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DI HS
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Errata corrige: essendo questo scritto sostanzialmente la continuazione di DI ME COSA NE SAI, dedicato all’omonimo documentario sulla “crisi” del cinema italiano, trattata alla stregua dell’ennesimo “mistero d’Italia”, desidero puntualizzare una correzione per un errore che, ivi, avevo commesso. Presidente del Napoli Calcio non è l’anziano Dino De Laurentiis, ma suo nipote Aurelio, anch’egli noto produttore cinematografico nel rispetto di quella che potrebbe dispiegarsi come la tradizione di una sorta di dinastia. Mi scuso ancora con il lettore ed, eventualmente, con gli interessati.

Parafrasando Carlo Lucarelli, giallista e presentatore di “Blu Notte”, potrebbe essere la scena di un film.

Interno: la suite di un prestigioso hotel di New York, l’Hotel Pierre in cui si ritrovano, come per gradevole abitudine, tre grandi amici, tre uomini molto diversi fra loro ma accomunati da alcuni aspetti della propria biografia e della propria esistenza certo non secondari rispetto alla storia che stiamo per raccontare…

Innanzitutto non sono persone normali, comuni mortali che conducono una vita normale contrassegnata dai quei problemi ordinari, familiari e di lavoro, che assillano abitualmente pure i cosiddetti ceti medi…

I tre non sono semplicemente ricchi. Sono ricchissimo, vivono nel lusso e nell’agio incondizionati, perché sono tre uomini ricchissimi e potenti…

In secondo luogo i tre si rispettano, si ammirano e si piacciono nonostante le diversità caratteriali perché si sono “fatti da soli”. Nessuno dei tre è rampollo viziato di qualche grande dinastia industriale o finanziaria. Sono determinati, intraprendenti, affamati…

Il primo è un ebreo austriaco naturalizzato americano. Il suo nome è Charles Bludhorn e negli anni Quaranta, in pieno conflitto mondiale e nel contesto di crescente e dilagante persecuzione nazista degli ebrei, si recherà negli USA ove farà della Gulf & Western uno dei grandi colossi dell’industria americana. Per intendersi Bludhorn è un tipetto che può trattare alla pari con i Rockefeller che, peraltro, frequenta con una certa assiduità. Nel 1966 rileva la Paramount, marchio storico dell’industria cinematografica hollywoodiana entrando in quel vasto e potente circuito che comprende altri “giganti” dello spettacolo e del divertimento come la Time Warner, la Metro Goldwyn Mayer, la 20th Century Fox – che diventerà un fiore all’occhiello per il potentissimo tycoon australiano Rupert Murdoch – e la Walt Disney.

Il secondo è il più importante dei produttori cinematografici italiani, quel Dino De Laurentiis che, inizialmente in società con Carlo Ponti, noto anche come marito dell’attrice Sofia Loren, contribuì finanziariamente alla realizzazione dei film che consacrarono Federico Fellini come regista ed artista riconosciuto internazionalmente e pluripremiato con gli Oscar. De Laurentiis conosce bene gli americani , i grandi magnati dell’industria hollywoodiana per aver prodotto assieme a loro costosi kolossal come “Guerra e pace” di King Vidor” e “La Bibbia” di John Huston grazie anche ai finanziamenti statali concessi dalla Legge Andreotti. Nel momento, però, in cui ha luogo il suddetto incontro, De Laurentiis non naviga in acque particolarmente buone: la nuova legge sul cinema non concede più contributi statali per le coproduzioni e il nostro è costretto a lasciare l’Italia per gli USA, ma su tutta questa vicenda torneremo…

Il terzo personaggio è probabilmente il più inquietante: si tratta del noto e famigerato banchiere ed avvocato siciliano in rapporti con Cosa Nostra siciliana ed italoamericana e con la loggia Propaganda 2 Michele Sindona la cui attività sarà oggetto di una Commissione Parlamentare d’Inchiesta che sarà praticamente rimossa e sostituita da quella sulla loggia “gelliana”. Piduista, riciclatore del denaro sporco mafioso frutto dei traffici di droga, finanziatore di attività legate alla “strategia della tensione” come quelle dell’organizzazione paramilitare filoNATO “Rosa dei Venti”, riconducibile probabilmente alla rete STAY BEHIND, è però personalità potente, temuta e rispettata nella comunità degli affari a cui appartiene nel momento in cui ha luogo l’amichevole incontro fra i tre uomini. Ha finanziato le correnti democristiane di Andreotti e Fanfani e contribuirà in maniera cospicua a finanziare la campagna antidivorzista (e fanfaniana) prima dello storico referendum. Lo stesso Presidente del Consiglio Giulio Andreotti lo elogerà come “salvatore della lira”.

