TATTICHE E STRATEGIE DEL WTO

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DI UMBERTO MAZZEI
globalresearch.ca

Il WTO (o OMC, Organizzazione mondiale per il commercio) è un forum multilaterale importante perché tenta di negoziare il futuro. Lo scopo non dichiarato della creazione del WTO era perpetuare, attraverso accordi internazionali, il modello di squilibri commerciali dell’economia internazionale. Lo stratagemma consiste nel convocare un forum per negoziare un emendamento fondato su principi di equità. La tattica consiste nello sfiancare la resistenza mediante un’immobilità evidentemente ripetitiva. Di conseguenza, il Doha Round, definito “ciclo dello sviluppo” e volto alla graduale eliminazione dei sussidi agricoli – che sono aumentati – ora riguarda solo la liberalizzazione del mercato, mentre la parola “sviluppo” è totalmente scomparsa.

L’ironia dei negoziati sta nel fatto che tutti i Paesi rivendicano il perseguimento di una maggiore apertura dei mercati mentre chiedono “flessibilità” per tenere chiuso il proprio.

I Paesi sviluppati – quelli che traggono i maggiori vantaggi dagli attuali squilibri – non vogliono rinunciare a nulla di tangibile, ma continuano a richiedere un maggiore spazio per i propri prodotti industriali (NAMA) e per l’esportazione dei propri prodotti agricoli sovvenzionati. Questo chiedere senza dare ha dato origine ad un’escalation, un imbroglio tecnico di complessità tale da non poter essere gestito dai Paesi che non dispongono del supporto di team specialistici. Il logoramento della resistenza è visibile; questioni che in passato erano state respinte con decisione dai Paesi in via di sviluppo sono ora nei testi negoziali. La retorica degli accordi “win-win” è svanita, lasciando spazio solamente alla volgare ambizione di vincere a spese altrui.

Gli obiettivi della negoziazione

C’è molta retorica, ma il fine originale e segreto delle negoziazioni è aprire i mercati alla produzione e al marketing dei cartelli internazionali. I cartelli non hanno Stato, ma controllano i governi dei Paesi sviluppati che parlano a loro nome; se avete dei dubbi, date un’occhiata alla gestione della crisi finanziaria. Il controllo dei cartelli internazionali incontra resistenze politiche in alcuni Paesi in via di sviluppo, nei quali il sostentamento delle industrie e di gran parte della popolazione dipende dall’agricoltura. Questo è il caso, con diverse sfumature, di Argentina, Brasile, Cina, India e Sudafrica.

L’agricoltura è essenziale alla sovranità politica, come sanno tutti coloro che hanno sofferto o soffrono – come Gaza e Cuba – fame e privazioni dovute a blocchi che sono atti di guerra genocida. Questa è la ragione per cui l’asse della negoziazione è costituito dai beni agricoli. Nel commercio agricolo c’è un’evidente iniquità e il problema principale è rappresentato dalle distorsioni di prezzo dovute alle sovvenzioni all’agricoltura, che in realtà finiscono più agli intermediari che ai produttori.

Per ragioni geografiche e per l’abbondanza di manodopera, i Paesi tropicali e subtropicali dovrebbero essere i principali esportatori di prodotti agricoli. L’Europa e l’America non sono efficienti nella produzione agricola, ma la sovvenzionano, e la proteggono elevando le tariffe. Fino a qui, si tratterebbe di una logica basata sui criteri della sovranità alimentare. Il fatto irrazionale è che l’Europa e l’America, grazie a tali sovvenzioni, sono i principali esportatori di prodotti agricoli con prezzi sottocosto nei Paesi in via di sviluppo: una pratica di dumping che sta rovinando i coltivatori e le economie locali.

Alcuni Paesi – Argentina, Australia, Brasile, Nuova Zelanda – sono molto efficienti e riescono ancora a competere ma con profitti inferiori, perché il mondo sviluppato abbassa i prezzi mondiali mediante le sovvenzioni. Ciò rende le sovvenzioni ai coltivatori uno strumento che previene la creazione di capitale nei Paesi agricoli. Queste pratiche sono etichettate come libera concorrenza, eliminazione degli handicap, o altri termini del gergo neoliberista.

