DI G.P.
Ripensare Marx
Che cos’è la sinistra? Un lupanare con troppi lenoni dove ci si fa la guerra per ragioni nient’affatto nobili e che, di sicuro, nulla hanno a che vedere con la tanto declamata questione morale. Veltroni è ormai un vaso di coccio tra vasi di ferro, sbanda pericolosamente ad ogni refolo che annuncia la resa dei conti. La sua è una sorte già segnata: andrà presto in frantumi stritolato tra il bombardatore di professione D’Alema e il redivivo Rutelli.
La sinistra radicale, bordello in editio minor ma con tutti i difetti della partitocrazia italica (tessere false, congressi simili a guerre per la spartizione del bottino e lacrime di coccodrillo per i diseredati), addebita il suo disastro elettorale a Walter l’africano, reo di averle tolto l’osso parlamentare, dopo tanto servire la causa dei banchieri e degli industriali più decotti. In verità, di una cosa dobbiamo ringraziare l’ex sindaco di Roma, di aver fatto emergere, una volta per tutte, la vera pasta di cui sono fatti questi comunisti: toccategli l’argent e i posti a sedere in parlamento e diverranno come bestie feroci.
Tutti vorrebbero fare la festa a Walter-Vuoto-Pneumatico (sembra il nome di un pistolero ma è solo quello di un “pistola”) mentre lui resiste aggrappato a Di Pietro (nonostante qualche timida presa di distanza a causa dello stile agreste di costui che stride con lo spirito cosmopolita del primo), l’unico che gli fornisce un tema, l’antiberlusconismo, per serrare i ranghi in momento così critico. E’ giunta l’ora del redde rationem e Walter non se la caverà certo con gli anglicismi.
Credo che sul duo Veltroni-Di Pietro la definizione migliore l’abbia data, ancora una volta, l’indomito Cossiga: «Veltroni è un bravo ragazzo, la faccia ce l’ha. Sa parlare bene, perché non dice nulla: la mattina può essere di destra e la sera di sinistra. Mette tutto insieme, anche l’operaio con la più bieca Confindustria. Beh, anche se io sono un po’ terzomondista e certe cose non vorrei dirle, Veltroni farebbe meglio ad andarsene in Africa come aveva detto”…“Di Pietro, gli voglio bene… È un totale ignorante, un demagogo e un perfetto cretino”.
Come andrà a finire la guerra tra correnti nel Pd è presto detto, D’Alema riprenderà in mano le redini del partito perché lo vogliono i poteri forti, lo vogliono gli americani e lo auspica una maggioranza di governo che avrà bisogno di una sponda di dialogo con l’opposizione, in previsione di una crisi italiana (economica, politica, sociale) che sarà devastante e ingovernabile.
La normalizzazione del quadro politico dipende, in parte, dagli uomini “ragionevoli” che siedono da una parte e dall’altra degli schieramenti. Quando Berlusconi deciderà di ritirarsi dalla vita politica (prima lo fa, meglio è per lui) questi potranno trovare l’assetto migliore per servire i padroni di sempre (GF & ID e lorsignori d’oltreoceano). Chissà se nel frattempo l’Italia intera non avrà trovato il mondo di mandarli tutti a gambe all’aria.
Godetevi allora questa lucida analisi sullo stato di putrescenza della sinistra, scritta da un riformista che, per frequentazione annosa, conosce bene i suoi polli.
G.P.
Fonte: http://ripensaremarx.splinder.com/
Link: http://ripensaremarx.splinder.com/post/17831244/SINISTRA+CHE+BORDELLO%21+a+cura+
17.07.08
COSI’ IL PD E’ ANDATO IN FUMO
DI PEPPINO CALDAROLA
Il Giornale
Se vi piacciono i giochi di guerra, dal Risiko al Game-Boy dei ragazzini, venite con me e vi farò vedere gli eserciti in battaglia della sinistra. Se non vi piacciono, seguitemi nella Torre di Babele della sinistra, vi tradurrò i linguaggi e i gesti. Vi girerà la testa, ma tenetevi forte, vi porterò al centro del sisma in pochi minuti.
A sinistra nulla è come lo abbiamo conosciuto, nulla è rimasto integro, nella sinistra più radicale fino a quella più moderata. La nuova vittoria di Berlusconi ha fatto deflagrare un mondo che si era unito solo perché c’era lui. Il Vaffa di Grillo a piazza Navona, con il coro di Guzzanti, Travaglio e Di Pietro, ha dato il segnale del redde rationem. Come ogni mappa che si rispetti partiremo dal bordo più lontano per raggiungere il centro della pergamena.
L’area più di sinistra della sinistra si è divisa quando c’era Prodi. Lo scontro fra Francesco Caruso e Casarini, con tanto di torta in faccia, e le liti fra i No-Tav, dicono quanto lo spirito di scissione sia penetrato anche là dove non è mai arrivato il pensiero. Poco più in là, la Sinistra Arcobaleno è tutto un fumare di macerie. C’è Oliviero Diliberto che vuole ricostruire il comunismo e ha sentito l’impellente bisogno di farlo partecipando alla manifestazione di Di Pietro. Il radicalismo di Oliviero non è bastato a Marco Rizzo, il pelato onnipresente in tv, che vorrebbe un partito più comunista di quanto si sia mai dato vedere. Ma Grillo è intervenuto anche su questa molecola separando la senatrice Palermi da Oliviero e da Marco. Così da un partito mignon, che intanto piange la fuga dello storico Tranfaglia, nasceranno una serie di sette clandestinissime.