Punto di riferimento di quelle lobbies italoamericane a cui si rivolgerà anche il Venerabile Maestro della P2, Sindona gode anche di ottime relazioni con importanti personaggi dell’amministrazione Nixon come il segretario del Tesoro David Kennedy. E’ riuscito ad acquisire una delle più importanti banche americane, la Franklin e risulta fra i proprietari degli studios della Paramount dell’amico Charlie Bludhorn e del Watergate di Washington, il palazzo in cui inizierà l’omonimo scandalo che travolgerà Richard Nixon e (alcuni) uomini del Presidente. Anche all’amico Bludhorn ha offerto i suoi buoni uffici quando era in difficoltà tramite complesse operazioni finanziarie e introducendo il sodale negli ambienti del Vaticano nei quali don Michele è di casa. E’, infatti, il consulente finanziario di papa Paolo VI e ha allacciato stretti rapporti finanziari con il direttore dello IOR, la “banca vaticana”, Paul Marcinkus e con il presidente piduista del Banco Ambrosiano Roberto Calvi che i piduisti Gelli e Ortolani utilizzeranno per finanziare la scalata della Rizzoli al “Corriere della Sera”. Don Michele è probabilmente l’inventore di quelle intricatissime “scatole cinesi” della finanza che sono vere e proprie truffe. Quando l’Amministrazione Nixon verrà colpita mortalmente dallo scandalo Watergate – e qui non interessa comunque affrontare la questione di chi, eventualmente pilotò e si giovò d’esso – anche le fortune di don Michele cominceranno a declinare… Il crack della Banca Privata Italiana trascinerà anche la Franklin e per Sindona cominceranno le vicissitudini giudiziarie. Se molti volteranno le spalle al finanziere siculo, don Michele potrà contare su altre amicizie… Secondo il giornalista “scandalista” e piduista Mino Pecorelli – che verrà freddato a colpi di pistola da probabili emissari della banda della Magliana – la massoneria ha favorito la fuga negli USA del bancarottiere. Per impedirne la successiva estradizione si muoveranno molti amici spesso riferibili ai circoli piduisti al fine di evitare la celebrazione di un processo in Italia, inevitabile “frutto di una persecuzione comunista”.

Molti piduisti, molti viscerali “anticomunisti” fra gli amici di don Michele… Si distinguono l’immancabile Licio Gelli in qualità di “uomo d’affari anticomunista”; l’ex appartenente ai servizi segreti inglesi ed effettivo durante il conflitto mondiale John McCaffery, successivamente socio in affari di don Michele; l’italoamericano Philip Guarino, personaggio legato alle lobbies italoamericane (leggi mafia) – buon amico, oltre che di Sindona, di Gelli e dell’ex direttore del SID Vito Miceli, anch’egli piduista e, secondo quanto riferito da “pentiti di mafia”, affiliato a Cosa Nostra – e che diventerà il presidente del comitato elettorale del Partito Repubblicano per l’elezione dell’ex attore e divo hollywoodiano Ronald Reagan alla carica dei Presidente USA; il “golpista bianco”, filoamericano, filo inglese, accanitamente piduista ed anticomunista Edgardo Sogno; il piduista Procuratore della Repubblica di Roma Carmelo Spaguolo; la signora della finanza italiana Anna Bolchini Bonomi, ecc… Fra i legali al servizio di don Michele si segnala un altro piduista, il democristiano di destra Massimo De Carolis, già leader della Maggioranza Silenziosa.
Un ambiguo soccorso verrà tentato anche dal solito Andreotti…

