DI CARLO BERTANI
“The Poet and the Painter casting shadows on the waters the sun plays on the infantry returning from the sea.” “I poeti ed i pittori stendono ombre sulle acque, (mentre) il sole gioca sulla fanteria che ritorna dal mare.” Jan Anderson, Jethro Tull, Thick as a brick, (1972)
Anno nuovo vita nuova: già, così dicono. Ciò che noto, invece, nella cosiddetta “editoria alternativa”, è che siamo un poco incartati, motore in palla, che tossicchia e non supera i 3000 giri. Leggo gli articoli di Paolo Barnard o di Alberto Bagnai e m’accorgo che si continua a bofonchiare – per carità, con competenza – su monete e fondi, soluzioni finanziarie salvifiche…quando il vero problema è sì (anche) il sistema finanziario, ma soprattutto l’impianto di governo dell’economia.
Finiamo per diventare dei commessi di minuteria: come quelli che “lottano” per cambiare il PD di Renzi dall’interno, buffonate. Oppure credere che il cosmo sia la Luna, il cattolicesimo l’Ave Maria, il buddismo Om mani padme Om e la politica Renzi, la Boschi, Razzi e Grillo. Non voglio giungere al famoso dito ed alla Luna, ma ci siamo vicini.
E poi ci sono i complotti, che sono sempre esistiti: in politica, si chiamano più semplicemente “diplomazia”, poiché le mille e mille sedi diplomatiche – più i veri centri studi di contorno, i think-tank, i convegni dei “saggi”, i servizi…eccetera – altro non sono che congreghe per cercare di fregare gli altri. Come? Complottando, ovvio: c’è da meravigliarsi? Un ambasciatore è massone, uno “studioso” è del Bildenberg, un economista è della Trilaterale, altri giungono dal FMI, chi dalla Banca Mondiale…e da dove potevano giungere? Dall’Almanacco Topolino?!? Dalla “politica”: ah, ah, ah… Perdere del tempo per tracciare i confini del complotto, o addirittura divinare aruspici (avete letto l’incipit di Jan Anderson?) è tempo perso, perché le migliaia di persone profumatamente pagate per crearli, alla velocità della luce ne creeranno altri. Indicarli, sottolinearli…questo sì, ma non perderci troppo tempo, non farne il centro del giornalismo: altrimenti, si finisce sempre con il famoso dito. E quelli ridono, pensano: quanto sono stupidi…
Eppure, non sempre è stato così imponente l’attacco dei “divinatori” del futuro, soprattutto quelli dei think-tank targati USA. Perché? A ben vedere, il capitalismo finanziario – il trionfo della finanza, e gli USA sono il centro finanziario/militare del mondo occidentale – appartiene alle epoche di minor saggio di profitto industriale: meno beni si creano e si consumano, maggiori sono i “giochi” ed i “passaggi di mano” da parte di chi tenta di far soldi inserendosi nella catena degli sfruttatori. E chi deve creare quei beni? Ovunque sia, peggio per lui. Nei periodi postbellici, ad esempio – quando c’è tutto da ricostruire – il saggio di profitto complessivo è altissimo e, di conseguenza, conviene investire i soldi direttamente nelle aziende, creandole, oppure ricorrendo alla partecipazione azionaria la quale, guarda a caso, in quei periodi non riserva sorprese, se non il naturale fluttuare dei valori azionari.
Le monete? Non conta nulla la moneta che circola, basta averla e si duplica quasi da sola: ogni cosa si vende ed in fretta! Non ci credete? Nella Germania sconquassata del dopo Prima Guerra Mondiale, inventarono addirittura il Rentenmark – nell’epoca della parità aurea, una vera e propria bestemmia! – il quale non aveva altra copertura che…il fatto che tutti ci credessero! Poi, terminata la buriana, si tornò al Reichsmark, ma la valuta “effimera” ebbe corso legale fino al 1948! E noi stiamo a cincischiare su questa o quella moneta? Ma è solo il metodo per misurare il valore! Se non va bene l’euro, ti possono immantinente inventare il Cocco, il Petto, il Moloch – e te le possono fare con banca centrale pubblica o privata – più difficile (in realtà, meno conveniente) affrontare un discorso globale sulla teoria del valore, che condurrebbe a dover scomodare Adam Smith, Ricardo e Marx, solo per citare i principali filosofi che se ne sono occupati. Perché filosofi? Ma, secondo voi, ad occuparsi di teoria del valore – ossia di una prassi che pervade la vita di noi tutti – dovrebbero essere gli economisti?!? E le banche?
