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La Redazione

 

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STRANGOLARE ECONOMIA E FINANZA RUSSA. SE NON BASTA, PROCEDERE OLTRE

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A cura di Davide
Il 2 Settembre 2014
68 Views

DI GIULIETTO CHIESA

megachip.globalist.it

L’autore di questi concetti è un professore americano, che è parte del board dei consiglieri internazionali della Scuola Economica di Kiev. Il suo nome è inessenziale. Lo chiamerò Dottor Stranamore perché rappresenta bene la strategia, la tattica, le intenzioni dei gruppi neocon americani e di una parte importante di quelli europei.

Per la precisione, si chiama Paul Roderick Gregory e l’articolo è apparso su Forbes. E’ importante tenerne conto, poiché dice cose essenziali. Che sono pensate per distruggere il nemico prima ancora che cominci la guerra. Ma, se non riescono nell’intento, già prevedono la guerra. Le offro al ragionamento di chi legge poiché siamo di fronte a un progetto che è molto più importante di una profezia. Ed è la voce di chi conta più di Obama.

Per questo comincio con la lunga citazione della conclusione del saggio, che sintetizza quello che – salvo modifiche di percorso imposte dalle circostanze – noi saremo costretti a vedere e vivere nel corso dei prossimi mesi.

«Invece di sanzioni più immediate – scrive il dottor Stranamore, che lavora a Kiev per conto dell’Occidente che lo paga – l’Europa e gli Stati Uniti devono orientarsi verso un’assistenza militare, letale, diretta contro l’invasione russa (perché chiamarla in altro modo?); riesumare le installazioni della Iniziativa di Difesa Strategica in Polonia e in Repubblica Ceca, non come una punizione ma come una precauzione; rinvigorire la NATO, includendovi lo stazionamento di truppe nei paesi NATO che confinano con la Russia. Obama deve approvare l’oleodotto Keystone e aprire più territori federali alle prospezioni petrolifere, approvare i terminali per l’esportazione di gas liquido, eliminare le restrizioni all’esportazione di petrolio, promuovere il fracking in Europa. Obama deve condurre l’Europa, trascinandola per il naso, a una politica energetica collettiva e organica. Se gli Stati Uniti non guidano, nessuno guiderà. Noi abbiamo una opzione nucleare di cui pochi parlano: cacciare via le istituzioni finanziarie russe dal sistema SWIFT [Society for Worlwide Interbank Financial Telecomunications, il centro – sotto controllo diretto USA – attraverso cui passano e vengono registrate tutte le transazioni bancarie della globalizzazione americana ndr] e guardarle mentre crollano.

Un collega ama ricordarmi che la sanzioni finanziarie sono oggi l’equivalente della diplomazia delle cannoniere del secolo XIX. Gli Stati Uniti hanno le cannoniere grazie al sistema del dollaro».

Ecco detto, anche se non ancora del tutto fatto. Questo è, senza dubbio alcuno, il piano d’attacco. Resta solo da vedere se funzionerà. Ma si vede che non è campato in aria. Washington ha armi di pressione molto potenti. Essere entrati nella globalizzazione americana significa essersi messi un cappio al collo che, ora, può essere stretto a piacimento dal suo padrone. Va detto che nell’analisi di Forbes ci sono tutti i punti deboli di Mosca, mentre gli USA e l’Europa sono presentati come in stato di euforica tranquillità. Sappiamo che non è così. Tuttavia a Wall Street e alla City of London ci credono. Dunque dobbiamo assumere che si comporteranno di conseguenza, anche perché sappiamo che lo show-down ucraino è stato creato da loro.

Questo è ormai molto chiaro a Vladimir Putin e al suo più stretto entourage. Ma a Mosca è pieno di gente, nei posti di comando, che ragiona nello stesso modo del Dottor Stranamore. Dunque questo è un momento cruciale per Putin e per la Russia. E’ il momento in cui si deve capire cosa ha significato il passaggio al capitalismo americano realizzato da Boris Eltsin e Egor Gaidar: diventare ostaggi del mercato globale. E, quando è sorto il problema di difendere la propria nazione e i propri interessi, di scoprire che la propria libertà era stata comprata, per giunta per pochi copechi. Su che basi si fonda il piano USA?