Intanto, per tutta la seconda metà degli anni Settanta, don Michele si agita, ricatta e manovra e, in aggiunta, può far valere la sua reputazione di convinto assertore del liberismo e del libero mercato e di sincero “anticomunista”…
Nei confronti del socio e fratello di loggia Calvi – con il quale condividerà il tragico destino – scatena il provocatore Luigi Cavallo, il socio di Sogno nelle manovre “golpiste”. In quel periodo il bancarottiere discusse probabilmente anche con l’allora capo militare della NATO, ammiraglio Haig, massone, già uomo di punta dell’amministrazione Nixon e, per qualche tempo, anche di quella di Reagan e “mente pensante” dei circoli kissingeriani, neoconservatori e dei falchi repubblicani radunati intorno al CSIS (Centro di Studi Strategici di Georgetown), sulla possibilità di un “golpe” secessionista in Sicilia. In quel periodo gli americani intendevano procedere all’installazione di missili Cruise nella basse di Comiso in Sicilia. Segue il misterioso e mai del tutto chiarito falso rapimento di don Michele con il concorso di uomini di Cosa Nostra siciliana ed italoamericana con tutto il corollario di ricatti e minacce legati alla famosa lista dei 500, gli esportatori di valuta all’estero che si sono serviti degli uffici di don Michele. Qualche tempo prima il bancarottiere siciliano aveva provveduto a regolare i conti con il caparbio liquidatore della Banca Privata Giorgio Ambrosoli, fieramente contrario ad ogni tentativo di salvataggio delle banche sindoniane a spese dei contribuenti italiani, facendolo assassinare da un killer italoamericano.

Come giustamente rileva la relazione di minoranza della Commissione Sindona, nell’oscura vicenda del falso rapimento del banchiere siculo emerge un complesso e mai del tutto chiarito intreccio di azioni ed interessi fra Cosa Nostra siciliana, Cosa Nostra italoamericana, loggia P2 e massoneria “deviata” italoamericana, lobbies capeggiate da anticomunisti, falchi repubblicani e oscuri personaggi italoamericani. Per don Michele, però, non ci sarà nulla da fare: tornerà negli USA e verrà presto estradato e processato in Italia per il delitto Ambrosoli. Il “suicidio” del bancarottiere non troverà mai spiegazione… Da un appunto sequestrato al “faccendiere” Francesco Pazienza, giovane massone e capo occulto di quel SuperSISMI piduista implicato in delicate vicende come il “Billygate” – le manovre per favorire l’elezione di Reagan danneggiando il democratico Carter -, i depistaggi della strage alla stazione di Bologna, le trattative per liberare Ciro Cirillo con il concorso del boss camorrista Cutolo e la morte del banchiere piduista Calvi -, pupillo del neoconservatore Michael Ledeen, già uomo del think tank CSIS, fra coloro che avrebbero tratto vantaggio dalla morte di Sindona si conterebbero soprattutto Andreotti, il Vaticano e gli americani… A giudicare dall’avventurosa biografia di don Michele la lista dovrebbe essere molto lunga e non dovrebbe trascurare quella comunità degli affari che aveva accolto in grembo l’avvocato di Patti magari giovandosi del suo “talento”.

Prima di morire Sindona realizzò un’intervista con lo scrittore e giornalista americano Nick Tosches riversata poi nel volume “Il Mistero Sindona”, all’epoca piuttosto censurato in certe sue parti e oggi riproposto integralmente da ALET. Il giudizio di Sindona sul mondo della grande impresa e finanza è veramente impietoso per cui non dovrebbe sorprendere che, all’epoca, potesse sussistere un’impressionante cointeressenza nell’eliminazione del bancarottiere. Come riportato testualmente: “Alle origini della maggior parte dei patrimoni delle più rispettabili famiglie del mondo – i Rothschild, i Warburg, gli Agnelli, i Pirelli, i Rockefeller, i Kennedy – ci sono svariati guadagni illegali e relativi mancati pagamenti delle imposte. Con il passare degli anni il denaro è divenuto pulito e ha permesso loro di entrare a far parte dell’establishment mondiale (…)”. Provenendo da un vero esperto in materia – e probabilmente consulente di alcune delle famiglie citate – queste parole acquistano particolare significato ed è intuibile come molti segreti di cui è stato depositario Sindona siano rimasti tali.