Nei periodi di capitalismo “industriale” se ne stanno buone buonine e fanno il loro mestiere: forniscono denaro ad interesse, remunerando i depositi con un interesse minore. Per statuto, non possono fare profitti. Ricordate le Casse di Risparmio? All’epoca, il circuito ICCRI era la principale banca italiana, e doveva esserlo, poiché la produzione industriale non poteva attendere. Ho spiegato, in un recente articolo, l’assurda vicenda odierna di Fincantieri, “in crisi” per necessità di capitali, con il portafoglio ordini (e, quindi, in prospettiva profitti) più elevato in tutta la storia dell’azienda. Una storia fuori tempo massimo. Banche d’affari? Una sola: Mediobanca, per l’uso privatissimo di lor signori, più un salotto buono che una banca.
Poi, cambiano i tempi: la gente non ce la fa più a cambiare una lavatrice l’anno, il saggio di profitto crolla e le fabbriche chiudono. Che fare? Due sono le possibilità: la guerra, oppure il capitalismo finanziario. Se non ci fossero le armi nucleari, state sicuri che la Terza Guerra Mondiale sarebbe già scoppiata da tempo: invece, non scoppierà mai più, almeno nei termini che la conosciamo. Si farà solo contro chi non possiede il potere dell’atomo, così stiamo al sicuro. Gheddafi se, invece di credere alle fandonie euroamericane, comprava i missili coreani (gittate di 2000+ km), oggi stava tranquillo nella sua tenda nel deserto, con Berlusconi accanto ed una montagna di Viagra sul tavolino. E i libici, rivedendo a posteriori, stavano meglio. Perché Wall Street aborrisce la guerra nucleare?
Poiché non vogliamo che il nostro bel Risiko/Monopoli, al quale siamo così affezionati, sparisca, volatilizzato da unFeuersturm nucleare, polverizzato insieme al prezioso tavolo sul quale era posato. Noi? Fuggiti da tempo ma, senza il nostro gioco… Così, niente guerra (nucleare) e niente distruzioni per ripristinare il capitalismo primitivo, nel quale si guadagnava un euro, tallero, zecchino…il pezzo. Una situazione storica completamente nuova – almeno, in questi termini, perché nell’ultimo quarto del secolo XIX avvenne qualcosa del genere…ricordate lo scandalo della Banca Romana? 1892, un secolo esatto prima di Tangentopoli – un quadro globale mai visto nel panorama umano. Oggi, non si possono mandare i carri armati in giro. Qualcuno vorrebbe…non posso sollevare la mia ascia contro XY perché ci fa paura la sua?!? Te lo faccio vedere io… Fermatelo, all’occorrenza sparategli, anche se è dei nostri. Ecco come vanno le cose: vedrete quanto ci metteranno a calmare sauditi ed iraniani dalle loro (giuste, sbagliate, ininfluenti, terribili…) velleità di “muscoli”.
Sia detto subito che il capitalismo finanziario non è proprio la panacea di tutti i mali per i tempi di vacche magre (saggio di profitto basso): sì, riesce a metterci una pezza ri-localizzando le aziende, sempre alla ricerca del mercato degli schiavi più promettente…però, dopo, si cominciano a perdere i pezzi sul fronte interno: salari minimi, occupazione saltuaria, welfare evanescente (per loro non è un problema, ma anche lì si spendono meno soldi, quindi meno profitti), eccetera…in sostanza, il prezzo delle merci deve essere tenuto bassissimo, altrimenti nessuno compra, e ciò vanifica in gran parte i risultati della globalizzazione sotto il profilo produttivo.
