Il risveglio del 26 dicembre 2004, sarà ricordato negli annali della storia umana come uno dei giorni in cui la Terra ha emesso un rantolo affannoso, travolgendo il mare e la terra con l’ansimo del suo respiro asmatico.
Il Paradiso per l’uomo occidentale, trasformato nel volgere di poche ore nell’Inferno Dantesco di caos, distruzione e morte, portando all’eguaglianza turisti e miseria costante nella mancanza d’infrastrutture sociali e sanitarie d’una parte del mondo che decora depliant dei pacchetti turistici.
Il pianeta ha dimostrato che esiste senza temere il giudizio dell’uomo e della sua superiorità intellettiva e tecnologica, che nulla può fare quando la natura travolge quanto trova innanzi al suo cammino, soffocando, annegando nella marea d’acqua calda e spumeggiante, trasformante nel volgere di pochi istanti in una tomba abissale, erompendo nei media mondiali con la forza dei suoi venti spazzante e modificante il panorama geografico come un artista impazzito che dipinge la tela con i colori secchi ed aridi della morte, stendendo un sudario senza pietà su forme animali, vegetali ed umane con spietata giustizia cosmica degli eventi.
Il pianeta viaggia a 29,80 Km/sec nello spazio planetario, è un sasso scagliato verso l’infinto, percorrendo da miliardi di anni il suo cammino all’interno del Sistema Solare, nella Via Lattea, indifferente alle miserie che attanagliano il quotidiano dei suoi ospiti ben voluti e no; forse il monolite vivente è stanco dell’uomo, dell’ingombrante presenza che deturpa, lacera, brucia, travolge con colate di cemento la sua epidermide verde, azzurra, massiccia, ma che nasconde all’interno il calore d’un nucleo pulsante come le pulsioni umane, sovente incontrollabili, scagliandosi poi, come l’uomo nei momenti d’ira verso i suoi ospiti, mostrando la violenza unificante del dramma nella presenza silenziosa ma terribile.
L’urlo dei vivi s’eleva contro la natura stessa, piangendo lacrime per i figli, i genitori, perduti, per i viaggi e villaggi cancellati, per il panico ricevuto innanzi alla fragilità dell’essere innanzi al trapasso dell’esistere e l’irrigidimento del corpo nel rigor mortis, bruciato tra le fiamme per il timore del rinnovarsi d’antiche pestilenze sempre in agguato, sotto controllo apparente dalla civiltà, che innanzi alla naturale catastrofe d’un respiro cosmico, dimostra la fragilità della forza dell’uomo sugli elementi che lo sovrastano.
Il pianeta cicatrizza le sue ferite, seppellendo negli abissi dell’oceano il sangue versato dalle sue creature nell’eco sistema.
E’ l’urlo del Cosmo-Pianeta-Uomo-Cellula, nucleo primordiale dell’esistenza che si staglia nel moto d’apparente immobilità Tolemaica nella volta celeste, e nel silenzio dell’attesa di un’onda rimandante i resti deturpati d’una parte dei suoi abitanti.
Lo strazio è nell’uomo e per l’uomo, per l’immanenza di creatura senziente che sa d’essere sovrastato e che finge d’ignorare, mai al riparo né da se stesso, né dall’immagnifico che vive nelle profondità del nucleo pulsante del pianeta.
La cellula ha urlato creando nelle placche lacerate dolore e strazio, sussultando dal profondo della sua membrana, vibrando tra fuoco e vulcani sommersi il suo fremito, come l’urlo dell’uomo mentre sussulta innanzi alle ferite di psiche e corpo, rendendolo inerte su una spiaggia ricoperta di detriti, rigettato dal mare, come i rifiuti trascinati nel letto del fiume verso l’oceano sterminato della morte.
Legati al cappio di un’illusoria solidità, franiamo sconvolti quando l’Universo detta la legge della natura sulla natura dal macrocosmo al microcosmo. La sua forza distruttrice e creatrice come marea ritirante le acque per poi sommergere e livellare ricchezza e povertà sotto un’unica volta di desolazione, sconvolgendo l’eterico corso dell’esistenza sospesa tra l’illusorio azzurro cielo marino che erutta venti ed eventi la sua legge, rendendo vuote parole la forza uomo, vittima e compartecipe del respiro d’una terra forse stanca dal dolore causato dagli esseri “senzienti”.
Marco Bazzato
Sofia (BG), 27.12.2004
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