SIAMO ORMAI AL DICIANNOVESIMO ANNO DI GUERRA MONDIALE

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DI ALESSANDRO VISALLI

tempofertile.blogspot.it

Siamo ormai al diciannovesimo anno di guerra mondiale. Come ricorderemo la dichiarazione di inizio, dopo numerose scaramucce e scontri preparatori, data 1 gennaio 1995, quando l’Uruguay Round, iniziato nel 1986, si concluse con l’inaudita decisione di abolire le barriere allo scambio dei beni, come dei servizi e delle proprietà intellettuali.

Da allora il potente WTO ha demolito sistematicamente ogni barriera alzata nei secoli a protezione delle vite e dei beni dei popoli del mondo, mettendo in contatto senza filtri e protezioni tradizioni e culture diverse e sistemi sociali altamente differenti.

Se si considera che nella definizione di “servizi” sono sostanzialmente ricompresi i capitali finanziari ed i servizi connessi, l’evento manifesta, a quasi venti anni di distanza, tutta la sua geometrica potenza. I servizi finanziari, rendono possibile ai capitali di alzarsi da terra, rifiutare il legame con le modalità di produzione socialmente determinate che li hanno generati e muoversi, vorticosamente, in cerca di maggiori “rendimenti” nel mondo. Cioè in cerca di un maggiore tasso di sfruttamento di condizioni locali. Tasso che indifferentemente si può manifestare attraverso un intervento immobiliare speculativo (da realizzare in fretta e cedere altrettanto rapidamente, attraverso la nuvola dei derivati), l’azione sul capitale di aziende produttive (rapidamente passate di mano tramite il loro pacchetto azionario) o movimenti su prodotti direttamente finanziari, assicurativi, fondati su commodities o qualsiasi altro simulacro di valore.

Questo mondo, da allora, brucia perché le valli sono state messe in contatto con le montagne, le colline con i laghi. Per il metro universale del denaro sono altrettanti ostacoli. Nello sforzo di creare dalla natura il piano uniforme omnidirezionale senza attrito di cui ha bisogno, il codice denaro –e i suoi provvisori possessori- sta da allora furiosamente cavalcando il mondo e travolgendo ogni ostacolo. La guerra mondiale cesserà quando il piano sarà livellato, quando i capitali alzati a Cupertino o a Londra troveranno lo stesso saggio di rendimento in ogni luogo. Questo sogno assurdo implica, però, un incubo per molti altri: saggio di rendimento è un altro e più gentile nome di saggio di sfruttamento. Vuol dire che il reddito ricavabile dal lavoro sarà diventato una media tra quello americano (o tedesco) e quello nigeriano (o cinese). Ovviamente a redditi simili, a parità di prestazione, corrispondono simili livelli di tenore di vita e di garanzie, simili livelli di sicurezza, simili di prestazioni assistenziali.

La guerra mondiale cesserà quando i nostri servizi saranno arrivati ad un livello intermedio tra il nostro attuale e quello cinese attuale. Ed il nostro reddito procapite della popolazione mediana, cioè dei lavoratori, sarà arrivato alla stessa media. La logica della concorrenza dice semplicemente questo. Qualche economista più onesto lo scrive anche (ad esempio Spence nelle ultime pagine del suo libro) ma tanto nessuno capisce.

Invece è semplice: la concorrenza con la Cina (ma anche, più vicino, con l’Albania dove stanno andando sempre più nostre imprese industriali) si vince quando i nostri salari saranno intermedi tra i 1.300 euro nostri ed i 400 cinesi (certo a parità anche della produttività e di altri fattori minori che si cerca comunque di uniformare). Quando un tenore di vita che non possiamo più permetterci, si sarà riadattato. Quando non “vivremo più al di sopra dei nostri mezzi”.
Come pensi l’aristocrazia finanziaria (ma in realtà si tratta di un sistema finanziario-industriale) di ottenere questo risultato brillante (per loro) senza che ci siano reazioni è abbastanza un mistero. Ma si sa, il denaro ha lo sguardo corto.
In questa guerra ventennale è da tempo in corso una “battaglia europea” particolarmente cruenta. Il percorso di creazione dell’intera costruzione europea si inserisce direttamente in questo quadro (che ha notevolmente contribuito a costruire) e non sarebbe assolutamente comprensibile altrimenti. L’Unione Europea, con la sua disfunzionale deformazione caratteristica (un omone con un braccio colossale ed un altro rachitico), non ha alcun senso se non si percepisce la dominazione di questo pacchetto di interessi e la trappola nel quale, intenzionalmente ma in modo poco avveduto, ha condotto tutte le forze sociali e politiche europee. Se non si comprende il disegno tecnicamente eversivo che lo sottende.

