DI CARLO BERTANI
“Che farai Pier da Morrone? Sei venuto
al paragone…”
Jacopone da Todi, Laude.
Ci
sono momenti nei quali la storia accelera improvvisamente: qualcuno li
definisce “svolte strategiche”, altri più semplicemente “passaggi
storici”, altri ancora “eventi epocali”, ma la sostanza non
cambia.
Ciò che è avvenuto oggi – 26 aprile 2006 – entra a pieno titolo
nella storia: non a caso tutte le agenzie internazionali l’hanno
riportato in prima pagina e – non altrettanto a caso – tutte le
cancellerie si sono mobilitate. Seguiamo gli eventi:
MOSCA – Il Presidente russo Vladimir Putin ha annunciato nel suo
discorso annuale alla nazione una moratoria del trattato sulle armi
convenzionali in Europa. La moratoria, secondo Putin, dovrebbe
sussistere finché “tutti i Paesi non ratificano il trattato e non
iniziano ad applicarlo”, come riferisce l’agenzia Itar-Tass. Il leader
del Cremlino ha proposto di discutere il problema al consiglio
NATO-Russia: “se non ci saranno progressi propongo di esaminare la
possibilità di uscire dall’accordo e chiedo di sostenere questa mia
proposta”. (ANSA – 26/04/2007 – ore 19:03).
Una
“moratoria” – in termini diplomatici – può ancora dare adito a
qualche speranza sulla composizione del conflitto, poiché non si
conoscono esattamente i confini della moratoria stessa, ma a fugare ogni
dubbio è giunta la doccia fredda del ministero degli esteri russo.
Insomma, i giochi sono fatti.
OSLO – Il segretario generale della Nato, Jaap de Hoop Scheffer, ha
detto stasera che il Ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha
confermato ai 26 paesi dell’organizzazione la sospensione
dell’applicazione del trattato sulle forze convenzionali in Europa (CFE),
annunciata in giornata dal presidente russo Vladimir Putin. Scheffer ha
detto che la posizione della Russia è stata accolta dai membri
dell’Alleanza con “grande preoccupazione e rammarico”. (ANSA –
26/04/2007 – ore 20:36).
In
un’ora e mezza – appena novanta minuti – quello che appariva come
un atto interlocutorio si è materializzato in una certezza. Dopo anni
di “tira e molla” sul destino dell’Europa Centrale, Vladimir Putin
ha calato sul tavolo le sue carte: non sono carte gradite all’Europa,
né agli USA.
A quel punto, la timida Condoleeza
Rice – oramai spettro della “sovietologa” di Bush padre –
tentava una controffensiva in extremis:
“Non siamo più nella situazione in cui gli Stati Uniti e l’Unione
Sovietica erano avversari, noi non siamo avversari della Russia, ma
abbiamo davanti a noi minacce comuni” (ANSA – 26/04/2007 – ore
19:03).
Siamo
amici – sembra affermare Condoleeza – non c’è più il demone del
comunismo a dividerci: ma chi ci ha mai creduto? E chi ha affibbiato
l’epiteto di “sovietologa” a questa Chevron/ragazza dalle belle
speranze? Non siamo più nemici, ma vi abbiamo “soffiato” il
petrolio iracheno sotto gli occhi del mondo. Siamo amici, ma cerchiamo
di prendervi Georgia ed Ucraina. Begli amici.
Già, perché la ragazza scambia ancora gli aspetti ideologici con il
solido pragmatismo del Cremlino: che ci frega di falci e martelli –
sembra affermare Putin – chi tocca i fili (ovvero il mercato
dell’energia) muore.
Vale la pena di spiegare allora – rapidamente – perché la denuncia
di quel trattato è così importante: non si tratta di guerra, ma di
soldi. E i soldi, pur non avendo odore, sono la cosa più seria del
pianeta. Più delle ideologie.
I
costi di difesa mediante armi nucleari (o chimiche e batteriologiche)
sono enormemente inferiori a quelli della guerra convenzionale: costa di
meno un missile con 12 testate nucleari che un reggimento corazzato
dotato (oppure no) d’armamento atomico.
Insomma,
la V
2 inventata dai nazisti rimane ancora oggi un’arma difficilissima da
intercettare: quello che poi c’è appiccicato all’ogiva del missile
ha poca importanza e, soprattutto, non ha costi esorbitanti.
