DI MAURIZIO BLONDET
Jerry Fresia è stato ufficiale dell’intelligence dell’Us Air Force. “Negli anni ’70”, ha scritto alla rivista Counterpunch (1), “il mio lavoro era di controllare le informazioni raccolte nella penisola di Corea. Avevo la responsabilità di riferire di eventuali serie anomalie attraverso un telefono ‘sicuro’ alla Casa Bianca”.
A quei tempi, i satelliti-spia erano ancora in infanzia. Eppure nel suo giro, dice Fresia, circolava la seguente battuta: “possiamo identificare una palla da golf dovunque sul pianeta, anche se non possiamo dirne la marca”. Questo per quanto riguardava le immagini.
Quanto alle voci e suoni, già nel 1974, gli Usa avevano la capacità di “intercettare ogni conversazione telefonica”, e registrare conversazioni che avevano luogo in un appartamento e “anche più facilmente in un’auto” captando le vibrazioni dei vetri di finestre e finestrini.Trent’anni dopo, è “inconcepibile”, dice l’ex ufficiale, che gli americani non abbiano ascoltato le conversazioni telefoniche tra Calipari e Roma sull’auto che portava la Sgrena verso l’aeroporto.
Per chi conosce come funziona l’intelligence americano, è certo che, oltre ai satelliti-spia, l’area di Baghdad sia sorvegliata da aerei con e senza pilota 24 ore su 24, con relativa produzione istantanea di immagini del traffico di veicoli, specie attorno ad aree importanti come l’aeroporto di Baghdad. Sicuramente anche le telefonate cellulari e satellitari dell’area sono tutte “ascoltate”, tanto più che l’ambiente è ostile e i cellulari vengono a volte usati anche per innescare esplosivi.
E oggi come 30 anni fa, ogni “anomalia” deve essere stata riferita dagli osservatori ai loro comandi. Che i comandi Usa seguissero l’auto di Calipari, l’hanno detto loro a botta calda per giustificarsi: era seguita da tre satelliti, e l’auto non aveva la clearance, il permesso di passare. Tale notizia è poi scomparsa. Ma è chiaro che l’intercettazione delle voci nell’auto avrà reso noto ai comandi che non si trattava di terroristi, ma di italiani.
Per il vecchio ufficiale, il motivo per “dare una lezione” alla Sgrena e a Calipari c’era tutto. “Basta ricordare”, dice, “che nel secondo attacco americano alla città di Falluja, il primo bersaglio [di cui gli americani hanno preso possesso] è stato l’ospedale generale. Perché? Perché erano stati i reportages sull’enorme numero di perdite civili accolti in quell’ospedale a costringere gli Usa a porre termine al primo attacco. Il controllo delle informazioni da Falluja per quel che riguarda le conseguenze dell’attacco Usa sui civili, era diventato l’elemento critico dell’operazione militare”.
Ora, anche il ministero iracheno della Sanità (benché collaborazionista) ha ammesso che a Falluja sono stati usati gas nervini, iprite e altri gas sconosciuti, che hanno ucciso anche cani, gatti e uccelli; occupata la città, gli americani si sono affrettati a fare sparire le tracce delle loro bombe al fosforo e delle altre armi proibite usate scavando il terreno e lavando i muri. E la Sgrena aveva parlato con profughi di Falluja.
Maurizio Blondet
Fonte:www.effedieffe.com
11.03.05
Note
1)Jerry Fresia, “Targeting Giuliana”, Counterpunch, 10 marzo 2005.