SECONDO UN VECCHIO RACCONTO AFRICANO,…

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DI FRANCESCO GESUALDI

…, il potere è gestito da tre uomini. Per primo viene quello con la corona che definisce le regole. Poi viene quello col fucile che fa rispettare le regole definite dall’uomo con la corona. Infine viene l’uomo con i soldi che può comprare sia l’uomo con la corona, sia l’uomo col fucile.

Nessuno sa in quale angolo dell’Africa sia vissuto il saggio che ha pronunciato questa metafora, ma di sicuro era un profeta perchè ha descritto in maniera mirabile la situazione odierna. Infatti il potere delle imprese non è mai stato tanto grande quanto oggi. Esse spadroneggiano non solo in ambito economico e produttivo, ma anche in quello politico e sociale condizionando qualsiasi tipo di scelta commerciale, ambientale, culturale. Basti guardare come funzionano le cose all’interno dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Tutte le delegazioni dei paesi ricchi comprendono una schiera di consulenti nominati dalle multinazionali più forti. Poi non c’è da stupirsi se i trattati sul commercio sembrano usciti dallo studio legale dell’Associazione mondiale degli industriali, piuttosto che da una organizzazione intergovernativa. Ecco perchè bisogna tenere gli occhi sempre ben puntati sulle imprese.

Chi dice impresa dice mercato, un modello economico che usa il denaro come unico metro di misura del bene e del male, dell’efficienza e dell’inefficienza, dell’utile e dell’inutile. Sfortunatamente per noi, non tutto ciò che è conveniente ai fini del mercato lo è anche ai fini sociali e ambientali. Per questo le imprese sono spesso responsabili di gravi violazioni come lo sfruttamento del lavoro, la repressione sindacale, la disoccupazione, l’inquinamento, l’espulsione di intere popolazioni dai loro territori, le innovazioni tecnologiche rischiose per i consumatori e gli ecosistemi. Il tutto con la nostra complicità, perché siamo noi, attraverso i nostri acquisti, che consentiamo alle imprese di vivere e prosperare. Ecco quale tremenda responsabilità si nasconde dietro ai nostri consumi. Ma al tempo stesso il consumo può essere un’arma formidabile per costringere le imprese a comportamenti migliori, perché i consumatori hanno potere di vita o di morte su di loro.

Gli strumenti principali a disposizione dei consumatori, per condizionare le imprese, sono il consumo critico e il boicottaggio. Il primo consiste nel fare la spesa badando non solo alla qualità e al prezzo, ma anche alla storia dei prodotti e ai comportamenti più generali di chi li produce: la trasparenza, le politiche ambientali e del lavoro, il coinvolgimento con gli eserciti, il ricorso ai paradisi fiscali e alla corruzione. Lo scopo è di premiare i produttori che si comportano meglio e di punire gli altri.

Alla lunga le imprese capiscono quali sono i comportamenti sociali e ambientali più graditi ai consumatori e vi si adeguano per non perdere quote di mercato.

A differenza del consumo critico, che appartiene allo stile di vita, il boicottaggio è una forma di lotta organizzata, con un inizio e una fine. E’ la sospensione collettiva degli acquisti per costringere questa o quella impresa ad abbandonare comportamenti particolarmente negativi. Perciò il boicottaggio non ha uno scopo punitivo, ma rivendicativo. Punta ad ottenere un risultato, dopo di che l’offensiva si arresta. Esattamente come fanno i lavoratori che sospendono lo sciopero a contratto firmato. Proprio perchè sono organizzati per essere vinti, i boicottaggi non si possono improvvisare. Prima va analizzato il contesto per capire non solo se la gente è pronta a venirci dietro, ma anche come reagiranno vari altri soggetti. In effetti il boicottaggio è molto di più dello sciopero dei consumatori. E’ il tentativo di fare terra bruciata attorno all’impresa.

Come dice Ray Rogers, uno dei massimi esperti mondiali di strategie d’attacco alle imprese: «Bisogna avere chiaro che l’unico modo per fare cambiare idea a un’impresa è di farle subire un danno così grave da farle perdere la convenienza a comportarsi in maniera ingiusta. Dunque non ci si può limitare ad azioni di disturbo simbolico, ma bisogna organizzare azioni incisive contemporaneamente su tutti i fronti: quello delle vendite, della produzione, della finanza e della convivenza sociale». La parola d’ordine del boicottaggio é isolare l’impresa, farla sentire disapprovata e abbandonata da tutti: dai consumatori ai fornitori, dai grossisti alle banche, dalle forze politiche alle comunità religiose. Ecco perchè prima di lanciare la campagna contro Del Monte, noi del Centro Nuovo Modello di Sviluppo studiammo molto bene le sue relazioni commerciali e quando scoprimmo che uno dei suoi principali clienti era Coop, nota per la sua sensibilità sociale, facemmo pressione anche su quest’ultima. Non solo.

Poiché la campagna aveva l’obiettivo di migliorare le condizioni di lavoro nelle piantagioni del Kenya, stringemmo una forte alleanza col sindacato e altre associazioni locali per stringere Del Monte in una morsa. E la cosa funzionò. La campagna Del Monte è un caso da manuale anche per ciò che riguarda la reazione dell’impresa. All’inizio si mostrò arrogante e minacciosa. Poi tentò di farsi passare per convertita dando false assicurazioni. Ma alla fine, quando si accorse che aveva contro i consumatori, un cliente importante, le associazioni locali e perfino il governo kenyota, capitolò.

L’esperienza dimostra che il boicottaggio è un arma potente, ma la globalizzazione può metterla in crisi, perché di fronte ad imprese che operano a livello mondiale, anche la resistenza deve essere globalizzata. Il che non é semplice. Ma se sapremo rafforzare reti e alleanze a livello mondiale, la noncollaborazione potrà continuare a dare i suoi frutti.

Francesco Gesualdi
Coordinatore del Centro Nuovo Modello di Sviluppo
Fonte:www.liberazione.it
4.11.04 

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