Un reggimento corazzato prevede invece il mantenimento di centinaia di
militari, mezzi, carburanti, spese previdenziali e d’assistenza per le
famiglie. Una voragine.
Questa
fu la ragione che condusse sia gli USA e sia l’URSS sulla via
nucleare: un’arma “assoluta” – forse mai utilizzabile – ma dai
costi bassi rispetto ai risultati tattici e strategici che poteva
fornire. Ciò nonostante – intorno al 1980 – gli USA spendevano il
6,5% del PIL per le spese militari, mentre l’URSS era giunta al 16,5%.
Difatti, fallì.
La ragione del fallimento fu anche ideologica: fedele al dettato
socialista, era il “popolo in armi” che doveva difendere la patria
del socialismo. Decine di divisioni corazzate sovietiche e migliaia di
velivoli s’accatastavano lungo il confine occidentale dell’URSS e
la NATO
sapeva benissimo – molti documenti ufficiali dell’epoca lo ricordano
– che l’unica risposta possibile ad un attacco sovietico sarebbe
stata quella nucleare. La situazione, all’epoca era questa:
o
URSS/Russia/Serbia
o
NATO/USA
o
Formazioni Islamiche
| 1985 |
Le
forze NATO non erano numericamente sufficienti per contenere un
eventuale attacco sovietico, ma rimaneva l’opzione nucleare. Già John
F. Kennedy aveva intuito i rischi di una strategia “tutta nucleare”:
“C’è il rischio di farsi
bastonare a sangue sotto la protezione di un ombrello nucleare“,
sentenziò, e mostrò doti di lungimiranza.
Se,
da un alto, lo spiegamento sovietico obbligava
la NATO
ad una (im)probabile rappresaglia nucleare, i costi di gestione
dell’apparato condussero al collasso dell’URSS ed alle guerre nei
Balcani, prima “porta” da sfondare per abbattere definitivamente
l’Orso russo. Ecco come si presentava la situazione ai tempi di Eltsin:
| 1995 |
La
morte di Boris Eltsin proprio negli stessi giorni sembra quasi evocare i
toni della tragedia greca: dopo aver intessuto invisibili trame, gli Dei
si scatenano improvvisamente ed il carro di Giove sembra squassare i
cieli.
La
salvezza della Russia inizia con
la P
: Putin e Petrolio. Ma anche gas. La disgrazia degli USA, invece, con
due I: Intervento ed Iraq.
Per
la prima volta dopo il Vietnam, gli USA mettono truppe a terra: già la
brutta figura rimediata in Somalia avrebbe dovuto insegnare loro
qualcosa, ma non tutti sono in grado d’analizzare gli eventi per
trarne esperienza, soprattutto se il livello culturale è quello dei
Bush, dei Luttwak, dei Perle e di Condoleeza.
Un
piatto di poker andato a male: la puntata sconsiderata per sottrarre le
seconde riserve petrolifere del pianeta (quelle irachene) a Russia e
Francia è un vero disastro. Non solo arrocca
la Russia
su posizioni d’estrema difesa e la riavvicina all’enigmatica Cina,
ma squassa l’Europa e la scinde in quella che Marcello Veneziani definì
saggiamente “l’Europa carolingia” – oppure il Terzo Reich al suo
apogeo nel 1942 – e la “corte” degli Angli, da re Artù a
Schwarzenegger, con dependance in Australia.
Dopo
il 2001 e le invasioni dell’Iraq e dell’Afghanistan, la situazione
è ancora mutata: le milizie islamiche, tradite in Bosnia ed in
Afghanistan, cercano conforto nei capitali d’origine petrolifera.
Inizia la stagione della contrapposizione fra gli ex alleati: Bin Laden
diventa il nemico numero uno, Saddam Hussein quello numero due. Nessuno
s’accorge che il vero nemico è sempre a nord, attestato nelle steppe
siberiane.
Saggiamente
e con prudenza, Putin già nel 2003 aumenta del 50% le spese di ricerca
e sviluppo dell’apparato militare: sa di non poter reggere il ritmo
americano, ma sa anche che gli USA saranno obbligati a rallentare e che
a lui basta reggere il passo.