Divide et Impera

Il “divide et impera” (dividi e conquista) è un principio romano, ma è ben messo in pratica dagli Anglosassoni e da altri colonialisti. La mappa dell’Africa mostra antiche comunità nazionali separate da linee artificiali che ora dobbiamo rispettare. L’America spagnola fu frammentata dal sostegno dato ai signori della guerra regionali. Gli Inglesi e i Brasiliani divisero Rio de la Plata tra Argentina, Uruguay [1] e Paraguay. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna incoraggiarono il separatismo nella Great Columbia e intervennero per atomizzare l’istmo centroamericano.

Nel WTO i Paesi in via di sviluppo hanno una maggioranza schiacciante ed è dunque necessario dividerli. La prima divisione avvenne al di fuori del WTO, quando i cartelli internazionali ottennero tutto ciò che poterono attraverso gli accordi di libero mercato (FTA) che gli Stati Uniti e l’Europa firmarono con Paesi di cui controllavano le classi governanti. I negoziati WTO si limitano quindi a quei Paesi in via di sviluppo fuori del controllo USA ed europeo.

Al WTO, un efficace strumento di divisione è il principio del “trattamento speciale e differenziale”, una sorta di “pagami poi”. Sulla base di questo principio esistono distinzioni arbitrarie quali i “Paesi meno avanzati” (PMA) e le “piccole economie”, che sono esenti – per ora – dal fare concessioni e quindi dalle questioni da negoziare. Quando vediamo che le PMA sono ex-colonie ancora dipendenti e che il concetto di piccole economie fu promosso (con alla testa il Guatemala) da Paesi che avevano firmato FTA con gli USA, sappiamo chi c’è dietro.
Ci sono divisioni che risultano dal processo negoziale. Esistono cinque gruppi di Paesi legati solo al commercio agricolo: il Gruppo di Cairns, il G-20, il G-33, il G-10 e l’ACP [2]. Il Gruppo di Cairns (Paesi agricoli efficienti) [3] richiede l’eliminazione di tutte le sovvenzioni e l’apertura dei mercati. Il G-20 chiede la stessa cosa, con qualche riserva. I G-33 (prodotti speciali e salvaguardie) è composto da 45 Paesi in via di sviluppo che difendono settori di sussistenza vulnerabili, ma solo 8 sono ancora attivi, perché a 37 è stato somministrato l’oppio delle piccole economie. I G-10 sono Paesi industriali (prodotti sensibili) che proteggono i propri settori agricoli strategici. I Paesi ACP difendono le loro preferenze agricole europee dall’erosione dovuta alla liberalizzazione del commercio.
Nel NAMA – “Non-agricultural Market Access” (prodotti industriali), il gruppo NAMA 11 è l’unico a sostenere il diritto di proteggere la propria industria domestica. Di questi 11 Paesi, solo Argentina e Sudafrica sono molto attivi. Il Brasile sta cedendo.

L’America Latina nel WTO

L’America Latina non è una forza nel WTO. Alle negoziazioni sull’agricoltura non ci sono gruppi come il GRULAC o la Comunità Andina o il MERCOSUR, che risaltino accanto al profilo del Gruppo Africano e del Gruppo ACP. L’immagine è caotica, e alcuni Paesi latinoamericani appartengono contemporaneamente a gruppi in conflitto. Vediamo la loro coerenza:

– Gruppo di Cairns: Colombia e Costa Rica appartengono solo a questo gruppo.
– G-20: L’Ecuador appartiene solo a questo gruppo.
– G-33: Honduras e Nicaragua appartengono solo a questo gruppo.
– Gruppo di Cairns e G-20: MERCOSUR e Cile sono in entrambi.
– G-20 e G-33: Venezuela e Cuba sono in entrambi.
– Gruppo di Cairns, G-20 e G-33: Bolivia e Guatemala sono in tutti e tre.
– Piccole economie: Qui troviamo tutto il Centro America ad eccezione di Costa Rica, gli interi Caraibi, Ecuador, Paraguay, Bolivia e… il Venezuela richiede un simile trattamento nel NAMA!

Le politiche negoziali sono evidentemente assenti quando un Paese, nonostante le contraddizioni, appartiene a tutti i gruppi di Paesi in via di sviluppo, come ad esempio il Guatemala. Il vantaggio può essere solo la possibilità di raccogliere un sacco di informazioni.

