Riceviamo e volentieri pubblichiamo
DI AMIR AHMADI
Quanti elementi di dissonanza nelle recenti diatribe pro-Mousavi.
Prima, banale considerazione: Tehran non è l’Iran. Questo Ahmadinejad l’aveva capito benissimo, e ci ha giustamente puntato. I milioni di elettori sparsi per il paese non si identificano con la quota di ventenni nati dopo la rivoluzione e cresciuti tra pasdaran di giorno ed MTV la notte, e le cifre parlano chiaro. L’unico che sembra non averlo ancora capito è proprio Mousavi.
Secondo: che il “moderato” Mousavi abbia iniziato a proclamare vittoria a scrutinio in corso aveva già di sé del ridicolo; che denunci brogli dopo essere stato travolto è grottesco. Potrei capire la rabbia di chi viene superato con poco scarto, ma se il tuo avversario prende il doppio dei tuoi voti, recita un mea culpa e tornatene a scaldare il té, non a fomentare rivolte, irresponsabile. Leggo che si sarebbe dichiarato “pronto ad un nuovo confronto”; ma perché mai, di grazia, il trionfatore “nemico” dovrebbe prestarcisi, con questi numeri? Alla faccia del pragmatico moderato; questo è proprio un fesso.
Terzo: da dove salta fuori tutta quest’aura di “riformismo” in capo a Mousavi? Per chi non lo sapesse, costui è già stato per 8 anni capo di stato all’epoca di Khomeini. Ce lo vedo poco, ora che è pure più anziano, a fare la parte del liberatore.
Quarto: non prendiamoci in giro, se vogliamo criticare il sistema elettorale in Iran non basta appellarsi al riconteggio dei voti a “frittata fatta”. Prima di arrivare al voto di venerdì, il consiglio dei Guardiani della Rivoluzione, potentissimo organo statale, aveva già rasoiato le candidature di altri 400 soggetti circa. Il che implica due ulteriori ipotesi:
A-che Mousavi sia un ipocrita ad accettare il “sistema” finché funziona per lui, e poi a vaneggiare di “colpi di stato” una volta sconfitto dal referendum;
B-che se anche Mousavi avesse vinto, non avrebbe cambiato di una virgola l’attuale conformazione del potere in Iran. Proprio perché sarebbe stata un’elezione figlia di uno scrutinio a monte.
Quinto, ancora sui numeri del referendum e la presunta “sorpresa” di quelli coi lacrimoni della Vannuccini di Repubblica e paccottiglia varia: alla stessa vigilia del voto, nessuno avrebbe scommesso un rial sulla sconfitta di Ahmadinejad. Anzi, la sorpresa è stata quella di vedere un voto a favore inferiore alle aspettative! La stessa CIA dava una proiezione nell’ordine di un semplice 14 per cento a favore di Mousavi. Anche solo statisticamente, aggiungerei, non risulta esserci mai stato un caso di capo di stato che, in Iran, abbia fallito la riconferma del mandato dopo i primi quattro anni.
Ora, stante la certezza dei numeri e l’infondatezza delle accuse dei delusi sostenitori di Mousavi, proviamo a dipingere scenari e ad interpretare i fatti odierni alla luce dei molteplici interessi in gioco:
Dalla parte di Khamenei, ovvero del potere che conta in Iran.
Il paese era, l’abbiamo visto tutti, sotto i riflettori di ogni tv straniera. E’ molto probabile che, dopo il sermone di Obama al Cairo e le elezioni in Libano (che hanno visto la sconfitta di Hezbollah), il referendum iraniano fosse visto come l’opportunità di voltare pagina in tutto il medio-oriente in pochi mesi. E’ verosimile immaginare che la “caduta” di Ahmadinejad fosse un sogno proibito più extra-iraniano che altro.
La conferma dell’ex sindaco di Tehran invece lancia un messaggio molto chiaro: i programmi non cambiano di una virgola, ed ora che sappiamo chi sarà il nostro portavoce per altri 4 anni, sarà lui a valutare le “aperture” (finora solo verbali) degli Stati Uniti. E sappiate (ma lo sapete già) che il tipo è tosto, per usare un eufemismo.
Dalla parte dell’asse USA- Israele: l’accennato discorso di Obama ha avuto la prevedibile ondata emotiva che ha fatto riguadagnare consenso all’amministrazione statunitense, ma una lettura più attenta del discorso tradisce le intenzioni del giovane presidente. Limitandomi questa volta al perno iraniano, ritengo sia stato riduttivo, per non dire offensivo, parlare del paese unicamente in termini di sviluppo nucleare. Questa parte non è passata inascoltata dagli iraniani, dalle alte alle basse sfere, ed ha rinforzato la posizione di Ahmadinejad come unico uomo forte in grado di reggere il confronto sul tema e guadagnare la tecnologia nucleare (cui neanche i sostenitori di Mousavi si sognano di rinunciare, sia chiaro).
Dalla parte degli ahimé stereotipati osservatori che “tifano per la libertà dei popoli” e si sorbettano le quotidiane corbellerie ora dei delinquenti esuli iraniani in esilio, ora dei cosiddetti “giornalisti” che invece di fare i reporter nella maggior parte dei casi fanno gli opinionisti dall’ufficio:
appoggiare la rivolta in nome della libertà e del progresso di una nazione quando invece un cambio di regime lo farebbe ripiombare trent’anni indietro è irresponsabile e criminale.
schierarsi a favore di un candidato di fatto sconosciuto ai più e che ha ottenuto un quarto delle preferenze è semplicemente stupido. Senza offesa.
Vorrei anche sapere, dai facinorosi protestanti che addirittura partecipano a cortei di fronte alle ambasciate, come mai l’ipotesi di un broglio in un paese orientale è un “segno di dittatura”, mentre in occidente è un semplice “errore della democrazia”?
Dov’erano tutti questi scandalizzati, quando l’impunito Bush rubò le elezioni nel 2000 e nel 2004?
I cori di proteste che arrivano dai giovani impiastri non sortiranno altro effetto se non quello di isolare ulteriormente l’Iran. Tutti si riempiono la bocca di parole come libertà e giustizia, ma è al solito ritmo dei tamburi belligeranti, mai sopiti in sottofondo, che vanno giorno dopo giorno a segnare il destino di coloro dalla cui parte pretenderebbero di stare.
Amir Ahmadi
16.06.2009