SURDULICA: UN “GIORNO FELICE” PER LA NATO

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DI GREGORY ELICH

counterpunch.org

L’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico (NATO) proclama il suo “impegno per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale”. I media mainstream raramente, o per meglio dire quasi mai, guardano al di là delle auto-giustificazioni e delle blande dichiarazioni di superiorità fornite dai media occidentali, e ben poco si pensa a ciò che le guerre di aggressione della Nato hanno significato per coloro che stavano dall’altra parte della barricata.

Durante le prime due settimane di agosto 1999, sono stato un membro di una delegazione in viaggio in tutta la Jugoslavia, che documentava i crimini di guerra della NATO. Una delle nostre fermate era a Surdulica, una piccola città che allora aveva una popolazione di circa 13.000 abitanti. Inizialmente ci incontrammo con il management di Zastava Pes, una fabbrica di parti elettriche per auto che un tempo aveva occupato fino a 500 lavoratori. In tempi migliori, le esportazioni annuali dello stabilimento erano pari a $ 8 milioni. Le sanzioni occidentali avevano fatto cessare i contratti di esportazione e impedito l’importazione di materiali, provocando una riduzione del 70% della forza lavoro e un declino dell’ economia locale.

Il personale della Zastava Pes ci disse che le bombe e i missili erano regolarmente piovuti sulla loro città.
Siamo stati prima portati in un sanatorio, situato in cima ad una collina boscosa che domina la città. Il sanatorio consisteva in un ospedale specializzato per le malattie polmonari, che ospitava anche i rifugiati, e un secondo edificio che fungeva da casa di riposo.

Poco dopo la mezzanotte, la mattina del 31 maggio 1999, gli aerei della NATO lanciarono quattro missili contro il complesso del sanatorio, uccidendo almeno 19 persone. Non fu possibile accertare il numero esatto delle vittime perché molte parti del corpo non potevano essere abbinate ai 19 corpi. Altre 38 persone rimasero ferite. Ci dissero che la forza delle esplosioni era stata così potente che si potevano trovare parti del corpo delle vittime fino ad un chilometro di distanza. Dopo l’attacco, le parti del corpo penzolavano tra gli alberi, e il sangue colava dai rami. Al momento della nostra visita, la zona era in gran parte ripulita, ma avemmo la possibilità di vedere i vestiti strappati sparpagliati tra i rami degli alberi ad alto fusto.

Anche se solo un missile aveva colpito la casa di cura, esso causò danni enormi. Camminammo intorno alla parte posteriore, sul lato sud-ovest dell’edificio. Una sezione del secondo piano era crollata, e l’intero lato dell’edificio era stato ampiamente danneggiato, con cumuli di macerie alla base dell’edificio. Sul lato nord-est del complesso, l’edificio che ospitava rifugiati e pazienti aveva un enorme buco sulla facciata, da cui usciva un fiume di macerie come si trattasse di sangue da una ferita. Ci arrampicammo sopra il tumulo di macerie e ci facemmo strada nella costruzione. I detriti erano disseminati nei corridoi e in diverse camere trovammo materassi, vestiti e oggetti personali danneggiati aggrovigliati tra di loro in maniera confusa. Mattoni e blocchi di cemento erano sparsi tra le macerie, e una pagnotta di pane se ne stava accanto alla camicia di un bambino. In un’altra stanza, riviste per adolescenti e libro di testo di un bambino erano sparsi tra le macerie. Nel centro della stanza, malinconicamente solitario, un orsetto di peluche.

Secondo la relazione di indagine stilata in loco il 3 giugno, ci vollero tre giorni per estrarre i corpi dalle macerie. Il piazzale esterno all’Ospedale polmonare “era coperto da parti di corpi umani, teste strappate, braccia e mani e corpi parzialmente coperti di materiali vari (macerie, polvere, mattoni rotti) e di detriti dall’edificio. “Una testa strappata di un uomo, di circa 70 anni di età, fu trovata fuori. Vicino a questa testa, c’era un altro corpo ricoperto da detriti e da un braccio strappato. Tre corpi erano a breve distanza, di cui uno con la testa parzialmente spaccata. “Il tessuto cerebrale … poteva essere visto su alcune parti delle macerie”, dice il rapporto.

