DI EUGENIO ORSO
ariannaeditrice.it
Il paese maggiormente animato da orgoglio nazionale e attaccato alla bandiera dell’Europa occidentale e continentale, oltre ad entrare nel comando integrato della NATO in seguito ad una discussa decisione del gruppo di potere dell’attuale capo dell’Eliseo, Nicolas Sarkozy, che in tal modo ha tradito il vecchio spirito di indipendenza gollista, è oggi scosso da una serie di episodi che potrebbero preludere, come accade in Gran Bretagna, ad una nuova stagione di disordini con esiti rivoluzionari.
Quando i sistemi tradizionali e legali di lotta per la difesa del posto di lavoro e dei propri diritti non funzionano più o sembrano armi spuntate, si può e si deve ricorrere a nuove forme, se non si vuole accettare passivamente un destino tracciato da altri.
Questo è quanto sta accadendo in Francia – ed anche in Belgio, paese in cui sono presenti concessionarie FIAT[1] – con il moltiplicarsi dei “rapimenti” di esponenti del middle management, i quali operano nell’impunità più assoluta ristrutturando le unità produttive e licenziando per conto terzi.
Marzo e aprile sembrano essere stati mesi abbastanza caldi, al di là della meteorologia, con i dipendenti di almeno tre aziende, come Sony France, 3M e Caterpillar che hanno preso in ostaggio i manager, chiudendoli nei loro uffici.
A titolo d’esempio, gli operai hanno sequestrato, nello stabilimento di Grenoble della storica Cat produttrice di macchinari per costruzione, quattro dirigenti, a fronte di un piano industriale che prevedeva più di settecento licenziamenti, scomodando lo stesso Sarkozy e costringendolo a promettere il salvataggio dell’unità produttiva.
La libertà per i manager tenuti sotto sequestro in cambio del mantenimento del posto di lavoro, in fondo, è una richiesta minima, tenuto conto che se il sequestrato è, ad esempio, debole di cuore, viene subito rilasciato [è accaduto anche questo] e che il tasso di violenza, in tali sequestri, è molto basso se non inesistente.
Del resto, privare per qualche ora della libertà personale individui [definibili lacchè dei poteri forti?] che distruggono le altrui esistenze, in cambio di benefit e cospicui incentivi economici, sembra più un atto di giustizia che una violenza, un crimine.
Siamo già un passo oltre lo sciopero e le consuete, rituali manifestazioni di piazza.
I francesi, sulla base di recenti sondaggi, sembrano dividersi in due schieramenti di pari consistenza nell’approvare o rigettare queste forme di lotta.
Anche nel paese della recente rivolta della “recaille” nelle grandi banlieues, secondo una sprezzante definizione degli insorti data da Sarkozy, allora ministro degli interni, nella Francia dei giovani figli e nipoti d’immigrati che senza una guida e una regia affrontavano la polizia e bruciavano auto e mezzi pubblici, sospesi nel limbo dei senza identità[2] – non più margrebini e non ancora francesi, anche se cittadini della République fin dalla nascita – si avverte una sfiducia montante nella politica ufficiale, tanto più che l’opposizione sistemica socialista, in parlamento e nel paese, non pare poi tanto diversa, tanto più vitale e attiva del nostrano Pd attraversato dai brividi dello scioglimento.
Nel prossimo futuro, le tensioni generate dalle questioni sociali che attraversano l’Europa, in conseguenza della crisi, potrebbero sovrapporsi alle fiammate di rivolta dei marginali, delle così dette sotto-classi urbane in un cocktail micidiale, minando progressivamente la stabilità dei governi liberaldemocratici e delle istituzioni e mettendone a nudo, oltre che un’intrinseca fragilità, anche la sostanziale irriformabilità.
A questo rischio non potrà sfuggire la stessa République ed è anche per farvi fronte che Nicolas Sarkozy, Bernard Kouchner ed Hervé Morin hanno rinunciato all’orgogliosa indipendenza gollista che dal lontano 1966 nessuno, in Francia, aveva messo seriamente in discussione.
Dalle dichiarazioni pubbliche di Sarkozy si comprende che “diplomazia forte”, “alleati forti e sicuri” e il riferimento a “serrare le fila” assieme alle altre democrazie occidentali, nascondono non tanto o non soltanto l’intenzione di aderire ad una sorta di ideologia atlantista, ma quanto di creare le condizioni per poter affrontare, con speranza di successo e unitamente agli alleati liberaldemocratici, i possibili disordini interni futuri.
In questo clima sta avendo una certa diffusione, in Francia, un pamphlet che risale al 2007 dal titolo vocativo di L’insurrection qui vient, edito da La fabrique di Eric Hazan e attribuito al poco più che trentenne Julien Coupat.
Il probabile autore è di famiglia agiata, ha contribuito a fondare una rivista filosofica e una sorta di comunità rurale a Tarnac nel Corrèze, e nel momento in cui scrivo è in prigione, perché accusato assieme ai suoi compagni di attentati contro le linee TGV, l’alta velocità francese della SNCF[3].