Quando il libro venne pubblicato in Italia per la prima volta da un editore craxiano, venne censurato un passaggio in cui Sindona citava a Tosches come esempio di riciclaggio di capitali sporchi di Cosa Nostra una piccola banca di Milano, la Rasini in cui lavorava il padre del futuro potente tycoon e più volte presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. D’altronde la solida amicizia fra Berlusconi e il segretario del PSI Craxi non è mai stata un segreto per nessuno.
Nel suo volume “L’orgia del potere” (edizioni Dedalo) lo sfegatato giornalista antiberlusconiano Mario Guarino dedica parecchio spazio al ruolo del sistema finanziario mafioso sindoniano nell’edificazione dell’impero mediatico e del mattone dell’imprenditore dello spettacolo Berlusconi.
In tutta la vicenda e biografia del banchiere di Patti molti sono i lati oscuri in attesa di essere illuminati.
Una piccola curiosità, invece, sul rampante e dinamico Francesco Pazienza, che forse avrebbe dovuto essere destinato a divenire l’erede del potere di Licio Gelli. Ai tempi era fidanzato proprio con Marina De Laurentiis, la nipote del produttore cinematografico Dino, amico di Sindona.
Ottima fonte di informazioni, dunque…

E’, quindi, estremamente riduttivo trattare la figura di Michele Sindona solamente alla stregua di riciclatore dei proventi criminali di Cosa Nostra siciliana e quella italoamericana – ammesso poi che si tratti di due organizzazioni differenti – o di massone ed eminente esponente della P2. L’amicizia con l’uomo d’affari ed imprenditore ebreoaustroamericano Charlie Bludhorn ha solide basi finanziarie che non risparmieranno a quest’ultimo qualche fastidio, mentre il buon don Michele frequenta e cena spesso con l’amico De Laurentiis e la sua illustrissima consorte, la quotata attrice Silvana Mangano, nota per aver interpretato storiche del cinema italiano e per la passione nutrita nei suoi confronti – ma a quanto pare non ricambiata – dall’attore e comico romano Alberto Sordi.
L’estrema confidenza fra i tre è confermato proprio da Tosches che descrisse il citato incontro fra Bludhorn, Sindona e De Laurentiis. Si scherza, si ride, ma forse neanche troppo…
Argomento principe: il grande successo de “Il padrino” diretto da Francis Ford Coppola e prodotto dalla Paramount di Bludhorn.

Don Michele non nasconde una certa irritazione nei confronti della pellicola, rea di diffondere fra i magistrati statunitensi l’idea che dietro ogni picciotto si celi un padrino, un boss e alimentando pregiudizi nei confronti dei (pregiudicati) italiani ed italoamericani. Non che abbia tutti i torti, ma l’atteggiamento di Sindona dà in certa misura l’idea della mafiosità di questo personaggio. Don Michele imputa a Bludhorn la responsabilità della produzione e della realizzazione della celeberrima pellicola sulla saga di una famiglia mafiosa italoamericana, ma dalla conversazione a tre emerge anche come una buona parte del merito dell’ideazione del progetto spetti allo stesso De Laurentiis.

Bisogna comprendere l’importanza del “Padrino” che si potrebbe paragonare a ciò che “Via col vento” è stato negli anni Trenta e Quaranta, un’opera immortale nella storia del cinema che praticamente tutti hanno visionato. Tratta dal bestseller del romanziere italoamericano Mario Puzo, “Il padrino” cinematografico trasforma una vicenda di gangster in un grande affresco familiare con tinte shakespeariane e rinnova un genere tendenzialmente considerato di serie B e privo di ambizioni artistiche od estetiche. Torneremo a discorrere dell’opera di Coppola più avanti dopo aver aggiunto qualche tassello in più al mosaico. E’ certo, invece, che prima di produrre questo fruttuosissimo successo la casa di produzione di Bludhorn non versava in buone acque e che, a quanto si evince dalla conversazione del trio, De Laurentiis avrebbe desiderato tanto produrre “Il padrino”. “Così va il mondo dello spettacolo” gli risponde Bludhorn.

That’s entertainment, insomma…

Il 1972 è un anno molto importante nella storia del cinema italiano e non solo…
E’ certo l’anno del “Padrino”, appunto, grandissimo successo della cinematografia americana in cui è presente anche molta Italia, come vedremo…
E’ anche l’anno della legge del socialista Corona che “chiude” i contributi alle coproduzioni estere…
E’ l’anno in cui, per crescenti difficoltà economiche, il più importante produttore italiano è costretto a chiudere i suoi studi a Cinecittà (Dinocittà), dopo Hollywood la seconda Mecca del cinema…
In poche parole la fine di Cinecittà, dei suoi studi e del suo mito si accompagna all’inizio della fine dell’industria cinematografica italiana, all’epoca molto ammirata e seconda per fatturato all’onnipotente e danarosa macchina spettacolare hollywoodiana.

