DI VIVIANA RIBEZZO
Liberazione
E’ di qualche giorno fa la notizia, rimbalzata su quasi tutti i giornali e ripresa da molte televisioni, dell’apertura del testamento della miliardaria Leona Hemsley. La ricchissima proprietaria di una catena di alberghi a cinque stelle ha lasciato il suo molto ingente patrimonio a un cane.
Si parla di sei o sette miliardi di dollari, mica bruscolini. Una cifra pari al Prodotto Interno Lordo (Pil) della Bolivia.
Pare che la generosa signora abbia lasciato tale fortuna al suo Trouble, un cagnetto dall’aria isterica il cui grado di simpatia è pari a quello della sua padroncina, rasente lo zero. La cosa che fa sorridere è che non sia tanto la vergognosa fortuna della buonanima a fare scandalo, quanto la destinazione dei suoi soldi. Come se, lasciando l’identica cifra ai bimbi di strada brasiliani, avesse potuto emendare e magari santificare una vita spesa ad accumulare denaro. Evadendo tasse (evase, vantandosene, un milione di dollari, affermando che pagare le tasse è «roba da poveracci»), maltrattando dipendenti e parenti, non pagando i fornitori. Una signora che i giornali americani avevano soprannominato «la regina del male» per la scaltrezza con cui aveva portato avanti i suoi affari. Ebbene cosa scandalizza? Il fatto che così tanti soldi siano andati ad un cane? Comprensibile, ma se invece che al beneamato quadrupede Leona avesse lasciato quell’immensa fortuna al suo unico figlio (tranquilli, non ne aveva) probabilmente nessuno avrebbe avuto nulla da ridire… ma lei avrebbe forse dimostrato maggiore solidarietà verso il genere umano?Ora, quello che indispone, e parecchio, è che in simili circostanze i media facciano con tanta leggerezza l’equazione «eredità ad un cane uguale animalista defunta». Insomma, confondere il gesto di una stravagante e ricca sfondata signora americana, cui importava soltanto del proprio cagnolino, con il lavoro di un movimento che conta milioni di persone in tutto il mondo che pagano in prima persona l’impegno in favore di esseri sfortunati e maltrattati, è una cosa non solo ingiusta ma che denota profonda malafede.
La signora Hemsley in vita sua non ha mai sentito parlare di animalismo. Ostentava pellicce, non risulta fosse vegetariana. Il suo è soltanto il gesto estremo di un profondo disprezzo nei confronti della vita e degli altri, dei loro diritti e della loro dignità. Una vita i cui valori sono distanti dall’animalismo quanto può esserlo Donald Rumsfeld dal pacifismo militante.
Quello che fa arrabbiare è l’uso strumentale di queste notizie: gettare fango, o quanto meno ironia e sarcasmo, su una battaglia ancora incompresa. Una battaglia che poco ha a che fare con la carità, la pietà, i buoni sentimenti. Ha a che fare invece con la giustizia, la libertà e i diritti fondamentali.
E’ che parlare di diritti, giustizia e rispetto è già noioso quando si tratta di esseri umani, figuriamoci quando si parla di animali. Tanto vale quindi andar giù con il folklore o la derisione. Non è capitato lo stesso nei primi anni delle battaglie femministe? Non capita così anche per il Gay Pride?.
Diceva John Stuart Mill che ogni grande movimento di opinione deve attraversare tre fasi: il ridicolo, la discussione e l’accettazione. Così a volte gli animalisti si illudono che dopo tanto lavoro, tante iniziative, tante analisi filosofiche sia arrivata, finalmente, almeno la seconda fase. Poi il testamento di una ricca ed eccentrica signora – e un’agenzia di stampa – ci ricordano che la prima fase è tutt’altro che finita..
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Viviana Ribezzo.
Fonte: http://www.liberazione.it/.
17/07/2008