SPIACENTE…, LIBERTARI, LA STORIA INSEGNA CHE LA MONETA DIGITALE NON IL FUTURO!

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DI MATTHEW ZEITLIN
bloomberg.com

Considerando il fenomeno della valuta digitale, quale è il bitcoin, viene alla mente che in generale ci sono due spiegazioni sull’origine e la storia della moneta: la prima è elegante, intuitiva, ed è quella insegnata in gran parte dei libri di testo introduttivi di economia; la seconda è quella vera.

L’economista finanziario Charles Goodhart, ex membro del consiglio di politica monetaria della banca centrale d’Inghilterra, ha esposto i due diversi punti di vista sull’argomento in un suo scritto del 1998, “The Two Concepts of Money: Implications for the Analysis of Optimal Currency Areas.” (“I due concetti di moneta”: implicazioni nell’analisi di aree valutarie ottimali”, NdT).
Il primo punto di vista, il cosiddetto “M View”, prende il nome dallo storico ed economista austriaco del diciannovesimo secolo Karl Menger, il cui saggio del 1882
“Sull’origine della moneta” non è altro che la tradizionale trattazione di un argomento di discussione iniziato con Aristotele.
Nel momento in cui un’agricoltura di sussistenza fa spazio ad economie più complesse, nasce negli individui il bisogno di commerciare: il semplice baratto (otto stai di grano in cambio di una botte di vino) non è più sufficiente, poiché i desideri del compratore non si incontreranno mai con la disponibilità di merci del venditore: se, ad esempio, un mercante arriva in un villaggio con del vino e tutto ciò che un contadino ha da offrire in cambio è del grano, nel caso in cui il primo voglia delle noci, non ci sarà scambio ed entrambe le parti se andranno insoddisfatte. Altrimenti, il contadino dovrà preoccuparsi di andare a cercare un altro mercante con cui scambiare il proprio vino con noci, nella speranza che il primo mercante non si sia nel frattempo spostato in un altro villaggio. Ma, se il mercante ed il contadino hanno la possibilità di utilizzare un altro mezzo, allora lo scambio può avvenire.
Questo mezzo di scambio dev’essere però, come dice Menger, “smerciabile”, inteso come “facilmente trasportabile”, che non si deteriori nel tempo e che possa essere diviso; che si tratti di monete, conchiglie o palline non importa, si adatta allo scopo, come le sigarette nei campi di prigionia e nelle carceri, o i detersivi per il bucato per i trafficanti di droga .
E questo processo, fa notare Menger, avviene senza l’intervento dello stato: “la moneta non è stata istituita per legge; all’origine, essa fu un’istituzione sociale, non statale”.

Goodhart sottolinea tuttavia che Menger si sbaglia riguardo alla reale evoluzione storica della moneta fisica, in particolar modo delle monete metalliche; e scrive che le monete non seguono affatto la teoria di Menger.

In effetti la gente comune non riesce a giudicare la qualità di pezzi di metallo allo stesso modo in cui riesce a contare le sigarette o le conchiglie; riesce però a contare le monete. Ma le monete devono essere coniate, ed i governi rappresentano il corpo ideale per fare questo. I metalli preziosi trasformati in monete sono, appunto, preziosi e bisogna quindi mettere grandi riserve di questi metalli al riparo da furti. C’è da dire che una zecca privata avrebbe sempre l’interesse di dire che le proprie monete contengono una quantità di materia prima preziosa maggiore di quanto non ne abbiano in realtà. Inoltre i governi possono durare più a lungo e assumere impegni a lunghissima scadenza sulle loro valute rispetto a quanto possa fare il nostro fabbro ferraio locale.

Ma perché porre l’attenzione principale sulla questione della creazione della moneta? E questo ci porta alla seconda teoria della moneta, quella che Goodhart chiama “Il punto di vista C”, dove C sta per Cartalista (l’ortografia corrente è Chartalista). Portato ad estrema semplificazione, questo punto di vista parte dall’idea che gli Stati battevano moneta per pagare i soldati e che successivamente fecero di questa moneta l’unica valuta accettata per pagare le tasse. Con una valuta standard, l’imposizione e l’esazione delle imposte divenne più semplice e lo stato poteva ottenere un piccolo profitto attraverso il signoraggio.

La teoria di una stretta relazione tra Stato e moneta trova storicamente molti più sostenitori di quanti non ne abbia quella più organica sostenuta da Menger. Come sottolinea Goodheart, i più grandi sovrani costruttori dello Stato, come Edoardo I d’Inghilterra o Carlo Magno, tendono ad apportare importanti innovazioni nel campo della circolazione monetaria; e a questi si potrebbe facilmente aggiungere Franklin D. Roosevelt, quando nel 1933 ritirò gli USA dal sistema monetario aureo, o Abramo Lincoln, il quale finanziò la guerra civile mettendo in circolazione nuove banconote.

