DI GIANANDREA GAIANI
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Per decenni l’Italia è stata un Paese a “sovranità limitata” con una politica estera e di Difesa coordinata e in molti casi imposta dai nostri principali alleati e soprattutto dagli statunitensi. Dal dopoguerra non era però mai successo che il nostro Paese si trovasse guidato da un “governo d’occupazione” che rispondesse direttamente alle “potenze occupanti” come accade oggi con il cosiddetto governo tecnico imposto dai franco-tedeschi e dalla nomenklatura della Ue e messo insieme dal Quirinale consultandosi anche con la Casa Bianca che ha suggerito i ministri di Esteri e Difesa. Due figure di sicura fede atlantista come l’ambasciatore a Washington Giulio Terzi e il chairman del Comitato Militare della Nato, l’ammiraglio Giampaolo Di Paola. Uomini idonei a garantire che l’Italia resterà un fedele alleato dell’America e manterrà i suoi impegni militari in Afghanistan. Nella sua prima audizione in Parlamento, Di Paola ha infatti confermato questo impegno mentre il titolare della Farnesina (ormai un mito per la stampa italiana perché usa Twitter) ha esordito sulla crisi iraniana dichiarando che “l’Italia sostiene con piena convinzione il piano di sanzioni economiche nei confronti dell’Iran annunciato dall’Amministrazione statunitense”. Più appiattiti di così! Dopo l’attacco all’ambasciata britannica a Teheran, Terzi ha ritirato il nostro ambasciatore nonostante sul piano commerciale l’Italia abbia molti interessi in Iran. Nel timore di apparire poco filo-americano si è poi recato in Turchia a perorare la causa dell’ingresso di Ankara nella Ue, come chiedono da tempo gli Usa. Posizioni che ci auguriamo siano state negoziate in cambio di robuste contropartite ma che temiamo costituiscono un pedaggio obbligato e gratuito nei confronti delle potenze occupanti. A Washington saranno certo soddisfatti ma per ora Terzi assomiglia più a un sottosegretario di Hillary Clinton che a un ministro italiano. Del resto Obama non ne poteva più di Silvio Berlusconi che aveva avuto (forse l’unica iniziativa degna di nota del suo governo) l’ardire di sviluppare una politica energetica e strategica con la Russia di Putin e la Libia di Gheddafi che ci garantiva ampia autonomia, forse troppa per i nostri “tutori”. Sia chiaro, la classe politica è indifendibile e la sua colpa più grave non è solo di aver consentito questa nuova forma d’invasione straniera ma di esserne in qualche modo complice. Le opposizioni e parte della stessa ex maggioranza non hanno fatto altro che ripetere che l’Europa (parola pronunciata sempre con tono solenne, come faceva Romano Prodi) e “i mercati” volevano le dimissioni di Silvio Berlusconi. Nessuno che abbia avuto il coraggio di affermare che i governi italiani vengono fatti cadere dagli elettori italiani, non dalle banche, dagli speculatori, dagli stranieri e dai burocrati di Bruxelles. Invece sono tutti in ginocchio davanti a loro, divinità supreme ma sobrie. Nella migliore tradizione italiana, “Franza o Spagna purché se magna”.
