STATI UNITI, ISRAELE E IL POSSIBILE ATTACCO ALL’IRAN

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blankDI STEPHEN ZUNES
Foreign Policy in Focus

Con la pubblicazioni su giornali quali il Washington Post e The New Yorker di credibili resoconti su come gli USA stiano seriamente pianificando un attacco militare all’Iran, un sempre maggior numero di americani esprime preoccupazione sulle conseguenze a cui gli Stati Uniti vanno incontro lanciando una nuova guerra che li vedrebbe ancora una volta in diretta violazione della legge internazionale.

L’ultimo documento americano sulla strategia della sicurezza nazionale pubblicato all’inizio dell’anno, etichetta l’Iran come la più seria sfida lanciata da una singola nazione agli Stati Uniti. Questo dovrebbe essere un’indicazione di quanto gli Stati Uniti si sentano sicuri, nel mondo post guerra fredda, dove “la più seria sfida” non è più una superpotenza rivale con migliaia di armi nucleari e sofisticati sistemi di lancio capaci di distruggerli, ma uno stato del terzo mondo dall’altra parte del pianeta che, in accordo con l’ultima stima dei servizi segreti nazionali, è almeno 10 anni indietro dalla reale produzione di un’utile arma nucleare. Inoltre, l’Iran non ha la capacità di sviluppare una sistema di lancio in grado di direzionare un’arma a 10.000 miglia di distanza dalle nostre spiagge nel prossimo futuro.
Tuttavia, nonostante il fatto che non c’è nessuna evidenza che confermi che l’Iran stia sviluppando armi nucleari, l’amministrazione Bush e i membri del Congresso di entrambi i partiti commentano che, semplicemente l’avere la tecnologia che potrebbe rendere possibile per l’Iran, nel futuro, la produzione di armi nucleari, è sufficiente per un casus belli. Per giustificare la sua disperata ricerca di nemici, il presidente Bush dichiara che un Iran armato di nucleare sarebbe “una grave minaccia per la sicurezza del mondo”, parole che rimandano al linguaggio usato nel caso dell’Iraq prima della dell’invasione militare della ricca nazione petrolifera nel 2003. Allo stesso modo, il Vice Presidente americano Dick Cheney giura “severe conseguenze” nel caso in cui l’Iran non ponesse fine al suo programma nucleare, come pure l’ambasciatore americano alle Nazioni Unite John Bolton dichiara che ci saranno “conseguenze tangibili e penose” se l’Iran non dovesse cooperare.

Il Washington Post riporta fonti della Casa Bianca a testimonianza del fatto che “Bush vede Teheran come una seria minaccia con cui deve fare i conti prima della fine della sua presidenza” apparentemente preoccupato che né un successore democratico né uno repubblicano abbia intenzione di prendere in considerazione l’opzione militare.

Non che il presidente debba spaventarsi circa questa possibilità. La senatrice Hilary Clinton, candidata alle prossime elezioni presidenziali, lo scorso gennaio accusò l’amministrazione Bush di non prendere troppo sul serio la minaccia nucleare rappresentata dall’Iran, criticando ampiamente il suo atteggiamento nel permettere alle nazioni dell’Unione Europea di perseguire la via diplomatica, insistendo sul fatto che l’amministrazione Bush dovrebbe rendere chiara la politica per la quale l’opzione militare è sempre da tenere in considerazione. Similmente, il senatore democratico Evan Bayh, un altro contendente della poltrona presidenziale, accusò l’amministrazione Bush di “aver ignorato e poi delegato agli Europei la gestione di questa crisi con l’Iran”. Prendendo la via della diplomazia, secondo Bayh, “ ha certamente danneggiato la nostra sicurezza nazionale”.

