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USA Nei prossimi mesi 27 esecuzioni capitali.

DI BIANCA CERRI

Nei prossimi sei mesi, gli Stati Uniti porteranno a termine ventisette esecuzioni, dieci delle quali in Texas, dove la pena di morte fa ormai parte del folklore locale. L’eliminazione fisica di un condannato, a parere delle autorità, dovrebbe servire a dimostrare l’efficacia deterrente della pena capitale rispetto alla carcerazione di lunga durata, ma c’è il rischio che dimostri invece tutta la debolezza di una società capace dì garantirsi la convivenza civile solo valorizzando la funzione moralizzatrice delle esecuzioni.
Nel 1972, la Corte Suprema degli Stati Uniti dichiarò incostituzionale la pena capitale in quanto applicata in modo arbitrario e capriccioso, stabilendo di fatto una moratoria. Le esecuzioni ripresero quattro anni dopo e 38 stati adeguarono i codici penali alle condizioni indicate nella sentenza del 2 luglio 1976 che restituiva al boia l’antico status. Il primo giustiziato della nuova era fu Gary Gilmore, finito davanti al plotone di esecuzione nello Utah.I produttori di Hollywood si gettarono come falchi affamati su parenti ed amici di Gilmore e, sventolando sotto i loro occhi mazzetti di dollari, riuscirono ad assicurarsi i diritti su una vita sciatta e triste per farne un film. Molti anni dopo, il governo Usa non si è ancora con formato alle leggi internazionali, che prevedono la tutela dei diritti umani e le esecuzioni rischiano di apparire come un’inaccettabile anomalia agli occhi delle nazioni che hanno da tempo eliminato la pena capitale dai codici giuridici.
 

In vista del trentesimo anniversario della sentenza con cui la Corte Suprema decise la costituzionalità della pena di morte, che cadrà il prossimo 2 luglio, è probabile che il dibattito torni ad accendersi. I sondaggi rivelano che la maggior parte degli americani appoggia le leggi capitali ma i risultati possono variare molto a seconda della maggiore o minore pericolosità del momento e del modo in cui vengono poste le domande.
 

 E davanti al permanere di un fenomeno come la pena di morte in un Paese considerato la patria della democrazia, è lecito chiedersi se dietro alle giustificazioni ufficiali non si nascondano motivi meno razionali.

 
 Nel contesto statunitense, dove sono tuttora presenti discriminazioni razziali e di classe, la pena capitale ha sempre avuto una sua logica particolare. Lo prova il fatto che l’82% dei neri accusati di aver ucciso un bianco è stata condannata a morte, mentre solo il 2% dei bianchi ha avuto la stessa punizione. Le esecuzioni sono divenute ormai un rimedio veloce per liberarsi di quella che Reagan definì dinamite sociale, legata indissolubilmente alla povertà ed alla negritudine, priva di garanzie giudiziarie, comprese quelle norme dette Ecosoc, proposte dalle Nazioni Unite agli Stati che utilizzano ancora il boia. Soprattutto in Texas, l’etnia dell’imputato e la classe di appartenenza risultano spesso determinanti nel momento in cui viene inflitta una sentenza. In senso più ampio, la pena di morte viene usata dagli amministratori locali allo scopo di creare nell’opinione pubblica l’illusione che il crimine è sotto controllo ma difficilmente i veri criminali muoiono nel braccio della morte come avviene a chi non possiede strumenti per far valere le proprie ragioni in tribunale.

 
 Dal 1924, anno in cui il Texas inaugurò la prima sedia elettrica giustiziando cinque afro americani in un solo giorno, le cose non sono molto cambiate. In uno stato che fonda il proprio benessere sulla schiavitù dei secoli passati e conserva i privilegi della classe dominante, incarcerare e condannare a morte un altissimo numero di appartenenti a minoranze e a categorie sociali svantaggiate è cosa quotidiana. Le giurie composte interamente da bianchi chiamate a giudicare un uomo o una donna di colore sono considerate una grande risorsa dai procuratori più anziani, che consigliano ai colleghi più giovani di non ammettere neri nelle giurie.

 
L’aumento del prezzo della benzina terrorizza la gente del Texas e gli americani in generale, perchè minaccia la loro libertà di movimento, ma il razzismo presente nei tribunali e le elezioni dei giudici giocate sulla pelle degli indigenti lasciano l’opinione pubblica perfettamente indifferente.

 
 I repubblicani, dominatori assoluti della scena politica, rifiutano ogni negoziato in materia di distorsioni giuridiche. Lo Stesso George Bush, detentore imbattuto del record di 158 mandati di morte firmati nei cinque anni del suo governatorato, trasformò le leggi penali del Texas in una riffa popolare con in palio la vita dei condannati. Lontano anni luce dalla realtà degli oppressi e delle classi disagiate, l’attuale presidente omise di verificare la colpevolezza di almeno sessanta imputati mandando a morire molte persone innocenti, come risulta dai carteggi tra lui ed il suo principale consulente, quell’Alberto Gonzales poi premiato con la carica di Ministro della Giustizia.

Il nuovo governatore. Rick Perry, forgiato in un’accademia militare, nemico giurato dei matrimoni tra gay, possiede invece una visione marziale della giustizia, priva di cedimenti nei confronti dei condannati. Eletto dopo una campagna pagata quasi per intero dalla Enron, Perry è membro a vita della American Legion e l’Associazione Boy Scouts, alla quale risulta ancora iscritto, gli ha conferito il grado di aquila. In qualità di governatore è alla ricerca di un compromesso che gli consenta di ben figurare sia presso gli abolizionisti con i sostenitori della pena capitale e spera di cavarsela con una quindicina di esecuzioni l’anno, giusto per dare l’impressione che il marciume viene regolarmente estirpato. Per ora, ha fatto ridipingere il locale braccio detta morte, inaugurato cinque anni fa, che cominciava a mostrare i segni del tempo. Data la peculiarità del posto, gli operai si sono limitati a dare due mani di vernice su quella già esistente in modo da sbrigare il lavoro nel più breve tempo possibile. Prendendo esempio da loro, Perry ha deciso: in attesa di leggi capitali perfette, si può sempre passare uno strato di vernice su quelle vecchie, tanto per impedire che si veda la ruggine.

Bianca Cerri
da La Rinascita della sinistra del 10 novembre 2005, pag. 13

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