DI TRUMAN BURBANK
ComeDonChisciotte
Esce oggi (8 settembre) sul Venerdì di Repubblica un articolo di Vittorio Zucconi, il quale, commemorando l’11 settembre, fa il paio con la trasmissione analoga di RaiUno di qualche giorno fa (I Misteri dell’11 settembre ).
In ambedue i casi l’obiettivo principale sembra essere quello di mettere in ridicolo i cosiddetti “complottisti”, termine con cui si assimilano tutte le persone che non vogliono inghiottire il pastone preconfezionato delle “verità” ufficiali sull’11 settembre. A solo titolo di esempio, in questa categoria si trovano quanti reputano incredibile che nell’attentato alle Torri gemelle sia rimasto intatto il passaporto di un cosiddetto terrorista, ma non si trovino le scatole nere degli aerei. (Si parlò per breve tempo del ritrovamento di alcune scatole nere, ma poi non ci sono state notizie).
Vale la pena di notare come il termine “complottista” sia stato probabilmente inventato ad hoc da Daniel Pipes per screditare i sospettosi, ma sicuramente venga usato in tale senso (vedi Daniel Pipes, esperto dell’odio).
In una situazione in cui molte persone mentono e sono presenti molti aspetti misteriosi può essere il caso di partire dai principi della conoscenza. L’epistemologia, la disciplina che studia i metodi e le procedure della conoscenza scientifica spingerebbe a dubitare di tutto ciò che non è verificato. La natura è spesso gelosa dei suoi segreti e l’investigatore naturale non dovrebbe dar niente per scontato.
Per studiare gli eventi naturali bisogna analizzare attentamente i segni, ipotizzare una soluzione, verificare con l’uso di strumenti scientifici e cambiare strada se le verifiche sono negative. (In senso popperiano si tenta di falsificare l’ipotesi).
L’intuito è spesso fondamentale per evitare di percorrere troppe strade false prima di giungere a quella giusta. In mancanza di intuito si rischia di non trovare la soluzione.
In tutti i casi l’intuito funziona solo se è aiutato dal duro lavoro di routine.
Ma senza una mentalità in qualche modo trasversale, cioè disposta a seguire i percorsi mentali poco diffusi, i risultati sono di basso livello.
Invece Zucconi e RaiUno ci spiegano che questo approccio è infantile e sbagliato, perché bisogna credere ai mass media ed ai nostri politici, anche quando li abbiamo beccati spesso a raccontare menzogne. Ricordare queste cose è cattivo, ci spiegano. Bisogna aver fiducia invece nelle verità ufficiali. Qui un bambino chiederebbe ancora una volta “Perché bisogna aver fiducia?”, ma a noi questo non è consentito, almeno non in pubblico. I complottisti non hanno accesso ai mass-media.
L’approccio che i nostri amati politici e giornalisti ci propongono si potrebbe chiamare “epistemologia dello struzzo”, visto che ci propongono di infilare la testa sotto la sabbia ogni volta che vediamo qualcosa a loro sgradito.
Lo struzzo, notoriamente è quell’animale che nasconde la testa sotto la sabbia quando vede qualcosa che gli mette paura. (In modo analogo ai bambini che infilano la testa sotto le lenzuola quando hanno paura di notte).
Le persone che tendono ad usare la parola complotto a me appaiono seguaci epistemologici degli struzzi: si rifiutano di vedere tutto ciò che nel mondo esterno è non convenzionale, ciò che turba la loro tranquillità ed il loro (precario?) equilibrio mentale, preferendo definire complottista chi si ostina a cercare una spiegazione lì dove esistono risposte tranquillizzanti preconfezionate, mentre può essere estremamente difficoltoso dimostrare ipotesi alternative, visto che qualcuno si è premurato di far sparire prove significative.
Con questo approccio la teoria del complotto diventa semplicemente un problema linguistico e sociologico: chi si rifiuta di indagare sul mondo esterno quando l’indagine è particolarmente difficile e/o pericolosa, tende ad usare i concetti di complotto e teoria del complotto.
A conforto dell’interpretazione sociologica, vale forse la pena di ricordare che spesso la parola complottista dipende dal periodo storico in cui una persona esprime una particolare opinione: chi negli anni ’70 in Italia diceva che le stragi (Brescia, Milano, Bologna) erano di stato, veniva definito complottista; oggi verrebbe più facilmente chiamato uno storico.
Se quindi per gli struzzi può andar bene nascondere la testa, non è detto che ciò vada bene per gli umani. Per approfondire può essere utile un altro modello, quello del tacchino.
La variante del tacchino
Una variante dell’epistemologia dello struzzo è quella del tacchino, animale notoriamente poco portato al complottismo.
Un tacchino aveva studiato con attenzione il suo ambiente ed il suo padrone e aveva elaborato una teoria in base alla quale sapeva a che ora il padrone gli avrebbe portato da mangiare e quali gesti erano indicativi dell’avvicinarsi del pasto. Se non che un giorno, contrariamente al solito, il padrone andò dal tacchino e gli tirò il collo. Fine di una interessante teoria.
In definitiva, non è che ci fosse qualche complotto, ma il tacchino finì in padella. Ecco, a noi non interessa parlare di complotti, solo vorremmo evitare di finire in padella. Da qui la nostra passione per l’epistemologia.
Comunque l’approccio epistemologico non sempre si è rivelato sufficiente. Il falsificazionismo di Popper ha mostrato i suoi limiti sotto le critiche di Feyerabend, Lakatos e Kuhn.
Per decidere cosa sia vero e cosa no, serve un contesto, dei metodi di osservazione, delle regole per analizzare i risultati, un sistema semantico. A volte occorre approfondire e riconsiderare idee che sembravano consolidate. Il mondo è ben più complesso di come vorrebbe l’investigatore, ed ama celare le nuove realtà sotto vecchie spoglie, oppure travestire il vecchio in modo che appaia qualcosa di nuovo.
A questo riguardo, una disciplina che si è dimostrata feconda in tempi recenti è l’ontologia, lo studio dell’essere.
Quando sembra che qualcuno potrebbe manipolarci in modo da trattarci come bambini, potremmo provare ad interrogarci, come i bambini, cu ciò che esiste, è reale, contrapposto a ciò che invece è sogno, fantasia, illusione. (Di questo parlavo nel precedente Ontologie) .
Ebbene, non sempre le risposte sono semplici ed a volte bisogna ricominciare dal vocabolario, da quell’insieme di parole che usiamo per descrivere il mondo.
Dovremmo ad esempio, cominciare a chiamare “pace” quella cosa che si fa con artisti, contadini, insegnanti, operai – senza armi e senza militari. Dovremmo cominciare a parlare di equilibrio invece che di sviluppo, di nazionalismo e non di patriottismo, di scorie nucleari invece che di uranio impoverito, di imperialismo invece che di esportazione della democrazia. Dovremmo ricostruire il vocabolario.
E forse alla fine sparirebbero i complottisti e resterebbero solo da una parte i cercatori di verità e dall’altra i servi del potere.
Truman Burbank (incidentalmente contributore alle voci Epistemologia e Ontologia su Wikipedia)
http://www.comedonchisciotte.org
08.09.2006