Il capitalismo finanziario è un mestiere per cuori e menti salde: le banche saltano come birilli, dall’oggi al domani i fondi perdono valore e ti ritrovi con un pugno di mosche…reggono i fondi sovrani…ma, se qualcuno dovesse dare l’assalto anche a quelli (sempre che non ti sparino prima), cielo che disastro! Il principale problema, però, è la perdita d’immagine del capitalismo, da sempre presentato – in alternativa ai sistemi totalitari (fascismi/comunismi) – come la pietra filosofale che risolve i tuoi problemi. E, attenzione, quella visione è iniziata molto tempo fa, almeno da quando non dobbiamo più raschiare le cortecce delle betulle e metterle a bagno nell’aceto per toglierci la fame. A volte, se mancava l’aceto, erano cortecce e basta.
Non abbiamo più la consapevolezza che un topo è il massimo dei banchetti possibile (solo pochi secoli or sono), ma i tempi delle “liquidazioni” da 100.000 dollari (dell’epoca) che ricevettero i militari americani congedandosi dopo la 2GM sono lontani, molto lontani, sembra che non siano mai esistiti. Eppure, il “regno della felicità” americano dei Fonzie, è esistito e tutti, all’epoca, furono convertiti: il capitalismo è il meglio che mai si sia visto, continuiamo così. A Cuba mangiano banane, noi bistecche e salmone.
Come si fa a spiegare che il capitalismo finanziario è roba da 500 euro il mese per lavorare come schiavi senza nessuna garanzia del futuro, senza pensione quando diventi vecchio, con medici oramai ansimanti negli ospedali, con professori mal pagati e che iniziano ad avere qualche certezza dopo i 50 anni? Quando il capitalismo “produttivo” ti mandava in pensione? Ci vogliono personaggi con una forte carica mediatica per mantenere la calma, gente che su Twitter fa grande politica (ah,ah,ah!), ed uno stuolo d’idioti che ci cascano: un personaggio come Matteo Renzi è perfetto, sembra clonato in vitro dopo una lunga gestazione artificiale.
Il nostro compito – almeno, mi piacerebbe che ci fosse dibattito sull’argomento – mi sembra che dovrebbe essere “far notare” alla gente (a quelli ancora preda dell’idiozia) le incongruenze e le mille infelicità che questo sistema economico porta con sé, non dire loro che incrementando temporalmente il rateo dello spread il millibar della guerra climatica diacronica decresce: secondo voi, ci capiscono qualcosa? Ma, qualcuno di noi cosiddetti scrittori o bloggher – ma anche i lettori, prima di commentare – va, ogni tanto, in un mercato rionale e si confronta con le persone vere? In carne ed ossa? Oppure corre solo dietro ai think-tank americani? Quelli – ricordatelo sempre – sono gente pagata dall’establishment politico perché, finanziando le fondazioni, detraggono quei fondi dalle tasse.
Ma…qual è lo stato di salute del capitalismo, e quali sono le possibili soluzioni? E’ vero che, oggi, poco più della metà della popolazione si reca al voto – e questo è un buon risultato per l’Italia: non ne parlano mai, ma è una delle principali preoccupazioni perché ogni voto “comprato” (per assicurare la cosiddetta governabilità) costa di più, le mafie alzano il prezzo, vogliono più contropartite e sempre più “succose”, il che aggrava la condizione della popolazione – ma sono ancora molti. Con trascorrere del tempo, il voto per appartenenza (ideale) sarà un limite tendente a zero, mentre, per contrappasso, quello per convenienza andrà alle stelle: si notano fenomeni nuovi, come la completa “franchigia” giudiziaria per qualsiasi reato legato alla pubblica amministrazione, e sempre più gravi ed evidenti. Segno che la compravendita di favori e voti è necessaria, come l’acqua nel deserto. Il problema non è, come afferma Grillo, arrivare al “51%” – perché non ti faranno giungere mai, sentito parlare di brogli? Visto “Il portaborse”? – bensì quello d’incrinare, pesantemente – in un mondo d’immagini – l’immagine del capitalismo.
