LA VEGGENZA DELLA LLOYD’S
DI ATTILIO FOLLIERO E TITO PULSINELLI
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La Libia alla BP, Total e Chevron, l’ENI è fuori. A Roma tutti contenti. Pappata la Fiat, ora vanno per Finmeccanica e Fincantieri. Westerwelle: “Nessun soldato tedesco combatterà in Libia”. La veggenza della Lloyd’s.
Nel giorno del suo compleanno 150 l’Italia viene amputata del potere di avere una politica esterna autonoma nel Mediterraneo, non nella sua ampiezza totale, persino sul pianerottolo con l’inquilino dirimpetto. La ciliegina sulla torta è amara. L’ENI perde le concessioni a favore della British Petroleum (BP), Total, Chevron e Shell. Scacciati da una delle tre aree in cui si continuano a scoprire risorse energetiche o nuovi giacimenti. Congiuntamente all’Iran ed il Venezuela. All’Italia viene negata la funzione storica di ponte europeo verso l’Africa ed il Medioriente, e pure lo spazio di manovra per un’autonoma politica energetica, volta a garantire l’autosufficienza attraverso una propria impresa multinazionale, parzialmente statale.Quel che un mese fa era un putsch militare interno per assicurarsi il controllo dei giacimenti della Libia, divenuto poi un golpe fallito, ha preso finalmente le sembianze di una manovra separatista infruttuosa. Per andare a buon fine, gli sponsor “occulti” di Francia, Inghilterra e Stati Uniti devono sporcarsi le mani- con un intervento diretto. Opportuno riflettere sul perchè la Germania si defila e dice nein. Siamo tornati ai tempi dell’invasione anglo-francese dell’Egitto, dopo la nazionalizzazione del canale di Suez. Con una differenza, allora si edificava l’autonomia energetica, con un Enrico Mattei di già in intesa con il Fronte di liberazione algerino. Oggi deve consegnare gli aeroporti per l’aggressione ad un Paese con cui vige un freschissimo trattato d’amicizia, e con cui è in affari contanti e sonanti. Con buona pace di tutti gli umano-interventisti, è solo l’antipasto, poichè gli anglosax esigeranno sempre di più, e puntano alla rottura dell’accordo con la Russia per il gasodotto South stream. L’Italia si coinvolge in un’avventura neo-coloniale, accetta la spartizione e/o l’annientamento della Libia, ricevendo il premio di potersi riscaldare con merce comprata alla concorrenza. Dovrà stracciare anche l’accordo con i russi? La Germania procede indisturbata con il progetto di forniture dirette di idrocarburi dalla Russia.
Oggi, la classe dirigente politica, l’apparato mediatico da cui dipende, con la balbuzie del settore privato, è “stretta a coorte” per la riduzione del Paese ad un minimalismo a tutto tondo, o ad un massimalismo atlantista che non appartenne neppure a De Gasperi. Ammiccano impudicamente come signurine alla baldanza dei suoi scippatori. Consoliamoci, anche la scalcagnata carrozza dell’Unione Europea confessa urbi et orbi che è senza cocchieri e senza mappa. Peggio, è nelle mani improvvide di una “commissione” e in quelle rapaci della Banca Europea.
Si sa che gli inglesi sono nemici dell’unificazione europea, eterni cavalli di Troia di Washington, ma oggi le elites dirigenti italiane subiscono impotenti le iniziative sanzionatorie di un Paese in serio affanno, con i conti in forte disordine, disperato al punto che scalpita scompostamente per risarcirsi con la ricchezza concreta dell’oro nero (mica le bubbole cartacee della City e di Wall street). Con il disastro della Louisiana, la British Petroleum è parecchio malconcia, e dopo il “disastro perfetto” del Giappone anche i Lloyds annaspano e cercano liquidità.
La tragedia a catena del Giappone, il successivo Tsunami ha provocato fin’ora migliaia di morti. Si ignorano gli sviluppi futuri, anche se non si fatica ad immaginare le disastrose conseguenze legate alla fuga di radioattività. Eppure c’è chi è felice e contento e si sta fregando le mani per gli enormi affari che ne deriveranno: il settore delle assicurazioni, apparentemente il più danneggiato da questa tragedia, dato che le assicurazioni sono chiamate a rimborsare varie decine di miliardi.