Sous quelque angle qu’on le prenne, le présent est sans issue.
Sono le semplici parole, che non hanno bisogno di traduzione, con cui inizia il pamphlet incriminato e ben rivelano la situazione di disorientamento, di sconcerto, di assenza di prospettive e di assoluta mancanza di fiducia “nelle istituzioni” comune a molti giovani, non soltanto francesi.
Se il presente non offre scampo, non ha via d’uscita, Il futuro non ha più avvenire, sembra essere il motto di un epoca oscura, in cui non ci sarà una soluzione sociale alla presente situazione. Il vago aggregato chiamato «società» è senza consistenza e l’impasse del presente è dovunque percettibile.
La sphère de la représentation politique se clôt. Da destra a sinistra è il medesimo nulla.
Coloro che hanno trovato nella strada del crimine meno umiliazioni e più benefici non deporranno le armi e la prigione non riuscirà ad infondergli l’amore per la società.
Ce livre est signé d’un nom de collectif imaginaire, e chi lo ha redatto non ne è l’autore.
Chi lo ha redatto si è limitato a mettere un po’ d’ordine fra i luoghi comuni dell’epoca, in ciò che si mormora ai tavoli dei bar, dietro la porta chiusa delle camere da letto.
Chi lo ha redatto altro non ha fatto che fissare delle verità necessarie [ineludibili?], quelle la cui rimozione universale riempie gli ospedali psichiatrici e gli sguardi di pena, di dolore e di afflizione.
Ho cercato, sia pure in modo libero e impreciso – spero non troppo rozzo – di tradurre alcune frasi che giudico importanti e rivelatrici nell’avvio di questo scritto e credo che le accuse di linguaggio che ricorderebbe quello delle Brigate Rosse, siano quanto meno superficiali e infondate, se non frutto di cattiva coscienza.
Ben poco a che vedere con i comunicati delle BR degli anni settanta e ottanta, diversi i riferimenti e il contesto storico e sociale, non comparabili gli esiti sperati, percepibili il disincanto e un certo goût du néant nel testo.
Il pamphlet prosegue suddiviso in cercle [cerchi], sette per la precisione, in cui chi lo ha redatto ci presenta una sorta di filosofia, una visione del mondo diversa rispetto a quella che il potere oscuro dell’epoca diffonde.
Il divertimento come bisogno vitale dell’uomo e la rivalorizzazione degli aspetti non economici dell’esistenza [« Moins de biens, plus de liens! »] ne sono la prova.
Non è l’economia che è in crisi, in quanto l’economia è la crisi.
L’ultima parte dello scritto, con En route!, Se trouver, S’organiser, e il gran finale di Insurrection, costituisce il corpo propriamente “insurrezionale” e incriminato della breve opera, benché, in Être en armes [parte di Insurrection], pur mostrando di preferire i profeti armati a quelli disarmati, pur non credendo nelle insurrezioni pacifiche e giudicando le armi necessarie, l’autore chiarisce che è necessario far di tutto per renderne l’uso superfluo.
Perché questo pamphlet mette a disagio il potere francese e il suo presunto autore è in carcere – seppure per la poco chiara vicenda degli attentati alle linee ferroviarie – e gli sono stati negati anche gli arresti domiciliari?
I tempi stanno diventando maturi e la storia si è rimessa definitivamente in marcia?
Eugenio Orsi
Fonte: http://anchesetuttinoino.splinder.com
Link: http://anchesetuttinoino.splinder.com/post/20340116/SEGNALI+DELLA+NUOVA+LOTTA+DI+C
17.04.2009
NOTE
[1] Poco più di una ventina di lavoratori FIAT della concessionaria di Chaussée de Louvain, che è la maggiore in Belgio, il 9 di aprile del 2009 hanno preso in ostaggio per cinque ore tre dirigenti del gruppo, fra i quali un italiano, durante una trattativa sindacale per la chiusura del reparto riparazioni della officina di Bruxelles-Meziers. Pare evidente che questo metodo di lotta sta incontrando adesioni anche fuori dei confini francesi.
[2] La componente islamica dell’insurrezione non consiste in questo caso in una adesione ad alcuna corrente islamista. In Gran Bretagna la relativa integrazione sociale del mondo islamico ha reso possibile una protesta terrorista, infine una protesta di minoranza. In Francia invece è nato un fatto nuovo, la protesta di maggioranza che assume della linea islamista solo la totale rottura con l’Occidente. [Gianni Baget Bozzo, Il Giornale.it, giovedì 10 novembre 2005, www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=41862]
[3] Una breve nota biografica su Julien Coupat tratta da Wikipedia: né le 4 juin 1974 à Bordeaux, est un des fondateurs en 1999 de l’éphémère revue philosophique française Tiqqun. Depuis le 15 novembre 2008, il est suspecté d’avoir formé une « cellule invisible » à laquelle est imputé le sabotage d’une caténaire de ligne TGV, action qui a été revendiquée par un groupe allemand le 9 novembre 2008.