Quella lontana immagine americana – le banane a Cuba e le bistecche negli USA – è la chiave di volta che sta crollando: vuoi l’automobile? Indebitati! Ma, indebitandoti, domani sarai ancora più povero e meno in grado di soddisfare le tue necessità. Nel capitalismo finanziario non c’è nessuna cornucopia che sforna soldi – a ben vedere, quella è rimasta nel capitalismo industriale – e, dunque, l’immagine del capitalismo come quella forma di governo dell’economia che “soddisfa ogni bisogno” sta irrimediabilmente offuscandosi, s’allontana, come dietro ad un vetro appannato. Abbiamo già ricordato che una guerra, in grado di portare distruzioni tali da far partire una nuova fase di capitalismo industriale (le bombe atomiche sono presenti anche nelle nazioni emergenti), è impossibile: terminata la fase “attiva” nelle economie emergenti, la stagnazione sarà planetaria. Allora?
Bisognerà, con pazienza, tornare a ragionare in termini di teoria del valore e distribuzione delle merci: qualcosa già si sussurra, come le provocatorie ammissioni di “lancio di banconote dagli elicotteri” le quali, altro non sono che una molto primitiva ed infantile richiesta di metter mano alle teorie del valore ed alla distribuzione (o re-distribuzione) delle merci. La Storia ci fornisce qualche esempio? Pochi, in verità, alcuni molto lontani, altri più vicini ma difficili da inquadrare per applicarli a livello planetario. Ci vorrà molto lavoro, e molte teste pensanti.
Se ne vogliamo trovare uno abbastanza lontano, ci sono le terre comuni – ossia il concetto di “qualcosa” che non è di nessuno, un bene che è anche tuo per solo diritto di nascita – il quale fu la principale ragione di due rivoluzioni, quella inglese e quella francese. I nobili volevano sopprimerle (ricordate Robert di Loxley, ossia Robin Hood?) e, al tempo di Luigi XIV, le patenti di nobiltà si vendevano facilmente al mercato di Versailles, bastava pagarle. Come? “Cartolarizzando” delle terre (Colbert, ripreso poi da Tremonti) – ossia incassando un valore minore, ma subito, per beni dei quali era incerta la sorte, perché si dovevano “rubare” alla collettività – e i francesi, i francesi…ci misero del tempo a capire l’inganno…però realizzarono la più importante rivoluzione del Pianeta.
L’attacco alle terre comuni non fu, in entrambi i casi, la “scintilla” che fece scoppiare l’incendio ma, nel ricordo collettivo, il “macigno” che s’abbatté sulla nobiltà la quale, con la fine del Medioevo, era fallita insieme al suo modello teocratico. In altre parole, mostrò che il nobile era lì per volontà di Dio, ma…E, quel “ma” fu determinante. Notiamo che in Inghilterra si giunse ad un accordo fra le parti, mentre in Francia – nonostante un re più aperto al cambiamento – non ci s’accordò…quisquilie…la fuga di Varennes fece perdere la testa a Luigi XVI…
Oggi, si torna a ragionare in termini simili. Qualcuno chiede: perché mai, se io vengo al mondo come chiunque altro, devo avere una vita completamente in salita, ed altri in discesa? Le religioni, a questo punto, giustificano tutto: eh, mio caro, accetta il volere di Dio, Allah lo vuole…oppure il karma…ne hai combinate nelle vite passate, eh? Come potrete notare, la via per giungere ad un reddito di cittadinanza non è lastricata di problemi economici, bensì filosofici. Ci potremmo inventare un reddito di cittadinanza, uguale per tutti (miliardari compresi): un reddito minimo (si parla di 500 euro, ma è solo un esempio), che non coprirebbe le spese del vivere, ma lascerebbe più calma per trovare la propria strada e, il progresso umano – nel senso principalmente delle scoperte scientifiche – fu realizzato da persone che non avevano di che preoccuparsi. Vedi Alessandro Volta, Galileo, Edison (che ebbe dei mecenate), eccetera…
La fonte, ossia dove si trovano i soldi? Il prof. Fumagalli – nel celebre saggio “10 tesi sul reddito di cittadinanza” (1) – ha impostato il problema istituendo un’imposta dello 0,01-002% sulle transazioni finanziarie. Come vedete, il problema è prima filosofico che tecnico: ad una domanda in merito, Elsa Fornero rispose che “se si faceva una cosa del genere, gli italiani si sarebbero fatti tante pastasciutte e non avrebbero più lavorato”. La cosiddetta “etica del lavoro”, a ben vedere, è la vera nemica del reddito di cittadinanza. Perciò, meglio campare di pane e latte finché dura mamma, ossia finché ci sarà la sua pensione – perché questa è la dura realtà di tante situazioni odierne – piuttosto che incrinare l’etica del lavoro: i nostri “politici” sono tutti d’accordo (salvo il M5S). Questa novità, però, proporrebbe un nuovo scenario: converrebbe a tante persone riunirsi, vivere in piccole comunità per suddividere i costi comuni. Quale bestemmia per l’establishment al potere! Il vivere comune è un pericolo assolutamente da evitare: la gente parla, si confronta, non sta più a farsi imbambolare di fronte alla Tv!