L’ostilità di questi due senatori democratici al ricorso di mezzi diplomatici nel risolvere la crisi assomiglia molto alla falsa retorica propagandata nel 2003 quando gli USA invasero l’Iraq diffondendo la paura nei confronti del governo di Saddam Hussein etichettato come una minaccia per la sicurezza mondiale ed escludendo ogni soluzione diplomatica come possibile. Entrambi i senatori Clinton e Bayh sono ampiamente rispettati dai loro seguaci democratici come leader della sicurezza pubblica.

Infatti nel maggio 2004 la Camera dei Deputati americana siglò una risoluzione con soli tre voti contrari, con la quale autorizzava l’amministrazione Bush all’ ”uso di tutti i mezzi necessari” – presumibilmente la forza militare inclusa – per “prevenire l’acquisto di armi nucleari da parte dell’Iran.”

Così come si strumentalizzò l’opinione pubblica sulla necessità di un’invasione dell’Iraq, quando entrambi i leader politici democratici e repubblicani di Capitol Hill adottarono la strategia di proporre testimonianze davanti alle commissioni preposte per presentare come fatti le più allarmanti percezioni. Lo scorso mese, per esempio. Patrick Clawsson dell’ala destra del Washington Institute for Near East Policy testimoniò quanto segue, davanti alla Commissione del senato addetta alle relazioni internazionali: “da quando l’Iran è una Repubblica Islamica, esso ha un programma per le armi nucleari, almeno clandestino.”
Nessun senatore presente, tuttavia, infastidì l’assemblea parlamentare, menzionando un fatto sconveniente che risale all’epoca del regime dello Shah, precedente quindi la Repubblica Islamica dell’Iran. In quel periodo l’Iran aveva un programma nucleare (che era attivamente supportato ed incoraggiato dagli Stati Uniti). Tuttavia, Clawson disse che nel momento in cui un programma nucleare è inevitabile nelle mani di una Repubblica Islamica, solo con il rovesciamento dell’assetto governativo – e non attraverso strategie diplomatiche – gli Stati Uniti sarebbero salvi dalla minaccia nucleare. Insistette poi dicendo che “il punto chiave” non è se può essere rispettato un contratto sul controllo delle armi, ma “quando terminerà l’attuale regime iraniano?”

I rischi di un attacco USA all’Iran

Con l’evidente sconfitta in Iraq, nessun tipo di invasione via terra dell’Iran sarà contemplata dalle forze statunitensi. L’Iran è tre volte più grande dell’Iraq, sia in termini demografici che geografici. E’ una terra molto più montagnosa e questo incrementerebbe la capacità di resistenza organizzata in guerriglia e sarebbe persino più forte il sentimento nazionalista della popolazione nei confronti dell’invasore straniero.

Un attacco aereo, missili via mare e bombardamenti con jet militari si profila essere uno scenario molto più realistico. Tuttavia, anche questa limitata operazione militare creerebbe seri problemi agli Stati Uniti.

Il Washington Post, in un recente articolo circa un possibile attacco Usa contro l’Iran, riporta che Reuel Marc Gerecht, uno ex specialista CIA del Medio Oriente, ha notato come “il Pentagono si sta arditamente opponendo ad esso perché è già molto impegnato” nelle presenti operazioni in Afghanistan e Iraq.
Ancora, il Post, riporta che un ex ufficiale del Pentagono in contatto con i suoi ex colleghi abbia osservato: “io non penso che nessuno è pronto ad arrivare alle armi in questo momento.” La crescente opposizione nei confronti del segretario alla difesa Ronald Rumsfeld da parte di molti leader dei servizi militari a proposito della guerra in Iraq, è confermata anche dalle recenti dimissioni di numerosi generali. Il perseguimento di una nuova operazione militare senza un forte supporto da parte di tutti i leader militari americani risulterebbe particolarmente problematica.

I timori espressi da alcuni oppositori su una possibile azione militare statunitense contro l’Iran e di una risposta iraniana con attacchi terroristici contro gli interessi americani non sono molto realistici. Infatti il controllo dell’Iran sui gruppi terroristici stranieri e il suo ruolo nelle operazioni terroristiche sono stati spesso esagerati nel corso delle analisi americane.

