DI PIERO LA PORTA
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Nelle file avversarie alzano i calici alla notizia che Silvio Berlusconi correrà per Palazzo Chigi. Ovunque egli si candiderà farà perdere pacchi di voti al suo partito, ammesso che non cambi idea fra qualche ora.
Agli inizi degli anni ’90, Forza Italia stava per nascere. Una delegazione di fedelissimi, recatasi negli Sati Uniti, battezzò il neonato politico nelle acque del Potomac, ottenendo la tiepida benedizione della “piattaforma Rockfeller”, nella quale la famiglia Bush contava qualcosa. Rimase tuttavia intatta l’ostilità della costellazione Rothschild, con l’ammiraglia Goldman&Sachs, le quali avevano appena spennato l’Italia, fra il 1992 e il 1994, e alla quale erano e sono genuflessi i salotti buoni della finanza e vari soggetti della politica, dell’economia e dell’alta dirigenza dello stato, coi giornali e le tivvù a tenere bordone, anche le tivvù del Cavaliere.
Dopo venti anni, logorato e invecchiato, Berlusconi si ripresenta contro quella costellazione, nel frattempo rafforzatasi e arricchitasi ulteriormente a nostre spese, grazie al suo dissennato comportamento. Ne uscirà con le ossa rotte e con lui quanti lo seguiranno.
Egli si è dimostrato ampiamente un mediocre tattico, ma non è affatto uno stratega, dunque non è in grado di ribaltare la disperata situazione italiana e men che meno governarla. Questa intuizione è da tempo irradiata nell’elettorato. La sua ultima piroetta quindi non gli gioverà, tutt’altro. Disse che si ritirava dalla politica, alla vigilia dell’ultima sentenza di Milano, confidando che questo l’avrebbe annacquata. I quattro anni di condanna sono stati irrogati con un dispositivo già completo e motivato. Questo riduce i termini della difesa per l’appello da novanta a quindici giorni. Oltre alla difficoltà di preparare la documentazione – e questo ci tranquillizza così l’avvocato Ghedini non comparirà in televisione per un paio di settimane – s’allungano i tempi per la prescrizione.
Berlusconi afferma che il suo ritorno ha lo scopo di riformare la magistratura. Dopo quasi venti anni, tre quinti dei quali al governo, tale dichiarazione ha il peso politico delle canzoni di Mariano Apicella.
In questi giorni, mentre si commemora Enrico Mattei, Berlusconi si renderà conto di quanto distante sia la sua ondivaga parabola politica, da quella del fondatore dell’Eni?
Come scrissi in altre colonne, il momento cruciale per Berlusconi è stato il golpe contro Gheddafi. In quel momento doveva dimostrare la capacità di fronteggiare la crisi giocandosi tutto. Egli avrebbe dovuto porre il veto per l’intervento contro la Libia, sfasciando la Nato, caso mai inviando l’aeronautica a bombardare le truppe speciali francesi e inglesi, penetrate in Libia, piuttosto che concedere le nostre basi per far bombardare l’alleato Gheddafi, abbracciato e baciato in pubblico pochi mesi prima, durante la visita kermesse del libico a Roma.
Il solo fatto che Berlusconi presumesse di mettere al sicuro Gheddafi dalla tempesta in arrivo con un carosello di carabinieri in suo onore, la dice lunga sull’incapacità sua e del suo entourage di imbecilli di valutare presente, passato e futuro d’una situazione internazionale dura e sfociante verso una guerra mondiale.
Berlusconi ha dato dimostrazioni incontrovertibili di imbecillità politica, non solo in campo internazionale. Nessuno ha dimenticato le grottesche sortite dei suoi ministri della Difesa, in particolare quelle di Antonio Martino, la cui inadeguatezza al dicastero di via XX Settembre è rimasta leggendaria. E che dire di Renato Brunetta, cui affidò le sorti della Pubblica Amministrazione? Un errore che non avrebbe fatto neppure un piccolo imprenditore di provincia. Se un’azienda non funziona, un imprenditore manda a casa i dirigenti che evidentemente non applicano processi di gestione affidabili. Brunetta se l’è presa cogli impiegati, senza scalfire una quantità di dirigenti inetti e super pagati, ben più pagati dei politici.
Tanto Berlusconi, quanto Brunetta, come i vari ministri della giustizia succedutisi, non escluso l’ingegnere Roberto Castelli, invece di strologare di improbabili riforme mai attuate e di congiure di magistrati, avrebbero dovuto imporre processi di gestione certificati per gestire PA, tribunali e carceri. Se la magistratura deborda ciò è dovuto a una classe politica invereconda e incapace, ai cui canoni Berlusconi s’è rapidamente adeguato dopo le troppe promesse inziali, lasciando al loro posto, quando non favorendove la carriera, dirigenti più corrotti e dispendiosi dei politici.
Berlusconi s’è guardato bene quindi sia dal mantenere una rotta dignitosa sul piano internazionale sia dal trasformare la macchina dello Stato. Dopo venti anni di fallimenti ha dato la fiducia a Mario Monti; oggi minaccia puerilmente di ritirarla; domani la confermerà; dopodomani dirà altro ancora.
Volendo conservare la proprietà e non rischiare la vita, come toccò a Enrico Mattei, ha trescato invece di governare.
Se si ripresenta non governerà e perderà tutto.
Piero La Porta
Fonte: www.pierolaporta.it
Link: http://www.pierolaporta.it/si-candida-non-si-candida-non-importa-nulla-a-nessuno/
28.10.2012