DI GIANFRANCO LA GRASSA
Conflitti e strategie
Si tratta di un argomento talmente complesso e denso di dibattiti teorici da richiedere pure un notevole approfondimento storico.
Insomma, sarebbe necessario tenerci sopra un intero corso di lezioni e non soltanto una breve introduzione e per spunti assai sommari. Tanto più che non sono d’accordo sull’impostazione prevalentemente economicistica con cui viene solitamente discusso tale problema.
Sia chiaro che nelle due parti in cui verrà diviso questo scritto non affronterò il tema della crisi iniziata nel 2008; nemmeno mi fisserò su come essa viene interpretata dagli economisti odierni o anche dal Governo con le sue misure che stanno ottenendo risultati esattamente contrari alle intenzioni dichiarate (credo assai diverse da quelle perseguite politicamente, con la sola maschera della necessità economica).
Un simile argomento va trattato in altra sede e dopo aver preso visione delle pur sommarie indicazioni relative alla problematica generale della crisi. Altrimenti s’instaura una semplice “discussione da bar”. Comunque il lettore attento potrà più volte istituire un parallelo tra quanto qui scritto e le pappardelle fornite in questi ultimi quattro anni.
Mi rifarò ancora una volta ad un esempio da me utilizzato più volte per analogia perché particolarmente congruo nella sua applicazione al tema della crisi, sempre pensata come semplicemente economica. Il terremoto, magari con annesso tsunami, è evento catastrofico che colpisce a fondo la vita degli uomini; ed è ancora imprevedibile, checché se ne dica a volte con somma insipienza. Tutti, evidentemente, fuggono disordinatamente nel momento cruciale, poi iniziano ad organizzarsi in previsione di eventuali nuove scosse e pensano infine alla ricostruzione.
Il sismologo sa tuttavia che il tremore di superficie, così disastroso, dipende da scontri tra strati del terreno che avvengono a grande profondità; più profondi sono tali urti e frizioni, maggiore è l’energia accumulata per anni e decenni (talvolta secoli) e più intenso e violento è il suo scaricarsi; tanto più ampia è inoltre la zona colpita dallo sconquasso. Non è escluso che in futuro i terremoti possano essere previsti con qualche significativa probabilità (così com’è accaduto per le previsioni meteorologiche per brevi periodi); a patto però che non ci si limiti a studiare grafici e tabelle statistiche che indicano soltanto la loro frequenza nel tempo, le zone maggiormente colpite, certi andamenti lineari di superficie, magari correlazioni più o meno credibili con altri fenomeni altrettanto superficiali, ecc. Tutte rilevazioni non inutili, sia chiaro, ma alle quali attribuire il significato di sintomi “fenomenici”, che devono spingere a guardare più in profondità, nelle viscere della terra.
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aprile 2014