Eppure i vertici del mondo bancario e della Ue non sono più credibili dei nostri politici. Numerose inchieste hanno dimostrato lo sperpero di miliardi di euro da parte di Bruxelles e Strasburgo, gli eurodeputati costano di più e hanno più privilegi di quelli nazionali e la Bce nel 2008 alzò il costo del denaro nonostante gli evidenti sintomi di crisi dell’economia per rallentare un’inflazione immaginaria determinata solo dal petrolio che aveva superato i 140 dollari al barile. Jean Claude Trichet ci ha riprovato nella primavera scorsa, ancora una volta confondendo l’inflazione con il petrolio alle stelle a causa della guerra libica. Ha alzato di nuovo il costo del denaro (e dei nostri mutui) nonostante di ripresa si parlasse solo nelle preghiere. Giusto per dare un senso di continuità alle iniziative della Bce il nuovo presidente, Mario Draghi, ha deciso di riabbassarli dello 0,25 per cento la settimana scorsa. E poi ve lo ricordate il sobrio professor Monti magnificare all’Infedele di Gad Lerner il successo dell’euro che aveva costretto la Grecia ad assimilare “la cultura della stabilità”? Chi ci impone regole, governi e programmi economici non sembra brillare per competenza e autorevolezza. La costruzione dell’Europa del resto non ha mai avuto molto a che fare con il consenso popolare. Nessuno ha mai chiesto agli italiani e a molti altri popoli se volessero l’adesione all’Unione o all’euro. La Ue non è riuscita neppure ad avere uno straccio di Costituzione poiché quella messa a punto è stara bocciata negli unici due referendum indetti in Olanda e Francia. Poco amate dagli elettori europei (che eleggono i parlamentari nazionali da inviare a Strasburgo ma non i membri della Commissione) le elefantiache e costosissime caste che guidano la Ue e la Bce detestano referendum e suffragi popolari. Quando in Grecia il premier Papandreu ha “osato” proporre un referendum per chiedere ai cittadini se volevano i sacrifici per restare nell’euro è stato “fucilato” da Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, quest’ultimo lo ha anche insultato in uno dei suoi ormai consueti “fuori onda programmati”. Pochi giorni dopo il premier greco è stato costretto a dimettersi dalla defezione (casuale?) di quattro deputati del suo partito e a guidare il nuovo governo (ovviamente tecnico) è stato chiamato un banchiere, Lucas Demetrios Papademos, ex governatore della Banca Centrale greca ed ex numero due della Bce. Dovrà gestire un programma di austerity nel quale i saldi di Stato consentiranno ottimi affari per la grande finanza, i grandi investitori, gli speculatori e i grandi gruppi internazionali, soprattutto quelli franco-tedeschi perché le banche di Parigi e Berlino detengono buona parte del debito greco.
Nonostante l’Italia rappresenti l’ottava potenza economica mondiale non è stata trattata meglio. Anche Berlusconi ha avuto i suoi “traditori” e i suoi” avvertimenti”. Come l’attacco borsistico a Mediaset (meno 12 per cento in un sol giorno) che ha “consigliato” il premier di ritirare l’idea di posticipare le dimissioni e appoggiare la candidatura di Monti, nominato poche ore dopo senatore a vita dal Quirinale. Fino a pochi anni or sono sarebbe bastato molto meno per denunciare minacce alla democrazia o ingerenze esterne nella vita politica italiana. Appena nominato il sobrio premier Mario Monti è andato in ginocchio dal presidente della commissione europea Josè Manuel Barroso a farsi indicare le priorità della sua agenda, poi dal presidente del consiglio europeo Herman van Rompuy, da Angela Merkel e Nicolas Sarkozy a promettere che “farà i compiti a casa” e a “impressionare” la cancelliera tedesca per le misure che adotterà delle quali non aveva però ancora informato né il Parlamento né l’opinione pubblica. Ora però che la nuova manovra da 25 miliardi di euro sta prendendo corpo siamo impressionati anche noi ma non certo in positivo. Di fatto solo tasse per tutti, una stangata più che una manovra che sembra voler affossare ogni possibilità di sviluppo rendendoci ancora più sudditi e meno cittadini. E’ questa la rivoluzione liberale dei professori/banchieri? E’ questa la svolta che ridarà fiato all’economia italiana? Roba che non era più una novità già ai tempi dei governi Andreotti. Per attuare queste misure non c’era bisogno di scomodare i luminari della Bocconi o il gotha dei banchieri, bastava e avanzava la nostra penosa classe politica. Infatti queste misure rivoluzionarie hanno soddisfatto la Merkel e Sarkozy che hanno espresso a Monti “fiducia e sostegno”, forse perché il professore ha accettato di trasformare l’Italia in un bel discount grazie all’impegno ad abrogare la “golden share”, il meccanismo che ha finora permesso allo Stato di conservare il controllo di aziende strategiche nei settori energetici di energia, comunicazioni e difesa: Eni, Snam rete gas, Enel, Telecom e Finmeccanica. Una questione di libertà di mercato sottolineano alla Ue e alla Bce, dove le pressioni sull’Italia in tal senso sono fortissime ma dove nessuno sembra aver fretta di demolire meccanismi simili presenti in Germania, Francia e altri Paesi dell’area euro per impedire “scalate” agli asset strategici nazionali. Ma è possibile che con l’euro che rischia di andare a fondo l’asse franco-tedesco che domina Ue e Bce non abbiano di meglio a cui pensare che alla “golden share” italiana? Possibile che tutte le misure urgenti per le quali il governo Berlusconi era inadeguato e che dovevano essere adottate immediatamente (pena la catastrofe) non se ne sia vista nemmeno una ma si parli di “golden share”? Il motivo pare evidente e lascia aperti molti sospetti circa il perché all’Italia, con i conti per molti versi più in ordine di quelli francesi (che possono rifiutare il controllo di Bruxelles sul loro bilancio) o britannici (che hanno avuto la scaltrezza di restare fuori dalla truffa dell’euro), non sia stato concesso il privilegio di andare al voto come la Spagna. Prima di tornare ad essere un Paese democratico dobbiamo vendere, anzi svendere considerati i chiari di luna borsistici, le nostre aziende di punta agli stranieri, o per meglio dire ai nostri concorrenti. Quei Paesi (dagli Usa alla Gran Bretagna, dalla Francia alla Germania) che come si è visto chiaramente in questi ultimi tempi (dalle questioni finanziarie alla guerra in Libia) possono venire definiti partner solo da chi è in affari con loro.