D’altra parte, è vero anche il contrario, quando gli Stati collassano, portano al collasso anche la propria moneta: quando nel 958 il Giappone smise di battere moneta, l’economia ritornò al baratto nell’arco di un cinquantennio, e quando cadde l’impero romano nell’Europa Occidentale, la creazione di moneta si frantumò lungo nuovi confini politici. Se la moneta fosse improvvisamente indipendente dagli Stati, come secondo il punto di vista M, si potrebbe pensare che essa sopravvivrebbe alle strutture politiche transitorie; tuttavia, la storia ci insegna che di solito le cose non stanno proprio così, valida ragione in più, questa, a sostegno del punto di vista C.

Ebbene, che relazione ha tutto ciò con i Bitcoins? La moneta elettronica, introdotta all’inizio del 2009, famosa presso i fanatici della tecnologia libertari, i giocatori d’azzardo on-line e i trafficanti di droga su internet, sta vivendo il suo apice. Probabilmente influenzata dalla crisi bancaria e dal taglio sui depositi a Cipro, i bitcoins hanno visto schizzare alle stelle il proprio valore nell’ultimo mese, passando da 33 dollari a Bitcoin il 3 marzo a quasi oltre 140 dollari oggi, e più che raddoppiando il suo valore nelle ultime due settimane.

Sebbene i creatori ed i maggiori utilizzatori di bitcoins mostrino un certo scetticismo sulla sicurezza e sul valore delle monete ufficiali emesse dallo Stato, la spiegazione “centralista” su come sia nata la moneta ci aiuta a capire perché i bitcoins godano oggi di tanta popolarità. D’altra parte è anche vero che solo potenti computer ed una crittografia digitale molto sofisticata possono far sì che una valuta privata possa funzionare al pari delle monete tradizionali, affiancandosi a queste.

Ma se il requisito fondamentale del denaro, sia esso sotto forma di monete metalliche, soldi di carta affiancati da monete, o carta affiancata da promesse del governo, è quella di essere trasportabile, durevole e divisibile, allora il bitcoin si adatta perfettamente allo scopo.

Un programma open-source utilizzato da computers in tutto il mondo crea bitcoins ad un tasso predeterminato; ogni nodo di rete, ovvero un gruppo di computers collegati fra di loro in rete, risolve un complicato problema matematico che richiede una notevole capacità di calcolo informatico, e viene retribuito con 25 bitcoins. Il programma è impostato in maniera tale che entro il 2140 ci saranno in circolazione 21 milioni di bitcoin (ad oggi se ne contano circa 11milioni), dopodiché il programma si arresta.

Ciascuna transazione ha una firma digitale unica, in modo tale che ognuno in rete possa tenere traccia di ciascun bitcoin evitando contraffazioni o doppi computi; e poiché è stabilito che il numero di bitcoins cresca ad un tasso predeterminato, il loro valore non è soggetto a diluizione o deprezzamento unitario; inoltre essi risultano di gran lunga più “trasportabili” del denaro tradizionale per tutti i casi di transazioni commerciali via internet, ed i suoi sottomultipli possono scendere fino al valore di 0.00000001, cioè un Satoshi (dal nome dell’inventore del bitcoin, conosciuto con lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto). Questa moneta possiede insomma tutte le caratteristiche di una tipica zecca medievale: sicurezza, disponibilità limitata, denominazioni certe, ma totalmente decentralizzata.

Si può certamente considerare un successo, ma non rappresenta di certo il futuro del denaro. Anche mettendo da parte i problemi relativi alla sicurezza, non c’è da stupirsi che la valuta elettronica possa essere un obiettivo privilegiato degli hackers, senza contare il rischio potenziale che il bitcoin, da semplice mezzo per effettuare transazioni commerciali anonime, diventi oggetto di investimenti speculativi, specialmente se continuerà a crescere di prezzo; il che potrebbe dare il via da un accaparramento di bitcoins da parte dei primi utilizzatori, distruggendo così il mercato. E, sebbene le transazioni non abbiano ancora accennato a diminuire, neanche i libertari digitali utilizzerebbero subito e volentieri una valuta dal valore e dall’aspetto superfantastico…!

Ed è proprio in questo che lo Stato può avere una marcia in più, poiché, stampando nuova moneta, potrebbe evitare che l’attività economica venga strozzata da scarsezza o accumulo di denaro; ciò sarebbe perfettamente in linea con il “punto di vista C”, secondo il quale sono gli Stati che devono creare il denaro, per facilitare l’attività economica. E, poiché i bitcoins possono essere prodotti soltanto ad un tasso predeterminato, c’è un costante rischio di deflazione, o comunque la possibilità che essi diventino più una merce da acquistare che uno strumento da utilizzare.

Ma anche se il bitcoin rimarrà un prodotto di nicchia per il popolo di libertari online, esso rappresenta pur sempre una grande lezione di economia monetaria: chiamatelo pure “il punto di vista B”!

Matthew Zeitlin è collaboratore del Ticker di Bloomberg. Seguilo su Twitter

Fonte: www.bloomberg.com

Link: http://www.bloomberg.com/news/2013-04-04/sorry-libertarians-history-shows-bitcoin-isn-t-the-future.html

4.04.2013

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MARCO OSSINO

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