SILVIO, IL CARISMA E L’ITALIA

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DI MASSIMO FINI

Che l’Italia si sia divisa quasi perfettamente in due alle elezioni non dovrebbe essere un dramma e nemmeno un problema dal momento che una delle parti contendenti ha conquistato, sia pure in modo alquanto rocambolesco, la maggioranza sia alla Camera che al Senato. In democrazia, com’è noto, basta un solo voto in più per essere pienamente legittimati a governare.
Invece nel nostro Paese la divisione dell’elettorato in due parti uguali, come una mela spaccata a metà, è effettivamente un dramma.Perché di fronte si trovano schieramenti profondamente
ostili, sin quasi al limite della guerra civile. Che è un paradosso, dato che sul piano sostanziale non ci sono gli
estremi per un’ostilità così feroce. Non siamo nel 1948
quando si trattava di scegliere se il nostro Paese doveva restare nell’area del cosiddetto ‘mondo libero’ o
nel sistema sovietico. Il che faceva oggettivamente, pur con tutte le critiche che si possono fare alla ‘democrazia reale’,
una differenza decisiva. Ma non siamo nemmeno negli
anni Sessanta o Settanta quando esistevano ancora classi sociali assai marcate con interessi molto diversi per le quali
non era per niente indifferente che a governare fosse una forza politica piuttosto che un’altra. Ma oggi, l’Italia, (a parte le punte in alto e in basso) è formata da un
vastissimo e indifferenziato ceto medio i cui interessi,
dal punto di vista economico, sono largamente coincidenti.

Così come, al di là delle apparenze e di qualche
dettaglio, sono largamente coincidenti le visioni economiche
dei due schieramenti di centrodestra e di centrosinistra:
entrambi a favore del libero mercato (a parte per il centrosinistra, la componente, tutto sommato marginale, bertinottiana), entrambi convinti delle ineluttabil ità della globalizzazione e quindi che, in questa mondializzazione dell’economia, un Paese si salva solo se è in grado di ‘competere’, con tutti gli inevitabili sacrifici che, comunque
mascherati, ciò comporta per la popolazione. E allora perché quest’odio irriducibile? Questo fare della vittoria alle elezioni una questione di vita o di morte? Questo grottesco evocare, com’è stato fatto da entrambe le parti, il
bagno di sangue che seguì la caduta del fascismo? La
questione, è inutile negarlo, ha un nome e si chiama Silvio
Berlusconi. Da quando è entrato in politica il Cavaliere
ha spaccato in due il Paese. Riportando all’onor
del mondo un anticomunismo viscerale che, dopo il crollo dell’Urss non aveva più alcuna ragion d’essere, almeno da noi (come non l’aveva, e da molto prima
l’antifascismo militante) e bollando come ‘comunisti’
praticamente tutti coloro che non condividono la sua
visione del mondo (nemmeno a Indro Montanelli, nonostante
settant’anni di anticomunismo, fu risparmiata questa sorte).

Dall’altra parte i suoi avversari di sinistra lo hanno
demonizzato fin da subito (“il Cavaliere Nero”), prima che emergessero alcune disinvolte operazioni che
Berlusconi aveva compiuto da imprenditore e che legittimano qualche perplessità sul personaggio. Ma al di là
di questo è lo stesso carisma personale di Berlusconi a
spaccare profondamente il Paese, perché i suoi fan glielo
riconoscono in modo totalmente acritico come i
suoi oppositori glielo negano
in maniera altrettanto acritica.

Il che dimostra che il carisma, buono o cattivo che sia, non va bene per un sistema democratico. La democrazia organizza appositamente meccanismi di selezione che portino al governo persone anche capaci, ma prive di particolari doti carismatiche. Perché il carisma, come insegna Max Weber, è la forma del potere dittatoria le. Calato in un sistema democratico provoca solo cont! Rapposizioni violente del tutto immotivate, perché centrate
non su programmi o ideali, ma su una persona, che
sono quelle che stiamo vivendo ormai da più di dieci
anni. L’uomo carismatico può essere utilizzato da una
democrazia soltanto in alcuni momenti eccezionali, come fecero gli inglesi con Churchill, durante il Secondo
conflitto mondiale, liquidandolo subito dopo nonostante
– e forse proprio – fosse aureolato dalla vittoria.

In regime di normalità, il politico carismatico è solo un elemento di grave e pericoloso disturbo. Come gli
inglesi, che la democrazia l’hanno inventata, sapevano benissimo. E come l’esperienza berlusconiana in Italia, al di là dei pregi e dei difetti , conferma.

Massimo Fini
Fonte: www.linea.it
19.04.06
Segnalato da www.ariannaeditrice.it

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