In Giappone è obbligatorio assicurare tutti gli immobili non solo contro incendi, furti ed altre devianze dell’uomo, ma anche contro imprevedibili disastri naturali, come terremoti e tsunami: quindi migliaia di case e centri urbani distrutti, e miliardi da rimborsare. Di fronte a disastri naturali di tali proporzioni, per le assicurazioni sembrerebbe aprirsi il baratro del fallimento. Invece, come ha dimostrato la storia, è subito dopo il verificarsi di disastri naturali di proporzioni cosi gigantescehe che aumentano i profitti delle imprese assicuratrici.
Dopo la catastrofe dell’uragano katrina negli Stati Uniti, Munich Re, la più grande multinazionale del settore riassicurazioni, sei mesi dopo quella tragedia, era cresciuta del 25%. La seconda impresa mondiale del settore, la svizzera Swiss Reinsurance Co., nello stesso periodo crebbe del 14%; la AML, la maggiore assicuratrice londinese, del gruppo Lloyd’s, sei mesi successivi a Katrina era cresciuta del 49%.
I big delle assicurzioni e riassicurazioni si rafforzano e traggono energia dalle tragedia, non il contrario. Katrina è stata una tragedia immane, costata alle compagnie assicuratrici rimborsi per 62,2 miliardi di dollari. Malgrado queste cifre da capogiro, che potrebbero far pensare a grandi fallimenti, in realtà le compagnie –nonostante i megarimborsi– si rifanno con premi assicurativi fortemente accresciuti. La tragedia è propizia come null’altra cosa al business. E’ l’aumento dei premi per assicurare immobili di fronte a tragedie del genere, che a livello mondiale permette alle compagnie assicuratrici di fare grandi guadagni.
In Giappone, a fronte di risarcimenti plurimiliardari per le decine di migliaia di immobili distrutti ci saranno decine di milioni di immobili costretti a pagare premi assicurativi molto più cari. Il guadagno per le compagnie di assicurazioni è assicurato e molti analisti prevedono una boccata di ossigeno per imprese coinvolte nella crisi economica mondiale.
A questo punto dobbiamo evidenziare qualcosa di inquietante, molto inquietante, avvenuto prima del terremoto del Giappone, a detta di alcuni arrivato come una provvidenziale manna dal cielo, a salvare le compagnie di assicurazioni e riassicurazioni.
La Lloyd’s è tra le più importanti compagnie del mondo ed ha come principale base operativa un paese in profonda crisi economica, qual’è il Regno Unito. Le sue azioni, quotate alla borsa di Londra, dopo aver raggiunto un valore massimo a 824,82 sterline nel corso della seduta borsistica del 3 di maggio del 2002, sono progressivamente scese, fino a toccare il minimo a 33,0 sterline il 21 gennaio del 2009.
Successivamente si rivitalizzarono parzialmente, risalendo fino a 125 sterline nel corso di quello stesso anno 2009. Nell’autunno del 2009 conservavano ancora un valore di circa 100 sterline, dopo di che una nuova caduta, che ha coinvolto tutto il settore. I Lloyd’s hanno raggiunto una quotazione di 100 sterline l’ultima volta il 23 di ottobre del 2009. Da allora non solo non sono mai più riuscite a oltrepassare quota cento, ma nel corso di tutto il 2010 non sono mai andate oltre un valore medio di 50/60 sterline; solamente nel mese di settembre del 2010 hanno avuto valori superari a 70, arrivando a 79,15 il 21 settembre.
Nel semestre precedente al terremoto del Giappone le Lloyd venivano scambiate mediamente a 60 sterline. Il volume, ossia la quantità di azioni vendute e comprate giornalmente nell’ultimo anno è stato di circa 150/200 milioni. Ogni giorno, dunque venivano scambiate non più di 200 milioni di azioni Lloyd’s; molto raramente si sono raggiunte punte superiori e solo in isolati casi hanno superato i 600 e perfino 700 milioni di azioni scambiate nel corso di una giornata.