SPACCARE LA TV IN VIALE MAZZINI

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DI MASSIMO FINI
antefatto.ilcannocchiale.it

Sabato (24.04.2010) io e il mio gruppo di “Movimento Zero” e de “La Voce del Ribelle” abbiamo organizzato, alle tre del pomeriggio, una manifestazione in viale Mazzini, sede storica della Rai. Con un furgoncino abbiamo portato una decina di televisori e io, in versione Ursus, con una mazza ferrata ne ho spaccati alcuni mentre i miei compagni, una trentina, inalberavano uno striscione: “Tv, oppio dei popoli”. Non c’era, nella giornata piovosa, nessuna Tv, né Rai, né Mediaset, né di qualsiasi altro network, a riprendere l’“evento” e questo è comprensibile visto l’oggetto della nostra contestazione. Ma non c’era nemmeno un cronista di quotidiano. Le riprese ce le siamo fatte da noi e le manderemo su YouTube. La sola a darci un po’ di attenzione è stata la polizia, senza intervenire perché gli avevamo chiarito che la nostra manifestazione era pacifica e simbolica.Simbolica di che? Noi non contestavamo la Rai in particolare – anche se ce ne sarebbero tutti i motivi – ma la Tv in quanto tale, come mezzo.

In Afghanistan il Mullah Omar, quando governava, fece distruggere materialmente tutti gli apparecchi televisivi intuendo che un mezzo del genere finisce per disgregare e distruggere una comunità. Da noi il processo è durato una cinquantina di anni ma il risultato, alla fine, è stato quello previsto dal Mullah Omar per il suo Paese. La forza della Tv non sta nel fatto che “fa vedere”. Anche il cinema “fa vedere” ma non ha provocato le devastazioni sociali e culturali della televisione. Al contrario. Perché per andare al cinema bisogna scegliere il film, uscire di casa, recarsi, spesso, in un altro quartiere della città. Al cinema ci sono altre persone, durante gli intervalli – quando ancora li fanno – e alla fine si ascoltano i commenti degli altri spettatori e magari con qualcuno ci si ferma a discutere del film. È ancora una cosa umana. La forza della Tv sta nel fatto che è piazzata, “a priori”, nelle nostre case. È ineludibile. Il suo primo, e forse più grave, effetto, è di separarci dalla vita e dagli altri.

Ci fa vivere di resoconti. Io ritengo che una partita a scopone, al bar di sotto con gli amici, sia umanamente più arricchente di un buon programma televisivo, ammesso che ne esistano.

In secondo luogo la Tv, per sua natura intrinseca, è uno strumento senza profondità. Anche al di là della volontà di chi la fa banalizza qualsiasi cosa. In Tv un rutto di Costanzo, o chi per lui, può distruggere la Critica della ragion pura. E i risultati li abbiamo sotto gli occhi.

Il processo di deculturizzazione della popolazione italiana (ma il discorso vale per tutto il mondo occidentale) è dovuto a vari fattori ma principalmente alla Tv e alla sua sorella gemella, la Pubblicità, ad essa intrinsecamente collegata, che è il motore di tutto il paranoico sistema del “produci-consuma-crepa”. La Tv non è un fattore di conoscenza ma di ignoranza, individuale e collettiva, perché, omologante com’è, ci priva della nostra identità culturale e spirituale. Negli anni Cinquanta e Sessanta quando dall’America ci arrivavano certe cose kitsch noi italiani dicevamo, bonariamente, “è un’americanata”. Oggi accogliamo , come fosse l’ostia consacrata, qualsiasi stronzata che ci viene da Oltreoceano. Perché abbiamo perso la nostra identità. Scrive Johan Huizinga: “Il contadino, il marinaio, l’artigiano d’una volta nel tesoro delle sue conoscenze pratiche trovava anche lo schema spirituale con cui misurare la vita e il mondo”. Comunque non c’è da perdersi d’animo. Ogni strumento tecnologico, applicato alla conoscenza, tanto più è sofisticato tanto meno tiene nel tempo. La pittura è durata migliaia di anni, la stampa qualche secolo, la Tv è in pista da poco più di sessant’anni e sta per essere divorata da Internet che durerà ancora meno. Noi, piccolo manipolo di eversori di “Movimento Zero”, non siamo che degli antesignani. Ignorati come tutti gli antesignani. Ma il tempo ci darà ragione. Più presto di quanto non si creda.

Massimo Fini
Fonte: http://antefatto.ilcannocchiale.it

Da il Fatto Quotidiano del 27 aprile

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