Intervistato dal regista Jalongo nel docu-film “Di me cosa ne sai” Dino De Laurentiis attribuisce direttamente ai socialisti italiani e a Corona la responsabilità di aver piegato l’industria cinematografica italiana facendogli chiudere gli studi a Cinecittà e costringendolo a continuare la sua attività negli USA. Di lì a poco si imporrà l’astro nascente di Craxi che molta importanza dava ai media e allo spettacolo tanto da accarezzare l’idea di fondare un partito di “gente dello spettacolo”, un progetto che sarebbe stato sostanzialmente realizzato dall’amico Berlusconi con Forza Italia. E’ documentato, invece, come l’attività televisiva privata e commerciale del Cavaliere sia stata incoraggiata, tutelata e alimentata da Bettino Craxi. De Laurentiis, però, dice qualcosa di più importante e scottante al suo interlocutore ventilando l’ipotesi che Corona, i socialisti e, nella sostanza, i partiti di governo di allora, siano stati pagati e foraggiati dagli americani per sbarazzarsi della scomodissima concorrenza cinematografica italiana. Il produttore campano parla evidentemente con grande cognizione di causa avendo lavorato con gli americani sia sul patrio suolo che oltreoceano. Nel corso degli anni Settanta, oltre a De Laurentiis, gli altri due più importanti produttori italiani impianteranno la loro attività negli USA. Innanzitutto l’ex socio di De Laurentiis, Carlo Ponti costretto anche da presunte vicissitudini fiscali sue e della moglie Sofia Loren. Gli inquirenti sospettarono a suo tempo che la coppia si fosse rivolta a personaggi riconducibili alla banda della Magliana per la sistemazione di quelle controversie giudiziarie.

Più complesse e inquietanti, invece, sono state le disavventure del terzo produttore del lotto, Alberto Grimaldi, coinvolto nella realizzazione di pellicole scabrose e coraggiose quanto perseguitate come “Ultimo tango a Parigi” di Bernardo Bertolucci e “Salò” di Pier Paolo Pasolini. L’aura maledetta di quest’ultima opera – autentico, terrificante e lucido manifesto sulla “deculturazione” e la violenza della società edonista e dei consumi – è stata rafforzata dai misteriosi ed efferati episodi che l’anno circondata: dal furto delle “pizze” con richiesta di riscatto, all’assassinio del suo regista ancora avvolta nell’oscurità. Quasi egli stesso un perseguitato, il produttore Grimaldi… Le minacce e il terrore per i sequestri di persona, lo convinceranno a lasciare il paese per gli USA ove, paradossalmente, si farà produrre “Novecento” di Bernardo Bertolucci, ultimo vero kolossal con cast internazionale dalle forti tinte “social comuniste”, dalla major 20th Century Fox.
Quando gli opposti si incontrano…

Intanto all’inarrestabile declino del cinema italiano corrisponde l’espansione della televisione sul modello di quella privata e commerciale. L’austero bianco e nero della RAI viene sostituito da i nuovi sgargianti colori mentre nella giungla dell’emittenza privata riesce ad imporsi il monopolio berlusconiano ed il suo “modello” popolare e volgare. E’ la nuova Italia postmoderna che, forse, neanche lo stesso profetico Pasolini sarebbe giunto ad immaginare…

Facciamo ancora un salto indietro nel tempo e torniamo a quel fatidico 1972 che quasi fa da spartiacque da un’Italia a un’altra. Ma davvero è esistita una stretta connessione fra la legge Corona, la sostanziale chiusura di Cinecittà, l’espatrio di De Laurentiis e degli altri produttori negli USA e l’ingerenza americana ed hollywoodiana ? Come scriverebbe Pasolini ancora una volta “Abbiamo tanti indizi, qualche certezza ma nessuna prova concreta…”. Da intellettuali se ne può scrivere…