I nemici del reddito di cittadinanza, delle nuove terre comuni, potremmo dire – ricordiamo che siamo partiti dal problema “cosa fare di fronte a questa follia del capitalismo finanziario” – non sono dunque quelli tecnici (reperimento dei fondi) bensì filosofici (etica del lavoro) e politici (e dopo? Io, come faccio ad avere potere?). Contro queste tesi, si combatte parlando, scrivendo, divulgando…ricordiamo un detto orientale “quando l’allievo è pronto, il maestro appare.”
L’altro problema è la moneta, poiché viene considerata il vero problema in tutte le sale, dimenticando che una moneta che non ha, alle spalle, una seria risposta al problema del valore delle merci, è come un orologio per bambini (di un tempo), di quelli che non segnavano l’ora, bensì muovevano le lancette con la sola rotazione del pomello. Ci sono stati alcuni tentativi in merito, come quello di assegnare ad una moneta il valore di un’ora di lavoro media per tipologia, livello, ecc del lavoratore, calcolata a livello planetario, tenendo conto di una media dei prezzi d’acquisto. Ovvio che non l’hanno mai presa in considerazione: finché c’è mercato c’è speranza! Ci sono economie, però, che della moneta – per gli scambi più comuni – non sapevano che farsene.
Premetto di non essere mai stato in URSS, però d’aver avuto notizie di quel “pianeta sconosciuto” da chi si recava abitualmente per lavoro: i naviganti. La Cortina di Ferro esisteva in terra: in porto, dopo aver oltrepassato la barriera doganale – se non insospettivi i tanti “vopos” in giro – vivevi tranquillamente. Stiamo parlando di gente con una divisa addosso, forse li faceva sentire più “vicini”, chissà…come del resto avveniva per i marinai sovietici da noi: giravano in gruppo, sempre seguiti dal commissario politico, lo zampolit. Talvolta, le compagnie fingevano (in accordo con i comandanti) avarie per approfittare dei bassi costi della comune manutenzione, e allora capitava che la nave restasse in porto per settimane. Cosa raccontano le mie fonti?
Narrano di un mondo che potremmo definire “alla rovescia”. Un amico rimase ad Odessa per due mesi, causa lavori di manutenzione: quando resti due giorni visiti la città e qualche locale notturno, quando ci rimani per dei mesi, stringi amicizie. Così fu: strinse amicizia con una coppia di sposi che avevano un bambino piccolo, erano entrambi studenti. Lo Stato sovietico, all’epoca, finanziava gli studi – ti pagava uno stipendio – a patto che tu studiassi veramente: era consentito fallire un solo esame, in tutta la carriera universitaria. Così, si schiusero davanti ai suoi occhi le porte dell’Impero comunista, ma si schiusero dal basso, dalla vita di tutti i giorni.