Rifondazione ha preso dal voto il colpo storico. Fuori dal Parlamento i rifondaroli scoprono che non possono più stare assieme. L’ex ministro Ferrero, rigido valdese, non vuole avere nulla a che fare con Bertinotti che intanto incorona Nichi Vendola per salvare se stesso e l’ex segretario Franco Giordano. I congressi di Rifondazione si svolgono fra risse, contumelie e annullamenti. Forse si finirà in tribunale, sicuramente da una Rifondazione sola, fra qualche giorno, ne avremo almeno due. La débâcle del micro-partito di Mussi ha partorito una nuova leadership, Claudio Fava, deputato europeo, sulla carta più vicino a Veltroni, ma l’impatto con la piazza di Beppe Grillo sospinge anche questo raggruppamento verso l’annichilimento totale. I Verdi si sforzano di far dimenticare Pecoraro Scanio e la «monnezza» napoletana. Anche qui ci si spacca come una mela con un gruppo più disinvolto capeggiato da Paolo Cento e i verdi-verdi di Grazia Francescato.
Un po’ più a destra troviamo i socialisti del nuovo Ps, che dimenticato nell’anticamera di una palestra Enrico Boselli, cercano la strada più facile per entrare in quel Pd veltroniano da cui molti scappano. Sul fronte opposto c’è la galassia dipietrista, l’unica destra che è riuscita a sequestrare la sinistra dopo il fascismo. Di Pietro è un mondo a sé. Attorno a lui si sono aggregati quello che restava dei vecchi girotondi, i ds dissidenti, i giornali che vivono e prosperano sulla guerra civile italiana, da Repubblica all’Unità. Berlusconi ha dato da vivere anche a loro, ai loro libri e dvd. Sembrava un mondo compatto in grado di partire all’assalto della sinistra riformista, invece il Risiko nostrano ha sfrantumato anche questa fragile aggregazione. Da un lato Travaglio, Di Pietro, la Guzzanti, dall’altra il fondatore Nanni Moretti, in compagnia di due girotondini pentiti, Furio Colombo ed Ezio Mauro.
Quest’ultimo nome segnala, nella guerra civile generalizzata, una specifica battaglia che si combatte nel giornalismo di sinistra. La rutelliana Europa, diretta da Stefano Menichini, si contrappone all’Unità di Antonio Padellaro in procinto di lasciare la direzione all’ex inviata di Repubblica Concita De Gregorio. Europa attacca l’Unità che risponde invelenita, mentre Ezio Mauro chiede a Gad Lerner e Edmondo Berselli di staccare il giornale del principe Caracciolo e di De Benedetti da un mondo girotondino che il direttore di Repubblica aveva convocato in piazza irritando i lettori riformisti.
Al centro della mappa c’è l’isola del Tesoro, cioè il Pd, con il suo 32% di voti che i duellanti che combattono in periferia vorrebbero conquistare e che gli indigeni si preparano a devastare con la più cruenta guerra civile. Nel Pd ho contato, come ha riferito Paola Setti in un divertente articolo pubblicato dal Giornale, almeno 17 correnti. La fusione fredda fra due partiti, Ds e Margherita, ha prodotto quasi venti partitini l’uno all’assalto dell’altro. Non è necessario elencare tutti gli eserciti in lotta né i nomi dei signori della guerra. Al centro della disputa c’è la leadership di Veltroni. Il segretario del Pd è forse il primo leader italiano che, nel giro di dieci mesi, ha rovesciato completamente la propria linea politica. Era per la fine dell’antiberlusconismo e ha ripreso la lotta senza quartiere al Cavaliere, era per l’alleanza con Di Pietro e ora la revoca, era contro l’assemblaggio con i partiti minori e fa accattonaggio con Vendola, Nencini e Claudio Fava, per tacere di Casini. Era per il sistema elettorale spagnolo e accetterà quello tedesco. Questo tipo di guerra esalta la figura di Massimo D’Alema che con la sua ReD (Riformisti e Democratici) ha creato un partito nel partito esattamente come ha fatto Rutelli con la sua associazione Glocus. La posta in gioco è la guida del Pd. La domanda vera è se il Pd esisterà dopo le elezioni europee.
Le Grandi Guerre finiscono dopo decenni con accordi di ferro. Accadrà lo stesso alla guerra civile nella sinistra? Può darsi che Veltroni ce la faccia, può darsi che D’Alema riprenda il potere, può accadere che Rutelli se ne vada con Casini, ci sarà un leader che darà una patria comune a tutti i cespugli della sinistra radicale. Sembra di essere di fronte alla sinistra francese prima di Mitterrand, tutti contro tutti. Ma c’è un Mitterrand italiano? Se vi viene un nome fatemelo sapere. Al momento, dopo la guerra c’è solo la guerra. La vostra guida si arrende di fronte al campo di battaglia devastato.
Peppino Caldarola
Fonte: www.ilgiornale.it
Link: http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=275399
12.07.08