Tuttavia, ci sono molte aree in cui gli Stati Uniti sarebbero particolarmente vulnerabili alle rappresaglie iraniane, una di queste è il Golfo Persico, dove le navi della flotta americana potrebbero essere degli obiettivi facili per i missili ed i torpedo iraniani.

[Il lancio di un missile anti-nave iraniano]

La situazione poi, sarebbe molto più seria in Iraq dove le truppe americane sono tuttora impegnate contro l’insorgere della resistenza sunnita insieme alle milizie iraniane che appoggiano il nuovo assetto governativo. Se le milizie iraniane decidessero di rivolgere le loro armi contro le forze americane, gli Stati Uniti sarebbero intrappolati su entrambi i lati nella bollente guerra civile con poche vie di scampo. Sarebbe difficile per gli Stati Uniti distinguere le milizie affiliate ai i partiti eletti democraticamente nel nuovo governo che combattono contro le forze d’occupazione nella loro terra come “terroristi”, o usare questi attacchi come una scusa per lanciare ulteriori operazioni militari contro l’Iran. (di fatto l’Iraq è governato da due partiti filo iraniani e recentemente l’amministrazione Bush ha accusato l’Iran di aiutare l’insorgere degli oppositori iracheni sunniti. Quest’accusa è totalmente assurda ed è stata respinta dal governo iracheno.)

Un attacco aereo americano rappresenterebbe una chiara violazione della Carta delle Nazioni Unite ed incontrerebbe un’ampia opposizione della comunità internazionale. Il risultato sarebbe l’isolamento degli Stati Uniti visti come superpotenza arrogante, in un momento storico in cui invece gli stessi dovrebbero impegnarsi a ricucire le relazioni con gli alleati europei e medio orientali. Anche la Gran Bretagna ha espresso il suo parere contrario ad un’azione militare. Gli stati arabi filo occidentali, nonostante la loro preoccupazione rispetto ad un programma nucleare iraniano, reagirebbero alquanto negativamente ad un attacco militare statunitense particolarmente perché rafforzerebbe gli estremisti anti-americani, permettendo loro di trarre vantaggio dalla opposizione popolare agli Stati Uniti che usano le armi contro una nazione islamica per difendere il monopolio nucleare israelo-americano della regione mediorientale.

Come risultato le negative conseguenze di un attacco militare USA sono abbastanza pesanti da convincere l’amministrazione Bush a non proseguire con l’opzione militare.

La procura israeliana

Benché una diretta operazione militare americana contro l’Iran è ancora molto probabile, è anche più probabile la possibilità che gli americani appoggino ed incoraggino Israele ad un’azione militare nell’area. In uno scenario del genere, gli ufficiali americani si sentirebbero più al sicuro perché gli Stati Uniti avrebbero tutto da guadagnare sia dall’attacco militare contro l’Iran che dal fatto che ad essere esposto agli occhi del mondo sarebbe Israele, limitando così i danni agli USA. Fox News riporta che i dirigenti dell’amministrazione Bush dissero agli israeliani “noi stiamo facendo il lavoro grosso in Iraq e Afghanistan….e gli Israeliani devono gestire questa situazione per conto loro”.

Israele ha dimostrato più volte la volontà di violare le norme giuridiche internazionali e — con il veto USA che blocca il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dall’imporre sanzioni, e gli Stati Uniti che riforniscono il governo israeliano di un’incondizionata assistenza sia militare che economica – la propria abilità a venir fuori dai pasticci. Il governo israeliano è convinto che l’occupazione americana dell’Iraq ha radicalizzato i capi religiosi iraniani e che l’Iran, a differenza dell’Iraq degli ultimi anni di Saddam Hussein, pone a rischio la sicurezza degli interessi israeliani. Tuttavia, per le ragioni menzionate sopra, i governanti israeliani hanno affermato di credere che gli Stati Uniti non si muoveranno militarmente contro l’Iran e che invece finiranno per dover usare le proprie forze militari.