In casa, ad esempio, c’erano biscotti per il bambino persino sui lampadari: il russo gli spiegò l’arcano. I biscotti arrivavano con i treni: tu eri avvisato e ti recavi allo scalo ferroviario. Il problema non era la quantità – ce n’erano in abbondanza (per gli ultimi, i ritardatari c’era l’ovvia “lotta” per strapparsi l’ultimo pacco, che fece la fortuna delle Tv capitaliste…vedete?) – il problema è che non sapevi mai quando sarebbe arrivato il prossimo treno. Probabilmente, non lo sapevano nemmeno a Mosca: quante notizie ci furono di treni carichi di patate lasciati per una notte su un binario morto, oltre gli Urali! Quando arrivavano a Mosca, non c’era altro da fare che buttare tonnellate di patate congelate. Le disfunzioni di quel sistema erano tante, però si campava discretamente e la vita era tranquilla: una sola sera l’amico fu redarguito da un poliziotto, perché aveva accennato un twist sulla pista da ballo. A gesti, gli fece capire che bisognava ballare allacciati alla propria dama, era la regola. Il dramma erano le liste per avere beni più importanti e costosi: quando ripartì, il russo gli chiese un favore. Perché, quando sarai “di là”, non mi compri un mangianastri portatile, stereo? Era il suo sogno: in URSS non esistevano, e gli ficcò in mano una montagna di banconote. L’amico partì (la nave faceva spesso scalo ad Odessa) ma, quando fu in Italia, notò che i prezzi erano molto alti (fine anni ’60) per quel tipo di strumento…al cambio, avrebbe dovuto “dilapidare” quasi tutti i rubli avuti in consegna… Tornò senza mangianastri. Il russo s’arrabbiò, e parecchio rivedendo la mazzetta di rubli che, il nostro, gli contava con attenzione. “Ma io, in banca, ho montagne di questa roba: è il mangianastri che non ho!”
In un sistema con valore della moneta stabile per editto, ed inflazione nulla sempre per legge, le distorsioni si scaricano sulle singole merci, che siano biscotti, patate o mangianastri. Questa era la rozza applicazione della teoria del valore marxista nel Paese che si diceva “figlio di Marx”. Perché ho raccontato questa storia? Perché, come sempre quando si richiamano esperienze passate, c’è qualcosa di buono e qualcosa da buttare.
La prima cosa che salta agli occhi è che la moneta, in sé, si trascina dietro un sacco di problemi: il primo è il suo rapporto con la merce, che dipende da mille fattori ambientali e dall’inflazione. Di più: nessuno garantisce quei rettangoli di carta, nessuna banca centrale e, tanto meno, un eventuale cambio in Oro. Eppure, proprio il capitalismo ci fornisce dei mezzi – potremmo affermare che li “scopre” – per dirimere la questione: il commercio dei buoni-pasto (o buoni-mensa), che spopola perché…i buoni non sono tassati! Ti pagano con buoni-pasto, fai la spesa con buoni-pasto: è una moneta belle che pronta. Di conseguenza, una moneta basata su un buono pasto – fatti salvi dei precisi requisiti: primo, secondo, contorno, acqua e caffè, ad esempio, ed un contenuto maggiore o uguale a tot di proteine, carboidrati, ecc – potrebbe essere una delle più stabili che conosciamo. Varia al valore medio del pasto: lo so, è un po’ come il famoso “paniere” per l’inflazione, ma si applica ad un solo bene, un pasto medio, una rilevazione facile e poco adatta ad essere manipolata.
Non ho la pretesa di riscrivere la teoria del valore su queste basi – sia chiaro, sarebbe una buffonata – ma quella di trovare un ancoraggio reale ad una moneta: ce ne potrebbero essere altri ma, se cerchiamo un ancoraggio reale e il più stabile possibile, non possiamo uscire più di tanto dal mondo naturale.
Il secondo punto (tratto dall’esperienza sovietica) che mi ha fatto riflettere è quel treno carico di biscotti. O forse anche d’altri beni su vagoni diversi, non lo so. Noi, siamo partiti dalla bottega, passati al negozio, quindi al supermercato rionale, all’ipermercato…fino ad E-bay. In tutto questo bailamme, notiamo che il mercato rionale all’aperto si svolge coi termini e nei modi di secoli or sono.