Il 1972 è anche l’anno di quelle elezioni politiche caratterizzate soprattutto dal buon balzo in avanti del partito parlamentare neofascista ed anticomunista MSI sulla base degli slogan sulla “legge ed ordine” e contro gli “opposti estremismi” extraparlamentari. In vista di quelle elezioni l’ambasciatore americano Graham Martin, falco repubblicano e convinto anticomunista, esponente dell’”ala destra” dell’amministrazione Nixon in parziale contrasto con il più “moderato” Kissinger, fece affluire cospicui finanziamenti nelle mani del direttore del SID Vito Miceli – con il quale condivideva l’anticomunismo viscerale – per foraggiare partiti, gruppi ed associazioni ostili al comunismo e alle sinistre. L’iniziativa ha parziale successo… Come abbiamo visto, Miceli era anche piduista, ottimo amico sia di Gelli che di Sindona. Implicato in vicende come il golpe Borghese, la “Rosa dei Venti”, il SuperSID, in posizione mai totalmente chiarita, Miceli era sicuramente il tipico esponente della destra italiana di allora e, infatti, quando sarà costretto a dimettersi dal servizio segreto militare, sarà proprio l’MSI di Almirante a gettargli la ciambella di salvataggio candidandolo alle successiva politiche del 1976. Ciò per rammentare come i nomi ed i cognomi di taluni attori principali, secondari e comprimari ricorra spesso…

Siamo, invece, sicuri che l’attivismo dell’Ambasciata americana e dell’ambasciatore Martin con relativo e costante flusso nell’ordine dei milioni di dollari sia esclusivamente servito per le operazioni “anticomuniste” ed antiPCI ?
All’interno delle ambasciate statunitensi di tutto il mondo esiste tuttora una sezione che si occupa della diffusione della cultura americana nel mondo – leggi egemonia -. Pare che tale sezione dedichi molte energie e risorse alla promozione, alla diffusione e alla vendita dei prodotti cinematografici hollywoodiani. Una buona simbiosi fra gli organismi diplomatici e la major hollywoodiane, quindi… Come si comportò tale organismo nel frangente descritto, in quel 1972 che fu sciagurato per il cinema italiano ? Davvero non fu estraneo all’eventuale tentativo di arginare la concorrenza italiana ? Non siamo in grado di scendere nei dettagli sulla sezione “italiana” di questo organismo dell’Ambasciata americana… Probabilmente fa capo all’USIS (United States of Information Service), l’organo dell’Ambasciata creato per la diffusione della cultura americana al quale un manuale delle forze speciali dell’esercito americano attribuisce una certa importanza per le operazioni di “guerra psicologica” – leggi propaganda -. L’USIS assunse una certa notorietà per il fatto che vi avesse lavorato un giovane Corrado Simioni, ex socialista autonomista ed anticomunista e “compagno” di Craxi e Larini espulso poi dal partito per imprecisati motivi di “indegnità morale”.

Uomo carismatico e colto, dopo aver lavorato alla Mondadori, alla fine degli anni Sessanta si avvicinerà all’ultrasinistra extraparlamentare capeggiando un’oscura ala scissionista delle BR.

Fuoriuscito in Francia con i “compagni” lottarmatisti fonderà una enigmatica scuola di lingue a Parigi denominata prima Agorà e poi Hyperion che si sospetta aver fomentato ed alimentato l’”euroterrorismo” e BR in primis con il più che probabile coinvolgimento nell’”affaire Moro”. I sospetti che Simioni avesse intrecciato rapporti intensi con i servizi segreti americani e con la NATO non sono mai stati dissipati.

A questo punto è quantomeno chiaro che nella contesa e concorrenza fra Hollywood e la cinematografia italiana si è giocato ad armi impari e con mezzi non proprio puliti. Costretto a vendere gli studi a Cinecittà in seguito alle legge Corona, De Laurentiis ha bisogno di denaro ed è proprio l’amico Sindona a fare in modo che la Franklin – la sua banca americana – gli presti un milione di dollari garantiti dalla Banca Commerciale Italiana, vera acquirente dei suoi studi cinematografici attraverso la società immobiliare SAINDA. Sindona interviene in puro spirito di amicizia oppure non è disinteressato e agisce per conto terzi ? Non dimentichiamoci che Sindona è, appunto, anche amico di Bludhorn ed egli stesso coltiva interessi nella Paramount. E a proposito delle possibili cointeressenze – grandi gruppi, lobbies, consorzi d’affari – coinvolte nelle manovre sindoniane nell’ambito dell’editoria, dello spettacolo, della cinematografia e della televisione si possono fare le ipotesi più disparate in aggiunta quelle già prospettate (americani e major hollywoodiane). Fermiamoci per un attimo alle domande…

Coloro che hanno “pagato” per la legge Corona, sono coinvolti nello smantellamento di Cinecittà e nel prestito offerto da Sindona all’amico De Laurentiis ?