Un attacco israeliano tuttavia non è inevitabile. I sondaggi sull’opinione pubblica mostrano che la maggioranza degli israeliani è contraria all’idea di un attacco israeliano all’Iran. L’analista della sicurezza Steve Clemons è stato citato dal Washington Monthly affermare “ho registrato più timori sulla retorica anti-olocausto e anti-israele del presidente iraniano Ahmadinejad da parte degli Stati Uniti, piuttosto che da Tel Aviv o Gerusalemme…. Quasi tutti quelli con cui ho parlato in Israele, sia simpatizzanti del Likud che del pensiero di sinistra di Maretz, sostengono che Israele considera sbagliata e troppo impulsiva per essere presa in considerazione l’idea di un coinvolgimento militare con l’Iran a questo stadio” poi aggiunse “i burocrati israeliani della sicurezza nazionale – diplomatici e generali – confidano nell’’esistenza di diverse possibili soluzioni alla crescente crisi dell’Iran piuttosto che bombardare la nazione con una breve e intensa azione militare”.

Non ci sono indicazioni che l’Iran stia contemplando un primo attacco ad Israele o a qualsiasi altra nazione. L’Iran, come altri governi islamici nella regione, ha usato la repressione israeliana della Palestina per fini propagandistici ma raramente ha fatto qualcosa per aiutare veramente i palestinesi. E’ impensabile che gli iraniani lancino mai un attacco nucleare ad Israele – che possiede almeno 300 armi nucleari, sofisticati missili e altri sistemi di lancio che potrebbe distruggere totalmente l’Iran – per amore dei palestinesi, molte migliaia dei quali morirebbero comunque. Tuttavia un attacco israeliano darebbe all’Iran diversi motivi di ritorsione.

Nonostante questi pericoli, Israele – con l’incoraggiamento USA – da tempo considera la possibilità di attaccare l’Iran.

A metà degli anni 90, prima dell’ elezione del trascorso governo del Likud di Benyamin Netanyahu appoggiato dagli USA, il processo di pace con i palestinesi procedeva fermamente, un trattato di pace fu siglato con la Giordania, e i legami diplomatici ed economici con gli altri paesi Arabi crescevano. Con la prospettiva di una pace arabo – israeliana permanente, gli esportatori di armi americane con le loro alleanze nel Congresso e l’amministrazione Clinton, insieme alle controparti di falchi israeliani, iniziarono ad enfatizzare la conferma della minaccia iraniana su Israele giustificando sussidi statunitensi per più di 2 miliardi di dollari di valore annuo erogati ad esportatori di armi americane in Israele. Tra questi c’è un contratto che rifornisce Israele dei sofisticati bombardieri F – 15 . Come il processo di pace iniziò a vacillare a causa della crescente repressione e colonizzazione israeliana e del crescente terrorismo da parte di gruppi radicali palestinesi e i riformisti apparvero guadagnare strada in Iran Israele iniziò a focalizzarsi sulle minacce più vicine a casa sua, sebbene le consegne di F – 15 continuarono per tutto il 2001.

Lo scorso anno, tuttavia, gli Stati Uniti inaspettatamente rifornirono Israele di ulteriori trenta F–15 a lunga gittata al costo di 48 milioni di dollari ognuna. Gli USA inoltre hanno recentemente venduto ad Israele 5000 armi GBU-27 e GBU-28, meglio conosciute come “bunker-busters”, proiettili guidati da laser o satelliti che possono penetrare il suolo per circa dieci metri. La stampa ha riportato le parole di una fonte della sicurezza israeliana che notava: “questi non sono dei proiettili di ordinanza necessari sul fronte palestinese. I proiettili bunker-busters potrebbero servire ad Israele contro l’Iran…” Israele inoltre ha almeno cinque sottomarini armati con missili marini che potrebbero facilmente raggiungere gli obiettivi iraniani.