Fortunatamente i principali agenti provvedono continuamente a ricordarcelo. Soccorre dunque il generoso Mario Draghi, che con rituale comunicazione periodica (simile a quella del 14 luglio) ci chiede di rinunciare alla nostra sovranità per affidare ad un non meglio precisato “organo europeo” (presumibilmente emanazione del Consiglio) il controllo delle “riforme strutturali”, senza le quali non cresceremmo. Cosa sono le “riforme strutturali”? La formula ha un sapore mistico. Si tratta della Salvezza che deve essere abbracciata, senza la quale nessuna possibilità di grazia è data. Ma in effetti è ancora molto semplice: si tratta di continuare la guerra, rendere ancora più veloce la circolazione, eliminare ogni vecchio attrito, aumentale la flessibilità. Consentire ai titolari dei capitali di investirli rapidamente, senza tante storie, senza precauzioni, limiti, garanzie (ad esempio per il paesaggio, rispetto ad una speculazione immobiliare condotta da un fondo assicurativo inglese, o italiano; per l’ambiente, rispetto ad un investimento industriale; per il lavoro, nello stesso caso o nei servizi), responsabilità (a partire dalla esazione fiscale del valore prodotto nel paese). Secondo la visione del banchiere, infatti, i mitici “investitori” sono scoraggiati dal clima autorizzativo, dalla fatica che fanno per avere i permessi; poi dal mercato del lavoro, ancora troppo legato e troppo costoso; infine dalle leggi.

Io credo che tutti siano scoraggiati: dalla mancanza di opportunità, dalla carenza di domanda per i propri prodotti i servizi, dall’eccesso di indebitamento dei privati e delle imprese, dalla indisponibilità del sistema bancario –che ha avuto e continua ad avere immensi privilegi dallo stato- a fare la sua parte generando credito. Che il nostro paesaggio vada maggiormente tutelato, perché è un essenziale patrimonio di cui disponiamo; che l’ambiente vada protetto e soccorso, non sfruttato; che il lavoro vada qualificato e valorizzato, innalzato e potenziato sia in termini di salari sia di produttività (due cose che normalmente vanno insieme, come troppo spesso si dimentica); che la responsabilità di tutti coloro che producono ricchezza sia anche verso il paese che lo ha reso possibile. Gli “investitori” siamo tutti noi, e dovremmo trovare nella cura per i luoghi e per le culture che ci hanno fatto ciò che siamo la ragione per fare la nostra parte. A chi sposta una fabbrica dall’altra parte dell’Adriatico per lucrare qualche centinaio di euro di minore salario ai propri lavoratori, va con fermezza richiesto di avere pari condizioni di accesso. Se la fabbrica garantisce eguale protezione dell’ambiente, del paesaggio e delle condizioni di lavoro, i prodotti equamente possono essere in competizione con i nostri. Ma se il risultato della produzione è ottenuto sfruttando il territorio in misura maggiore, generando maggiori esternalità, sfruttando i lavoratori (in rapporto al diverso potere di acquisto) in modo selvaggio, o grazie a facilitazioni fiscali non sostenibili (e dunque competitive) dovrebbe essere diritto difendersi.

Se vogliamo parlare di riforme, iniziamo da queste: eliminazione di ogni dumping fiscale entro la UE e innalzamento di barriere compensative (possibili anche entro la camicia di forza delle regole del WTO se si vuole e si ha coraggio) verso i paesi che intenzionalmente fanno dumping verso di noi; riforma della tassazione delle grandi corporation (se la pressione fiscale complessiva deve calare, quella alle corporation deve iniziare); welfare europeo comune (almeno il livello di base); salario minimo europeo.

E parliamone nel Parlamento Europeo (e nei Parlamenti Nazionali), non certo nel Board della BCE, che, come ricorda anche Foa, in questi temi non ha da dire, non deve parlare, non può farlo.

Alessandro Visalli

Fonte: http://tempofertile.blogspot.it

Link: http://tempofertile.blogspot.it/2014/08/mario-draghi-e-la-battaglia-europea.html

9.08.2014

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