Sono stati Sindona & soci – che è possibile a questo punto ritenere come rappresentanti degli interessi di lobbies magari italoamericane ed ebreo americane legate alle major hollywoodiane – a convincere De Laurentiis a lasciare definitivamente il paese e ad approdare nel “Nuovo Mondo” ?

Chi ha “assassinato” il cinema italiano ?

Comunque si può tranquillamente affermare che negli USA De Laurentiis non sarà più un “produttore italiano” ma entrerà nei meccanismi dell’industria cinematografica di quel paese da vero “produttore americano” cercando di offrire i tipici prodotti filmici – peraltro spesso costosissimi – degli USA. Una parabola comune a molti produttori, autori, registi ed attori europei ed orientali sbarcati alla corte di Hollywood e costretti a “snaturare” il loro lavoro. Inoltre, anche in questo caso, è spontaneo farsi domande circa l’identità di coloro che finanziarono l’avventura americana – certo non molto fortunata – di Dino De Laurentiis.

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Qualche cenno alla produzione cinematografica tipicamente americana del produttore campano:
si ricordano alcuni grandi successi o, comunque, pellicole note ai cinefili come “Serpico” dell’esperto Sidney Lumet con l’astro nascente Al Pacino (1973); il famigerato e reazionario ”Il giustiziere della notte” di Michael Winner con il granitico Charles Bronson (1974); “I tre giorni del Condor”, celebre spy story diretta dal compianto Sidney Pollack ed interpretata dal divo “liberal” Robert Redford (1975) o il costosissimo e classico poliziesco, sorta di “Padrino” in salsa cinese, “L’anno del dragone” di Michael Cimino, regista che legò le sue fortune soprattutto alla pellicola “postvietnamita” “Il cacciatore”, ed interpretato da un Mickey Rourke emergente ed in gran forma (1985). Dal punto di vista del mero “rientro economico” il maggior successo del Dino De Laurentiis Group è stato il primo remake del classico film di mostri “King Kong”, peraltro mediocre pellicola con una giovane Jessica Lange (1976). Ciononostante la carriera americana ed hollywoodiana di De Laurentiis conosce indubbiamente più clamorosi flop ed insuccessi che campioni di incassi. I maggiori guai vengono sul versante fantascientifico e fantastico ove De Laurentiis ha preteso di concorrere con l’accattivante immaginario delle factories di Steven Spielberg e di George Lucas. Con i vari “Guerre stellari”, “Incontri ravvicinati del terzo tipo, “ET” per intendersi… E sono milioni di dollari bruciati e mai recuperati, investiti in improbabili pellicole come il terribile “Flash Gordon” che riprendeva un celebre fumetto molto in voga negli anni Venti e Trenta o “Dune”, forse il peggior film del visionario regista David Lynch nel quale De Laurentiis coinvolse la consorte.
Costretto al fallimento e fuori dal circuito “hollywoodiano”, il nostro ha ripreso la consueta attività da produttore come indipendente. L’ultimo film prodotto dalla “fabbrica” di Dino De Laurentiis è stato l’improbabile seguito del classico del thrilling e dell’horror “Il silenzio degli innocenti” ovverosia “Hannibal” (2001) che coinvolse nell’impresa il talentuoso regista Ridley Scott ormai però lontano dai tempi dei felici esordi con “I duellanti”, “Alien” e, soprattutto, quel capolavoro della fantascienza “futurista” che è “Blade Runner” tratto da Philip K. Dick.
Le doti professionali di Dino De Laurentiis sono generalmente e giustamente riconosciute, ma, sicuramente, il nostro verrà ricordato per quanto ha fatto in Italia piuttosto che negli USA. Chissà cosa pensa oggi di quelle antiche amicizie americane-hollywoodiane ed italoamericane ?