Uno scenario possibile è che Israele invii 3 squadroni di F-15 sorvolando i cieli della Giordania e dell’Iraq, spazio aero ora sotto il controllo degli americani, per attaccare le basi missilistiche dell’Iran. Gli Stati Uniti darebbero il loro supporto attraverso informazioni satellitari e il rifornimento aereo dei jet israeliani nel momento del loro rientro dall’Iran. Il Sunday Time riporta che gli israeliani si sono “coordinati con le forze americane” per questo tipo di operazione. Lo stesso articolo riporta anche che un commando israeliano sta portando avanti delle simulazioni su un modello a scala naturale della base nucleare iraniana di Natanz presso la base militare israeliana nel deserto del Negev e il dispiegamento clandestino di unità di forze israeliane in Iran. Nello stesso tempo, il satellite spia israeliano Ofek-6 è stato spostato in un orbita sopra le basi iraniane.

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[Possibili rotte per un attacco Israeliano agli stabilimenti nucleari iraniani]

Nell’aprile 2004 il presidente Bush si scambiò lettere con Sharon nelle quali afferma, riferendosi all’Iran, che, “Israele ha il diritto di difendersi con le proprie forze”.

Nonostante le diffuse ipotesi sulla “coda che muove il cane”, la storia ci testimonia che gli Stati Uniti hanno utilizzato di frequente Israele per perseguire i propri interessi strategici nella regione mediorientale, e altrove, come ad esempio aiutare i governi e le insurrezioni filo-occidentali controllando governi radical-nazionalisti come la Siria, intervenendo segretamente in Giordania, in Libano e ora in Kurdistan.

Durante gli anni 80, Israele è stato usato dagli USA come fornitore di armi a governi terzi, che gli USA non potevano armare direttamente, come fu ad esempio nel caso del regime dell’ Apartheid in Sud Africa, la Junta dittatrice guatemalteca, i Contras/Controrivoluzionari nicaraguesi e, ironia della sorte, i mullah iraniani. Il bombardamento israeliano del reattore nucleare iracheno Osirak nel 1981 – a parte il criticismo formale, fu supportato con entusiasmo dall’amministrazione Reagan.

Un’analista israeliano ha affermato al Washington Post che durante lo scandalo dell’affare Iran-Contra, “è come se Israele fosse diventato un’altra agenzia federale, quella che conviene chiamare in causa quando vuoi che un lavoretto sia fatto con discrezione”. Nathan Shahan scrisse sullo Yediot Ahronot che la sua nazione serve come “messaggero del Dio padre” in quanto “Israele svolge il lavoro sporco del Dio padre che cerca sempre di apparire come il promotore di ampi e rispettabili affari”.
L’umorista israeliano B. Michael descrive l’aiuto USA ad Israele come una situazione dove “il mio protettore mi da cibo da mangiare ma in cambio mi chiede di percuotere coloro che lui vuole percuotere. E’ chiamata cooperazione strategica!”.

Da quando i governanti dell’Europa medievale usarono gli ebrei come prestasoldi e tribuni delle tasse per scongiurare l’ira di una popolazione sfruttata, i governatori del mondo, oggi incarnati in un’unica super potenza, vorrebbero usare Israele per fare il loro sporco lavoro in Iran. In questo modo, Israele e non gli Stati Uniti ne avranno la colpa. (infatti ci sono coloro che danno la colpa ad Israele anche quando gli Stati Uniti conducono delle azioni militari unilaterali, come secondo le varie teorie cospirative che stanno circolando, l’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti è stata fatta per conto di Israele.)

Non funzionerà

Un attacco militare contro l’Iran, sia condotto direttamente dagli USA o attraverso Israele non riuscirà a tenere a freno il programma nucleare iraniano. Invece esso motiverà il governo iraniano, forte del supporto popolare incrementato in reazione all’aggressione straniera contro la loro nazione, a raddoppiare i propri sforzi.

L’Iran ha deliberatamente esteso le sue basi nucleari lungo un’ampia area geografica, con almeno nove maggiori siti. Anche le bombe bunker-buster potrebbero non penetrare completamente tutte queste basi, supposto che tutte le basi segrete vengano localizzate.