Perché è evidente che nell’attuale situazione, con Finmeccanica che dopo il recente (casuale?) mega crollo borsistico ha una capitalizzazione di appena due miliardi ( solo i suoi beni immobili valgono il doppio), abrogare entro un mese la “golden share” significa consentire ai colossi anglo-americani e franco-tedeschi della Difesa (Thales e EADS in testa) di inglobare il gruppo italiano o le sue aziende più competitive. Pochi giorni or sono a Berlino è stato firmato un accordo di militare tra Italia e Germania che dovrebbe bilanciare l’asse franco-britannico nel campo della Difesa (a proposito di Europa unita !) e che prevede una stretta cooperazione industriale in diversi settori ma che potrebbe trasformarsi in sudditanza tecnologica dell’Italia se svendessimo le nostre aziende del settore. I segnali in questo senso ci sono tutti e un documentato articolo della Stampa (che riproponiamo nella sezione Industria) ha evidenziato il concreto interesse della francese Thales ad acquisire Oto Melara e Wass. Fino a un anno or sono coi francesi si discuteva di joint ventures paritetiche, oggi i Galli calano in Italia al grido di “guai ai vinti” come fece Brenno un po’ di tempo fa. Certo il sobrio Mario Monti ha detto subito, nel discorso di presentazione del suo governo in Parlamento, che si offende a sentire parlare di “poteri forti”, di governo dei banchieri che ha usurpato il potere al popolo benché proprio la grande finanza sia stata all’origine della crisi nella quale ci dibattiamo dal 2008. Peccato che mentre la stampa italiana si è sdraiata adorante ai suoi sobri piedi a Parigi il quotidiano “Le Monde” abbia ricordato in un articolo del 14 novembre dal titolo eloquente ”Goldman Sachs, le trait d’union entre Mario Draghi, Mario Monti et Lucas Papadémos” che gli uomini al governo senza il consenso elettorale in Italia, Grecia e alla Banca centrale europea sono consulenti della grande banca statunitense la cui formidabile influenza in Europa sembra essere sfuggita a molti. Monti del resto ha ragione quando afferma che di poteri forti purtroppo non ne esistono in Italia. Infatti il nostro Paese è oggi in mano a poteri forti stranieri e non certo amichevoli. Non si spiega infatti perché le banche italiane siano sotto osservazione dalla Bce ma non lo siano invece quelle tedesche e francesi che, a differenza delle nostre, sono letteralmente zeppe di titoli-spazzatura. Molte banche greche, altro Paese sotto occupazione, sono in svendita e i grandi gruppi bancari internazionali sono già pronti a mangiarsele. Probabilmente molto presto i professori ci diranno sobriamente che le nostre aziende e banche vanno vendute agli stranieri, sacrificate sull’altare della riduzione del deficit e nel nome di un liberismo che è ufficialmente un dogma per tutti ma che i forti non applicano in casa loro e i deboli subiscono. Dopo aver fatto man bassa al “discount Italia” le potenze occupanti potrebbero anche farci tornare a votare, come un lander tedesco o un dipartimento d’oltremare francese.
Gianadrea Gaiani
Fonte: http://cca.analisidifesa.it/
Link: http://www.analisidifesa.it/anno12/numero124/testata/ita/indice.htm
5.12.2011