Nel
2002, Bush e Putin s’incontrano per la prima volta a Lubljana: con
abile regia mediatica, l’americano fa precedere di pochi giorni il
primo successo da parte di un missile intercettore, lanciato da
Kwajalein (Oceano Pacifico), contro un Minuteman lanciato dalla
California. Successo mediatico e basta.
L’FSB
russo scopre facilmente l’inganno: sul Minuteman è stato sistemato
una sorta di radiofaro per guidare l’intercettore all’impatto,
mentre un vero missile balistico invierebbe decine di false eco al
nemico per confonderlo, altro che radiofaro per guidarlo.
Il
Minuteman scende a circa
8.000 Km
l’ora, l’intercettore sale a circa 1.500: come possono due oggetti
che s’avvicinano a
9.500 Km
l’ora (quasi
3 Km
al secondo!) avvicinarsi fino a poche decine di metri per distruggersi
l’un altro? Difatti, tutti i precedenti esperimenti americani (non
truccati) erano stati dei sonori fallimenti.
Ciò
nonostante, il bluff americano continua per anni ed è un bluff che
assorbe risorse incredibili: il programma – partito con Reagan –
viene quasi annullato da Clinton ma arriva Bush, ed il Pentagono esige
la sua parte di gloria (e di soldi).
Altri
soldi vengono ingoiati dall’interminabile guerra irachena e dal
calvario afgano (dove
la NATO
, e quindi anche l’Italia, si schiera apertamente a favore degli
interessi statunitensi) – necessario per mantenere sotto pressione
la Russia
da Sud – e la situazione muta ancora una volta:
| 2004 |
Parallelamente,
Putin si mostra grande stratega ed intesse le sua alleanze all’interno
del Patto di Shangai: coopta l’India ed oggi anche l’Iran alla sua
corte, mentre i soldati americani crepano nella polvere irachena.
Dopo
varie risoluzioni dell’ONU, tentativi di provocazione e quant’altro,
Bush non riesce a scatenare l’unica sua via di scampo: una nuova
guerra, questa volta contro l’Iran.
Negli
stessi giorni, scatta l’offensiva dei Democratici americani che – si
badi bene, ai soli fini di politica interna – sanno di poter scalzare
definitivamente Bush ed i possibili eredi repubblicani alle prossime
elezioni.
WASHINGTON – Il Senato Usa ha approvato una legge che indica nell’aprile
2008 la scadenza della permanenza delle truppe americane in Iraq. La
stessa legge era stata approvata ieri sera dalla Camera. Il presidente
George W. Bush ha confermato che metterà il veto perché il testo
comprende “date arbitrarie” sulla durata della missione americana in
Iraq. La controversa legge, che stanzia anche i fondi per le guerre in
Iraq e Afghanistan, è stata approvata dal Senato per 51 voti a 46.
(ANSA – 26/04/2007 – ore 19:56).
Bush
potrà imporre tutti i veti che vorrà, ma se casserà la legge taglierà
contemporaneamente anche i fondi stanziati per la guerra (i due
provvedimenti fanno parte della medesima legge): in un modo o
nell’altro, dovrà ritirarsi.
Il
judoka è pronto. Rilassa i muscoli e li tende nell’attacco, perché
sa che il nemico ha il fianco scoperto: ecco a cosa condurrà la
denuncia del trattato da parte russa:
| 2007 |
Prontamente,
Condoleeza Rice risponde:
“I russi hanno migliaia di testate.
L’idea che in qualche modo si possa fermare il deterrente nucleare
strategico russo con qualche intercettore semplicemente non ha senso”.
(ANSA – 26/04/2007 – ore 19:03).
Condoleeza
ha ragione! Non ha nessun senso la mossa russa! Se si considera il solo
aspetto militare.
In
realtà, l’attacco russo non è militare: è politico. Nessuna guerra
nell’Europa Centrale, né per il gas. Che farà
la NATO
– ora, sparsa nel pianeta – quando dovrà riposizionare le sue
forze? Potrà sottovalutare la minaccia? Quale sarà il destino della
Georgia e dell’Ucraina? E
la Bielorussia
? Il petrolio del Caucaso?
Oggi,
26 aprile 2007, si volta pagina: questa è storia, non una storiella da
Mullah.
Carlo
Bertani
[email protected]
www.carlobertani.it
27.04.2007