Il raid israeliano al reattore iracheno Osirak nel 1981, dietro al quale c’erano gli Stati Uniti, in accordo praticamente con tutti i resoconti degli scienziati nucleari iracheni, fu al massimo una temporanea battuta d’arresto per il programma nucleare di Saddam Hussein e portò all’accelerazione nella sua tabella di marcia dello sviluppo di armi nucleari fino a quando non furono smantellate sotto la supervisione dell’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica dell’ONU agli inizi degli anni 90. Nonostante ciò il Congresso passò una risoluzione nel 1991 in difesa dell’azione israeliana, criticando le Nazioni Unite per la sua opposizione all’attacco militare illegale condotto da Israele.

L’unica soluzione reale per bloccare il programma nucleare iraniano è la via diplomatica. Per esempio, l’Iran si è appellato per l’istituzione di una zona franca di produzione di armi nucleari per il Medio Oriente, con l’adozione della quale tutte le nazioni della regione sarebbero chiamate a rinunciare alle proprie armi nucleari ed aprire i loro programmi a restrittive ispezioni internazionali. L’Iran è appoggiato in questa idea dalla Siria e dai paesi arabi alleati degli Stati Uniti come la Giordania ed l’Egitto, e da altri stati mediorientali. Queste zone franche per le armi nucleari si sono già realizzate con successo in America Latina, nel Pacifico del Sud, in Antartico, in Africa e nel sudest asiatico.

L’amministrazione Bush e i leader del Congresso di entrambi i partiti politici hanno rifiutato una tale proposta, anzi, insistono nel dire che gli Stati Uniti hanno il diritto unilaterale di decidere quali nazioni possono avere armi nucleari e quali no, impongono, cioè, una sorta di apatheid nucleare. Nel 1958 gli Stati Uniti erano la prima nazione ad introdurre le armi nucleari nella regione, trasportandole con le loro navi ed aerei. Israele divenne uno stato con armi nucleari agli inizi degli anni 70 con il caldo supporto del governo americano. A est dell’ Iran, il Pakistan e l’India hanno sviluppato armi nucleari, anch’essi grazie al supporto americano: l’amministrazione Bush recentemente ha siglato un accordo con l’India con il quale rifornisce entrambe le nazioni di jet in grado di sganciare bombe nucleari.

Dislocato in una regione così pericolosa, poi, non c’è da sorprendersi che l’Iran stia cercando di approvvigionarsi del deterrente nucleare. Gli Stati Uniti e Israele non vogliono che l’Iran sia provvisto di un tale deterrente in quanto questo cambierebbe il monopolio nucleare americano e israeliano in questa regione ricca di petrolio. In altre parole, il governo israeliano ed i leader del congresso sono preoccupati per la protezione degli interessi egemonici degli Stati Uniti e del suo giovane partner Israele, senza bloccare la proliferazione delle armi nucleari.

Una politica del genere non protegge gli interessi della popolazione americana e israeliana e neanche la popolazione iraniana e del Medio Oriente nel suo insieme. Rimane da vedere, tuttavia, se il pubblico americano permetterà ancora una volta all’amministrazione Bush e ai capi dei partiti del Congresso di utilizzare a loro vantaggio storie esagerate di potenziali “armi di distruzione di massa” in possesso di una ricca nazione petrolifera dall’altra parte del mondo per giustificare una guerra disastrosa.

Stephen Zunes è l’editore del Medio Oriente per il Foreign Policy in Focus Project (www.fpif.org). E’ professore di politiche all’Università di San Francisco ed è l’autore di “Tinderbox: U.S. Middle East Policy and the Roots of Terrorism” (Common Courage Press, 2003).

Fonte: http://www.fpif.org/

Link: http://www.fpif.org/fpiftxt/3251

28.04.2006

Traduzione per www.comedonchisciotte.org di MICHELA

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