A questo punto vorrei fare con voi un piccolo esercizio di immaginazione, un minuscolo sforzo di “dietrologia” da buon peccatore nel senso andreottiano del termine…

Tre amici: da un lato Charlie Bludhorn della Paramount, dall’altra Dino De Laurentiis, il più importante produttore cinematografico italiano…

In mezzo il banchiere Sindona e chi per lui…

La posta in gioco, una superproduzione destinata a fare un incredibile successo al botteghino: “Il padrino”…

Perché il film in questione non è una qualsiasi pellicola, ma l’opera destinata a cambiare il volto del cinema internazionale con quella sua originale commistione fra antico ed innovazione, perché, oltre a rifarsi alla tradizione storica del cinema italiano – come dichiaratamente ammesso dal regista – apre le porte alla cosiddetta “New Hollywood”, un nuovo modo di intendere e fare cinema anche per le produzioni mainstream affrontando temi “forti” e rappresentando in maniera esplicita la violenza. Per quanto se ne possa discutere… Per quanto si possa discettare sulla mitizzazione degli “uomini d’onore” che il kolossal esibisce o, al contrario, sulla successiva diffusione di stereotipi sugli italiani come lamentato da don Michele, “Il padrino” rimane una pietra assai preziosa nella miniera di celluloide consacrando il suo protagonista, il leggendario e controverso Marlon Brando – il quale venne premiato con un Oscar che rifiutò di ritirare per protesta contro il razzismo – fra le icone indimenticate dello scorso secolo. Chi non ricorda il romanzesco e, a suo modo, “romantico” padrino don Vito Corleone ?
Eppure è innegabile come vi sia “molta Italia” nel capolavoro targato Paramount.
Come anticipato, il film è tratto dal bestseller dello scrittore italoamericano Mario Puzo che, ovviamente, guadagnò una fortuna e campò praticamente con la rendita della fama di autore del “Padrino”.
Italoamericano è pure il giovane regista Francis Ford Coppola che, come altri talenti italoamericani quali Martin Scorsese e Michael Cimino, aveva mosso i primi passi nelle produzioni indipendenti e a basso costo. Quella “fortunata” generazione era stata allevata quasi in toto nel mondo del cinema indipendente e di “serie B” fra cui si distingueva la factory del filmaker Roger Corman specializzato in prodotti a bassissimo costo per i canoni “americani”.
Per chi si intendesse un poco di cinema è chiaramente percepibile nei fotogrammi del “Padrino” il cospicuo debito nei confronti del cinema italiano e, in special modo, nella lunga sequenza iniziale che omaggia “Il Gattopardo” e il cinema di Luchino Visconti.
L’autore della celebre colonna sonora è Nino Rota, il compositore di fiducia di Federico Fellini.
Oltre a proiettare Marlon Brando nella leggenda – alimentata anche dal successivo “Apocalypse Now” sempre di Coppola – “Il padrino” lancia nel firmamento delle stelle del cinema il giovane attore italoamericano Al Pacino, così come il seguito sempre diretto da Coppola donerà fama ad un altro mostro sacro italoamericano come Robert De Niro.
Fra gli altri volti presenti sullo schermo sono riconoscibili attori italiani fra cui Franco Citti, l’amico borgataro del poeta-regista Pasolini.
E fermiamoci qui…

E’ comprensibile, quindi, che Dino De Laurentiis, quantomeno coinvolto inizialmente nel progetto, volesse partecipare in veste di “coproduttore”, in quella che si prospettava come una grande coproduzione fra USA e Italia, ma gli sviluppi sono stati diversi e la Paramount, allora in crisi, si è appropriata del “Padrino”, un grandissimo successo sicuramente in grado di partecipare all’impulso economico di qualsiasi industria cinematografica.

In quel 1972, come ho illustrato, un “concorso di eventi” ha condotto altrove il cinema italiano…

Ci sono buoni motivi per pensare che Dino De Laurentiis sapesse e che alla fine si fosse “rassegnato” a lasciare l’Italia per fare il “produttore americano”. Nella grande “comunità degli affari” certe cose vanno dove devono andare…

Così la Paramount ha vinto e con lei il sistema delle major hollywoodiane soprattutto nelle persone di coloro che vi investivano e vi investono ingenti capitali…

In fondo proprio Bludhorn aveva risposto all’amico italiano che desiderava tanto produrre “Il padrino” che “Così và il mondo dello spettacolo”.

Appunto… Come si suole ricordare in America: “That’s entertainment” !”

Che gran sforzo di fantasia, non è vero ? Ma siamo poi tanto lontani dalla realtà del mondo dello spettacolo ?

A pensar male…

La domanda ancora attende una risposta: chi ha assassinato il cinema italiano ?

La verità si annida nel contesto…

HS
Fonte: www.comedonchisciotte.org
12.11.2009

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