Quante volte li abbiamo incontrati, tutti. Sono i dannati di E-bay, del nostro bisogno (legittimissimo!) di comprare una merce ad un cent di meno. Fanno addirittura 100 consegne il giorno, non hanno più vita, per guadagnare una miseria: anche fossero 100 euro (“sporchi”) il giorno, quel prezzo non vale la vita che fanno. Di là delle sofferenze di quegli autisti (da giovane, lavorai per la TRACO, conosco quel mondo) è un sistema primitivo: le merci, tramite i furgoncini, vanno ai centri di raccolta poi, in autotreno, percorrono le lunghe tratte infine, il furgoncino fa le consegne domiciliari. Riflettiamo sulla quasi sovrapposizione fra ipermercato e centro di raccolta: entrambi, sono delle strutture che contengono merci, che partono dai luoghi di produzione (o dai porti) e finiscono nei magazzini. A parte le luminarie ed i colori, gli ipermercati potrebbero diventare dei luoghi dove c’è un semplice bancone, dietro, il magazzino vero e proprio.
Ordini su Internet, paghi, ti viene inviata una ricevuta elettronica, la stampi (meglio, la invii al magazzino via Web), quando la merce arriva ti rechi a ritirarla. Con sovrapprezzo, la consegna a domicilio. A parte alcuni beni di pronto consumo – pane, verdura fresca, carni, ecc – e quelli per i quali necessita un controllo – le armi, ad esempio – tutto potrebbe funzionare in questo modo. Ci stiamo, lentamente, avvicinando: in un grande centro di vendita di materiali per l’edilizia, trovi dalla semplice vite fino al carrello elevatore. Tutto per costruire una casa. Risparmi? Enormi.
Niente casse, nessun flusso di denaro, nessun autista che bestemmia perché il “26” di via Innocenzo Fedragghini non si trova…soprattutto, risparmi sul magazzino merci: viaggia e giunge in deposito solo la merce già venduta. Tutto ciò è irrealizzabile senza un reddito di cittadinanza – non un sussidio di disoccupazione! – che renda più “fluida” la transizione. Lavori quattro ore? Reddito di cittadinanza + la paga oraria per quattro ore. Acquisti un’automobile da 15.000 euro? Paghi 15 euro in più, per finanziare il reddito. Compri un milione di euro di petrolio per speculare? Paghi un po’ di più, mille euro (ma, per le tipologie di prelievo, Fumagalli prevede aliquote progressive, come sentenzia la nostra dimenticata Costituzione).
Ricordiamo, fra una cosa e l’altra, che sommando l’8 per mille ed il 5 per mille s’arriva al 13 per mille, ossia all’1,3% che ogni anno, che lo vogliamo oppure no, ci prendono: sono circa 1,5 miliardi (secondo i dati ufficiali, ma secondo un computo basato su PIL ed aliquote fa almeno 10 volte tanto) che finiscono nelle tasche dei monsignori (cosa racconta il Vaticano sulle ultime vicende?) e dei segretari di partito. Soldi per il reddito di cittadinanza no, sarebbe un furto (!), un attacco all’etica del lavoro e Stakanov si rivolterebbe nella tomba.
Come si può notare, di idee per sostituire questo marcio capitalismo ce ne sono – e, sono sicuro, tante altre se ne possono trovare – e la domanda potrebbe essere: già, ma quando? La fine del capitalismo è prossima, perché ci sono molti segni – tutti interni al capitalismo stesso – l’appannamento della sua immagine come dispensatore di ricchezze, il ricorso ad artifizi di bilancio (quali le cartolarizzazioni) per sanare bilanci insanabili, il ricorso alla guerra per accaparrarsi le risorse naturali, l’aumento costante e sempre più “fantasioso” di tasse ed imposte, ecc. Già, ma quando? Potrebbero volerci 2 anni o 200: dipende anche, molto, dalla critica (anche propositiva) che si riesce a portare avanti ma, attenzione: stiamo attenti a non fare critiche che rimangono all’interno del sistema capitalista, non servono a niente.
Piuttosto, diamo spazio alla nostra inventiva e portiamogli il conto, ogni giorno che passa.
Carlo Bertani
Fonte: http://carlobertani.blogspot.it
Link: http://carlobertani.blogspot.it/2016/01/su-e-giu-lungo-le-scale-della-storia.html
6.01.2016