta lottando contro la American Civil Liberties Union, dei membri del Congresso, e altri che premono per la pubblicazione di nuove foto e video di “abusi” contro prigionieri (altrimenti noti come “tortura”) nel gulag americano. Il Pentagono ha cercato di bloccare la pubblicazione di questi materiali perché, afferma, infiammerà i sentimenti antiamericani e ispirerà atti terroristici all’estero. Questo implica chiaramente che i cosiddetti antiamericani arrivano alle proprie opinioni come risultato del comportamento o delle azioni americane. Eppure, la posizione ufficiale dell’amministrazione Bush, ripetuta numerose volte e mai abrogata, è che la motivazione che sta dietro il terrorismo antiamericano è l’invidia e/o l’odio della democrazia, della libertà, della ricchezza e del governo secolare americano, niente a che fare con qualsiasi cosa che gli Stati Uniti facciano all’estero, niente a che fare con la politica estera degli USA.{5}
In un tono analogo, il Sottosegretario di Stato per la diplomazia pubblica Karen Hughes recentemente ha fatto un giro in Medio oriente con il fine dichiarato di correggere le impressioni “erronee” che la gente ha degli Stati Uniti, che, vorrebbe far credere al mondo, sono la causa fondamentale del terrorismo e dell’odio antiamericano; è tutta una questione di malintesi, immagine, e pubbliche relazioni. Alla audizione per la sua conferma in luglio, la Hughes ha detto “La missione della diplomazia pubblica è attirare, informare, e aiutare gli altri a capire le nostre politiche, le nostre azioni e i nostri valori.”{6} Ma se il problema è che il mondo musulmano, come il resto del mondo, capisce l’America fin troppo bene? Prevedibilmente, questa confidente del Presidente Bush (essendo questo l’unico requisito che ha per la sua posizione, proprio come è l’unico requisito di Harriet Miers per la Corte Suprema) nel suo giro ha enunciato una sciocchezza dopo l’altra. Eccola in Turchia: “per conservare la pace, a volte il mio paese crede sia necessaria la guerra,” e ha dichiarato che le donne in Iraq se la passano molto meglio che sotto Saddam Hussein.{7} Quando le sue osservazioni sono state rabbiosamente contestate da donne turche nell’uditorio, la Hughes ha replicato: “Ovviamente qui abbiamo una sfida per le nostre pubbliche relazioni… come l’abbiamo in diversi luoghi in tutto il mondo.”{8} Giusto, Karen, sono solo pubbliche relazioni, niente che abbia qualche concretezza di cui la tua testolina piena di banalità debba preoccuparsi.
Arab News (“Il principale quotidiano in lingua inglese del Medio oriente”) ha riassunto così la performance della Hughes: “Dolorosamente incompetente”. {9} Naturalmente lo stesso si potrebbe dire del capo della Hughes (che Harrier Miers ha chiamato l’uomo più brillante che abbia mai conosciuto).{10}
Il Washington Post ha riferito questo: “gli uditori [della Hughes], specialmente in Egitto, spesso erano costituiti da élite legate da lungo tempo agli Stati Uniti, ma molte persone con cui ha parlato hanno detto che la ragione fondamentale per la cattiva immagine degli USA restavano le politiche degli USA, non il modo in cui queste politiche venivano vendute o presentate.”{11} Lei e il suo capo potrebbero imparare qualcosa da questo? Nah.

Le fondazioni americane e il dissenso

Il professore di scienze politiche Joan Roelofs ha pubblicato un nuovo libro su questo argomento a lungo trascurato, “Fondazioni e politica pubblica: la maschera del pluralismo”. Ecco un esempio:
“Anche se la Ford Foundation e altre fondazioni avevano intrapreso misure migliorative, durante gli anni ’60 ovunque negli USA cominciavano a spuntare dei ‘malcontenti’. L’ideologia della fondazione attribuì le proteste radicali a difetti nel pluralismo. L’ideologia pluralista sostiene che ogni interesse è libero di organizzarsi ed ottenere vantaggi dal sistema, attraverso processi pacifici di compromesso.
“I gruppi svantaggiati, come i neri, i chicanos, le donne, i bambini e i poveri avevano bisogno di aiuto per ottenere i propri diritti. Delle sovvenzioni avrebbero loro consentito di partecipare al processo dei gruppi di interesse su una base di parità con i gruppi più avvantaggiati, ed allora non avrebbero più sprecato le loro energie in futili azioni di disturbo. Se osservi che secondo l’ideologia della fondazione, i poveri sono solo un altro gruppo minoritario. La povertà, il militarismo, il razzismo e il degrado ambientale non sono sottoprodotti del sistema economico o in reciproca connessione. Sono semplicemente difetti da correggere mediante il processo politico pluralista.”
Altre informazioni sul libro si possono trovare a: http://www.sunypress.edu/details.asp?id=60705
Un interessantissimo diagramma di flusso che mostra il flusso di denaro dalle fondazioni ai media progressisti e ad altre organizzazioni di sinistra si possono trovare a: http://www.leftgatekeepers.com/
Per le ultime informazioni in questo settore inviate una e-mail a Bob Feldman a [email protected]

Chiarimento

Nell’ultimo numero di questo rapporto ho attribuito a un portavoce della coalizione ANSWER una dichiarazione sull’“amore” per le truppe americane in Iraq. In realtà la dichiarazione era stata rilasciata da Mahdi Bray, il direttore esecutivo della Muslim American Society Freedom Foundation, che è stata un membro importante della National Coalition del 24 settembre ed è stata pronunciata durante una conferenza stampa di ANSWER, ma andrebbe sottolineato che né Mahdi né la sua organizzazione fanno parte del comitato direttivo di ANSWER.

William Blum
Fonte: http://www.killinghope.org/
17 ottobre 2005

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di LUCA TOMBOLESI

NOTE

{1} New York Times, 3 ottobre 2005, p.6
{2} Agenzia di stampa Reuters, 17 ottobre 2005
{3} Washington Post, 20 e 21 settembre; al-Jazeera TV, 19 settembre 2005
{4} Washington Post, 17 settembre 2005, p. 18
{5} Si veda la mia discussione a: http://members.aol.com/essays6/myth.htm
{6} States News Service, 22 luglio 2005
{7} Washington Post, 29 settembre 2005, p.16
{8} Los Angeles Times, 29 settembre 2005, p.4
{9} Washington Post, 7 ottobre 2005, p.21
{10} Copley News Service, 10 ottobre 2005
{11} Washington Post, 30 settembre 2005, p.12

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