La Russia ha un mercato di capitali esiguo. In questi anni circa la metà di quello che le serviva lo prendeva dall’estero. Se la si espelle dal mercato dei capitali, americano, giapponese, europeo, la si costringerà a fare appello a paesi che non sono stati assoggettati a sanzioni. In primo luogo alla Cina. Che ci riesca o meno è da vedere, ma, per intanto, le si renderà impossibile rifinanziare i debiti che scadono, stabilizzare il rublo, evitare il collasso degl’investimenti. Il primo passo obbligato sarà di intaccare le sue riserve in valuta; il secondo sarà di intaccare i fondi di riserva che Putin ha accumulato in questi ultimi anni, evidentemente in previsione di questi sviluppi. Vediamo i dati di Forbes. Un rapporto della Reuters del 7 agosto, centrato sullo stato del debito russo, dice che nel 2013 il debito russo era a 47,2 mlrd $. Dall’inizio della guerra in Ucraina Mosca ha firmato contratti per prestiti di soli 1,5 mlrd $. Bloomberg il 3 agosto scorso scriveva che «non un solo dollaro, euro, o yen è stato prestato a compagnie russe nel mese di luglio». Si aggiunga che, in queste condizioni, anche il costo del debito aumenta. Standard & Poor’s ha fatto il suo dovere, portando il 25 aprile scorso il valore del debito russo solo un punto al di sopra dei titoli spazzatura. Ciò ha costretto il Ministero delle Finanze russo a sospendere le aste delle emissioni di bond che aveva in programma.

I dati aggregati ufficiali dicono che alla vigilia di Euromaidan le imprese russe e le banche avevano un debito estero complessivo di 653 mlrd $ e un debito verso i risparmiatori russi di 650 mlrd $. Ma il 24% del debito estero va a maturazione quest’anno, cioè sono 15,9 mlrd $. L’anno prossimo sarà lo stesso per 16,2 mlrd $. Le sanzioni servono per impedire alla Russia di pagare il debito o, come minimo, per infliggerle danni strategici rilevanti. È vero che le riserve valutarie russe sono di 468 mlrd $ e che il Ministero delle Finanze ha fondi di riserva per 173 mlrd $, ma in queste condizioni si pensa che Mosca sarà costretta a ridurre le riserve valutarie del 22%. Certo è sempre possibile (ma a Washington lo considerano remoto) che “qualcun altro” – leggi sempre la Cina e i paesi del BRICS – tenti di aggirare i divieti degli Stati Uniti. Ma (vedi SWIFT e altri strumenti di controllo, come la NSA) sarebbero facilmente individuabili e velocemente puniti. E c’è la fuga di capitali su cui Putin sembra al momento impotente. La Banca Centrale Russa (BCR) afferma che nel primo trimestre 2014 sono usciti “solo” 51 mlrd $, che vorrebbe dire, in un anno, più di 100 miliardi $. Vero o falso? Non si sa, ma la Banca Centrale Europea (BCE) afferma invece che nel solo primo trimestre di quest’anno la fuga è stata di 221 mlrd $. Sono da attendersi drastiche misure amministrative contro chi esporterà capitali illegalmente, ma l’esperienza occidentale dice che con questi metodi non si ferma l’emorragia. I russi si fidano di un’unica banca, la Sberbank (che vuol dire Cassa di Risparmio). Ed è questo il motivo per cui Sberbank è stata subito messa all’indice delle sanzioni. La BCR ha alzato il tasso d’interesse sui depositi al 10,2%, ma è ancora da vedere se sia sufficiente a trattenere i capitali in Russia. Comunque, secondo questi calcoli, Washington è certa che Putin non potrà mantenere il livello di investimenti attuale anche se riuscisse a rifinanziare il debito. Gli investimenti esteri diretti sono già collassati da 80 mlrd $ del 2013 ai 41 mlrd $ di quest’anno. I calcoli occidentali prevedono una riduzione secca degl’investimenti del 30/50% nel 2014-2015. Il tutto dovrebbe portare, nelle loro speranze , a un crollo del PIL russo attorno al 6-10%. Manca ancora un tassello.

