DI VALERIO LO MONACO
ilribelle.com
A dire la verità, il ragionamento di Standard and Poor’s non fa una piega. Almeno secondo l’ottica alla quale, se non altro pubblicamente, fanno riferimento le agenzie di rating (ed è il motivo per il quale secondo il nostro governo questa decisione di S&P era “scontata”).
Sappiamo bene come tale ottica ufficiale sia invece poi stravolta quando le decisioni che le agenzie di questo tipo prendono sono dettate da altri criteri e motivazioni, come ad esempio, come è ormai certo, il lavoro di “concerto” con i fondi speculativi.
A SEGUITO “ITALIA DECLASSATA, ATENE VICINA AL DEFAULT” (EUGENIO BENETAZZO, cadoinpiedi.it);
In questo caso però, e in merito al declassamento dell’Italia, ventilato da Moody’s già da giorni e invece applicato direttamente da S&P, il tutto è di chiarezza cristallina.
Le previsioni per il debito del nostro Paese naturalmente peggiorano – e come potrebbero migliorare visti i tagli e la stagnazione? – e dunque è facile leggere il comunicato dell’agenzia: il declassamento “riflette la nostra visione di prospettive di crescita indebolita” che “probabilmente limiterà l’efficacia del programma di consolidamento del bilancio in Italia”.
Non solo, nella nota sulle motivazioni del declassamento – da A+ ad A – al quale è stato affiancato anche l’outlook negativo, il che significa che si andrà incontro a ulteriori declassamenti, visto che la situazione difficilmente migliorerà, si legge anche che tutto dipende anche dal fatto che “la fragile coalizione di governo e le differenze politiche all’interno del Parlamento continueranno probabilmente a limitare la capacità dell’esecutivo di rispondere con decisione a un contesto macro-economico interno ed esterno difficile”.
Secondo S&P il governo italiano, e altre autorità, “rimangono riluttanti” a risolvere problemi chiave, come “gli ostacoli strutturali alla crescita, il basso tasso di partecipazione al lavoro e mercati dei servizi e del lavoro troppo strettamente regolati”.
Insomma il nostro governo dovrebbe, per mantenere il proprio rating, deregolamentare il mercato del lavoro. Ovvero precarizzare tutti un po’ di più.
Facili le considerazioni: come in precedenza per altri Paesi, e solo con un ritardo di tempo, anche il nostro sta seguendo la medesima parabola degli altri. Problemi, tagli, declassamenti, interessi da pagare e poi il resto che sappiamo.
Non solo: difficilmente, nel momento attuale, sia mondiale sia tipicamente italiana, è prevedibile un miglioramento della situazione. Il che significa una sola cosa: o ci liberiamo dalle catene che ci tengono legati al “great game” finanziario, oppure finiremo nelle mani della troika Fmi-Ue-Bce proprio come la Grecia. E con i risultati che sappiamo.
Curioso, infine, che anche i media di massa abbiano iniziato, da pochissimo, ad appellare il Fondo Monetario Internazionale, l’Unione Europea e la Banca Centrale Europea con il termine “troika”, no?
Valerio Lo Monaco
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20.09.2011
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