Ci sono alcune strutture latinoamericane che potrebbero essere più utili. Un esempio è l’ALADI perché beneficia della “clausola di abilitazione” del WTO [4]. Il GRULAC ha politiche miste, ma ci sono forum in cui ha una posizione distintiva. Alla Commissione Codex Alimentarius, il GRULAC, in quanto Comitato Codex dell’America Latina e dei Caraibi, è riuscito a neutralizzare le iniziative europee volte all’introduzione di standard sanitari sfavorevoli alle esportazioni latinoamericane.

Un gruppo latinoamericano che inizia a dimostrare un coordinamento efficace è l’ALBA [5]. Qualche giorno fa, in occasione di una proposta indiana sulla riforma e sulla trasparenza del WTO che conteneva una pericolosa ambiguità in riferimento alla volontà multilaterale, il gruppo ALBA ha imposto una clausola che afferma la necessità dell’unanimità [6] nelle decisioni. Nella stampa statunitense stanno già comparendo editoriali critici rispetto al requisito dell’unanimità nel WTO…

Ragioni per rifiutare i testi proposti.

Il WTO si è concentrato su riduzione di tariffe, apertura dei servizi e protezione della proprietà intellettuale, invece che sulla diminuzione delle distorsioni economiche. Tali priorità hanno lo scopo di mantenere e peggiorare le distorsioni esistenti. Vedendo che i Paesi più colpiti dalla crisi finanziaria sono quelli maggiormente coinvolti nei mercati finanziari globali, è evidente che tale crisi ha mostrato i pericoli posti da rapide liberalizzazioni e azioni di deregulation. La crisi ha anche evidenziato la vulnerabilità dei Paesi che dipendono dal mercato mondiale per i bisogni primari, come il cibo.

I leader dei G-20 tenutisi a Washington, Londra e Pittsburgh, sembrano impantanati in una foschia irreale e ripetono, come un mantra, che dobbiamo concludere il Doha Round entro il 2010. All’interno degli stessi Paesi esistono chiare linee politiche che si stanno muovendo in direzione opposta: le decisioni di Argentina, Cina e India di frenare le esportazioni agricole affinché gli alimenti siano a disposizione del consumo domestico; l‘inflessibilità della posizione negoziale degli USA e l’urgente priorità della sua agenda interna; la proliferazione di misure per stimolare le industrie domestiche e conservare l’occupazione. Tutti questi segnali non sono lì per caso.

Sembra che il direttore del WTO, Pascal Lamy, non ne sia consapevole, ma molti governi ritengono che una crisi generalizzata e di durata incerta non sia il momento migliore per rinunciare agli elementari strumenti di politica economica. I più recalcitranti nelle negoziazioni sono stati, di certo, i grandi giocatori del mondo sviluppato. È assurdo cercare accordi multilaterali statici mentre le dinamiche globali suggeriscono importanti cambiamenti internazionali.

I Paesi in via di sviluppo che controllano le proprie politiche nazionali dispongono di una valida opzione di crescita in termini di sviluppo regionale e domestico, mentre attendono mutamenti geopolitici che renderanno il commercio internazionale uno scambio più equo, pagato in una valuta più solida.

Umberto Mazzei
Fonte: www.globalresearch.ca
Link: http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=16065
13.11.2009

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ORIANA BONAN

Note

1. L’Uruguay rappresenta un caso curioso. Non dichiarò l’indipendenza dalla Spagna come gli altri Paesi ispanoamericani. Esso dichiarò l’indipendenza dal Brasile che lo invase nel 1816 mentre era governato dal principe ereditario portoghese.
2. Ex colonie europee in Africa, nei Caraibi e nel Pacifico; comprende Cuba e la Repubblica Dominicana.
3. Argentina, Australia, Bolivia, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Costa Rica, Filippine, Guatemala, Indonesia, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Tailandia; in totale erano 16. Il Pakistan ha aderito di recente.
4. Decisione del GATT del 28/11/1979 (doc. GATT L/4903), che esenta da compensazione ogni trattamento tariffario preferenziale tra Paesi Membri in via di sviluppo.
5. ALBA è un gruppo di Paesi in via di sviluppo composto da Venezuela, Bolivia, Ecuador, Nicaragua, Cuba, Dominica, Saint Vincent e Grenadine, Antigua & Barbuda e Honduras.
6. Significa che non c’è opposizione. È una regola fondamentale per il rispetto della volontà sovrana nell’ambito delle coalizioni tra Paesi. L’opposizione deve essere formale perché nel WTO il silenzio è considerato assenso. Unanimità significa che un solo voto contrario può fermare l’approvazione.

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