Metà delle entrate dello Stato russo derivano da petrolio e gas. Da esse dipende la tenuta economica (e sociale) del paese. E – si progetta a Washington – anche quella di Putin. Dunque si è deciso di colpire anche e soprattutto qui. L’ideale sarebbe ripetere il giochetto con cui fu affondata l’URSS di Gorbaciov: cioè far scendere bruscamente il prezzo dell’energia. Questa è la scommessa meno sicura da vincere rispetto alle precedenti. Infatti la tendenza è a un aumento dei prezzi sui quali Putin e la Russia possono contare nei prossimi anni. Non resta allora che tagliare la testa al toro: impedire alla Russia di vendere il suo prodotto. La crisi Ucraina – costruita dagli Stati Uniti e appoggiata da una parte dell’Europa – è esattamente l’attuazione di questa parte del piano: prendere in mano il rubinetto del gas russo, a spese dell’Ucraina e dell’Europa, e chiuderlo. Il costo per la Russia è già stato calcolato: circa 100 miliardi di $ all’anno. Non a caso Obama è venuto per ben due volte in poco più d’un mese in Europa a vendere il suo shale gas in sostituzione di quello russo. Il problema è che Obama questo gas non ce l’ha ancora, e forse non lo avrà mai, perché ha tutta l’aria di una meteora. Ma intanto il danno può essere inferto agli europei che ci hanno creduto e ci credono. E questo costringerà la Russia a rivolgere i suoi gasdotti a est. La Cina, assetata di energia ha già risposto e negli ultimi giorni di agosto il nuovo sistema gasifero verso est è stato avviato con un investimento cinese di 50 miliardi di dollari, che verranno sborsati come pagamento anticipato del gas che verrà. Dunque Putin avanza di un passo senza impiegare capitali. Ma i primi metri cubi passeranno in quei tubi solo tra quattro anni. Certo Obama sa che di acquirenti del gas e del petrolio russo ce n’è molti. Bisognerà dunque intimidirli, ricattarli, punirli se insistono, così come si sta cercando di fare con i prestatori di capitali troppo capricciosi. Purtroppo per Washington non tutti sono ricattabili. La Cina non lo è ed è l’acquirente maggiore di tutti gli altri messi insieme. Dunque, tirando le somme. Questo è un piano di guerra, ideato negli Stati Uniti e avviato dagli Stati Uniti. Le armi previste stanno facendo male, molto male, alla Russia. Alcune sono imparabili e altre sono parzialmente parabili. In ogni caso la partita è aperta. L’America è pronta a andare anche oltre. Sebbene una cosa non sia stata calcolata bene a Washington: la popolarità di Putin cresce invece che diminuire. I russi si sono “svegliati”. A partire dalla Crimea. E la sveglia, fortissima, si è trasferita nel Donbass e in tutta la Russia. Questo potrebbe essere l’errore più grosso. Forse perché queste cose non si misurano con il metro di Standard & Poor’s. Ma c’è ancora una notazione da fare. Ci riguarda.

Questa “politica delle cannoniere” è applicabile verso chiunque. L’America è in crisi e non è disposta a pagare nulla. Domani, con gli stessi mezzi, potrebbe colpire chiunque. Putin sta difendendo la sovranità russa. Quando saremo diventati più furbi capiremo che la nostra sovranità ci è già stata sottratta, mentre applaudivamo ai nazisti che prendevano il potere a Euromaidan.

Giulietto Chiesa

Fonte: http://megachip.globalist.it

Link: http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=108833&typeb=0&Strangolare-economia-e-finanza-russa-Se-non-basta-procedere-oltre

2.09.2014

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