Come rifugiati dalla Croazia, la diciannovenne Milena Malobabich, sua madre, e i suoi due fratelli erano ospitati in sanatorio. L’intera famiglia fu uccisa durante l’attacco. Durante il raid aereo, in preda al panico, Milena corse dall’edificio, stringendo un quaderno in cui aveva scritto poesie. L’esaminatore del corpo di Milena osserva: “Il tessuto cerebrale era completamente assente, non vi era che polvere e sabbia nella cavità cranica.” Il sangue era scorso da dietro l’orecchio destro. Le costole di Milena erano state schiacciate, e la gamba sinistra e l’addome erano lacerate. Il suo notebook fu trovato vicino al suo corpo; su una pagina c’era scritto, “Ti amo, Dejane!”. Il cervello che aveva composto le poesie dedicate a Dejane era sparso a pezzi in tutto il cortile.

Visitammo poi un quartiere residenziale che era stato completamente spazzato via dai missili della NATO. Come avevamo visto in altre città, un notevole sforzo di ricostruzione era in corso. La responsabilità per la ricostruzione nazionale era stata assegnata alla Direzione per la Rinascita Nazionale, che era stata costituita solo dieci giorni dopo l’avvio della guerra. Un programma frenetico fu presto avviato, i quartieri distrutti furono liberati dai detriti e la costruzione di nuove case andava avanti serrata, anche se la NATO non cessava i suoi attacchi.

Al momento della nostra visita, ogni traccia di macerie era stata rimossa da questo quartiere, e la terra “lisciata” come nuova. Un bulldozer era parcheggiato nelle vicinanze, e la costruzione di due nuove case era iniziata. I residenti superstiti si avvicinarono e parlarono con noi, al fine di mostrarci le fotografie che avevano scattato all’indomani del bombardamento. Il livello di distruzione mostrato nelle fotografie era terribile, un tripudio confuso di detriti dove un tempo sorgevano diverse abitazioni.

Abbiamo visitato una seconda zona cancellata dai missili della NATO. Anche qui, la ricostruzione era in corso. Automobili fracassate e case parzialmente scoperchiate (visibili in periferia) erano gli unici ricordi fisici della tragedia.

Nel primo quartiere, un uomo di nome Dragan ci disse che le case erano state colpite a causa di missili vaganti. “Stavano cercando di colpire l’impianto di fornitura di acqua nelle vicinanze, con due missili.” Un altro sopravvissuto, Zoran Savich ci disse che le sirene suonavano ogni giorno, e la città veniva bombardata in più occasioni. Quattro mesi erano passati da quando il suo quartiere era stato colpito, ma il figlio di Dragan era ancora così terrorizzato che fuggiva in cantina ogni volta che avvertiva il rumore di un aereo in testa. A una distanza piuttosto lunga vi era un altro degli obiettivi della NATO, una caserma che era stata abbandonata durante la guerra. Salii in cima a una grande tumulo di terra per visualizzare le baracche da lontano, e vidi una grande distruzione. La NATO aveva disseminato le sue bombe e i suoi missili liberamente intorno a Surdulica. La distruzione di una caserma vuota era di dubbia utilità militare. La scelta come obiettivo da colpire di un impianto di approvvigionamento idrico era crudele, ma non c’erano parole per descrivere adeguatamente la distruzione di interi quartieri, come avevamo più volte testimoniato nei nostri viaggi. Alla fine della guerra, la NATO aveva distrutto circa cinquanta case in Surdulica, oltre ad averne danneggiate seriamente più di 600.

Una delle case bombardate apparteneva a Radica Rastich. In una deposizione, il suo vicino di casa Borica Novkovich ricorda: “Il suono era come un grande colpo alla testa. Tutto veniva capovolto e rotolava giù per la collina. Radica urlava, urlava e urlava ancora quando siamo venuti per aiutarla. La sua casa, da cui la prelevammo, era tutta contorta e sul punto di cadere. Era in fortissima agitazione; le sue mani erano premute strette sulle orecchie. Un altro sopravvissuto, Perica Jovanovich, ha dichiarato: “Non dimenticherò mai la strana voce della bomba. Quando l’aereo è in volo e la bomba viene sganciata, il rumore cambia. E terribile. E’ come la statica alla radio, ma così forte, e poi c’è questo baccano terribile e la pressione, e infine tutto si muove ed esplode”.

Era una giornata limpida, il 27 aprile, quando il primo quartiere fu bombardato. Su Jovan Jovanovich Zmaj Street, i bambini giocavano felici fuori quando gli aerei della NATO fecero il loro tragico arrivo. Sentendo il lamento delle sirene antiaerei, i bambini corsero in casa di Aleksandar Milich, dove si rifugiarono nel solido seminterrato del quartiere. Non passò molto tempo prima che due missili NATO si infilassero in quella stessa casa. Il suono dell’esplosione fu assordante, e il fumo e la polvere riempiva l’aria. Ogni casa nella zona fu distrutta, e i sopravvissuti urlavano mentre lottavano per sfuggire da sotto le macerie.

Stojanche Petkovich riferì che, dopo aver sentito la prima esplosione, si precipitò in casa Milich. Era nella cantina superiore e in procinto di scendere nella cantina inferiore quando il prossimo missile colpì la casa, scaraventandolo contro un muro. “Mi coprii la bocca con la mano per evitare che la polvere entrasse, perché c’era una grandissima nuvola di fumo e polvere. Quando mi ridestai un po’ dopo la seconda esplosione, chiamai quelli del secondo piano interrato, ma nessuno mi rispose. Potei vedere che il soffitto in quella parte del seminterrato era crollato. Poco dopo, Petkovich udì il rumore di blocchi che cadono e alzò lo sguardo per vedere “il soffitto sopra la mia testa stava scendendo su di me”. Il soffitto di cemento era ormai giù, inchiodando così la mia gamba destra. Stavo guardando l’altra estremità del soffitto, anche essa stava per cadere su di me, e vidi le sbarre di ferro in essa conficcate. Poi tutto si fermò. “Ci vollero due ore per tirare fuori Petkovich, l’unico sopravvissuto dalla casa Milich. Il sangue era schizzato tutto intorno dove un tempo c’era la cantina, e l’odore di carne bruciata riempiva l’aria. Ogni vittima è stata decapitata e smembrata. “Frammenti di loro erano sulla strada,” riferì un uomo . “Trovammo la testa di un bambino in un giardino e molte membra nel fango.”
Il 65enne Vojislav Milich, sentito il raid aereo in corso, si affrettò verso casa sua. Era a circa 100 metri di distanza quando vide idue missili che esplodevano sulla sua casa. “Quando il fumo svanì, vidi solo rovine della mia casa. Era stata raso al suolo, completamente abbattuta. Supposi che tutti i membri della mia famiglia e di tutte persone del quartiere fossero state uccise, cosa che purtroppo si è rivelata vera. “

La mattina dopo l’attacco, lessi la notizia su un sito internet jugoslavo. C’era una fotografia del retro di un’ambulanza, le porte spalancate. Dentro c’erano pezzi impilati di carne umana informe, ancora fumante – resti delle undici vittime, la più giovane dei quali aveva solo quattro anni.

Quattro ore dopo l’attacco, il Ministero della Difesa britannico annunciò che era stata una buona giornata per la NATO.

Gregory Elich è nel Consiglio di Amministrazione della Research Institute Jasenovac e nel board del Policy Institute Corea. E’ un giornalista per Voce del Popolo, e uno dei co-autori di “Killing Democracy”, pubblicato anche in lingua russa.

Fonte: www.counterpunch.org

Link: http://www.counterpunch.org/2015/03/31/a-good-day-for-nato/

31.03.2015

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di BUCANIERE

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