DI MASSIMO FILIPPI
liberazione.it
Lo sfruttamento delle bestie alla base della discriminazione di donne e poveri
Il filosofo Max Horkheimer descrive la società capitalista come un grattacielo dove ai piani alti vivono i ricchi e i potenti, in quelli intermedi la “gente comune” e, in quelli più bassi il sottoproletariato. A differenza, però, di molti anticapitalisti attuali, Horkheimer non si dimentica che il grattacielo ha anche una cantina, dove sono reclusi gli animali non umani, che, con la loro inaudita sofferenza, lo sostengono, ne costituiscono le “fondamenta organiche” di sudore e sangue.
La scoperta che il grattacielo possieda una cantina è per molti sorprendente perché generalmente l’anticapitalismo non considera la “questione animale”: esso accetta acriticamente l’idea secondo cui gli animali sono a nostra completa disposizione e pertanto si impegna ad analizzare i meccanismi di sfruttamento dei soli umani per individuare le modalità della loro (esclusiva) liberazione.
Anche gli animali, però, non sfuggono all’oppressione capitalista ed è allora ragionevole chiedersi se una tale critica “ristretta” del capitalsimo sia giustificabile o se addirittura la sua incapacità di ottenere cambiamenti sociali apprezzabili sia da imputarsi proprio alla profonda miopia che mostra nei confronti degli altri animali.
Non vi è dubbio che il capitalismo abbia a che fare con l’animalità soggiogata a partire dal suo stesso nome (da caput , capo di bestiame). Il capitalismo moderno, inoltre, nasce in Inghilterra con l’appropriazione e la recinzione (le cosiddette enclosures ) di terre comuni. Tale fenomeno stravolse completamente il modo di fare agricoltura con l’intensificazione dello sfruttamento dei lavoratori, del terreno e degli animali, tra cui le “pecore da lana”, su cui si costruiranno le fortune dell’industria manifatturiera britannica..
L’uomo, tuttavia, ha iniziato a “vedere” gli animali come risorsa economica già a partire dalla rivoluzione neolitica. Subito dopo l’ultima glaciazione, circa 10.000 anni fa, alcune popolazioni nomadi del Medio Oriente si organizzano progressivamente in gruppi stanziali, andando a costituire il nucleo di quello che saranno le città-stato prima e gli imperi sovranazionali poi.
La gestione della nuova complessità sociale, caratterizzata dalla specializzazione delle attività lavorative, comportò, tra l’altro, la nascita di classi improduttive (nobili, sacerdoti, funzionari, soldati, ecc) e, con essa, di una rigida gerarchia accompagnata dalla necessità di reperire il surplus di energia necessario a mantenere in vita un organismo talmente dissipativo. Questo, a sua volta, si tradusse nella messa a punto di un sofisticato sistema di regole materiali e simboliche volte a distanziare l’uomo dalla natura al fine di controllare e manipolare la stessa per renderla massimamente produttiva e il momento più importante di questa impresa di innalzamento dell’umano è stato l’addomesticamento degli animali. Gli animali addomesticati verranno così a costituire la prima forma di beni mobili, di capitale; da allora, saranno una sorta di proto-denaro, che a sua volta ha amplificato in un tragico feed-back positivo sia la loro che la nostra oppressione.
Se guardata da questa ottica, la storia della civiltà ci mostra che lo specismo (la sistematica violazione degli interessi degli animali a favore dei “nostri”) è il presupposto storico dei rapporti di dominio intraspecifici: senza lo sfruttamento materiale degli animali non sarebbe stato possibile creare quel differenziale di ricchezza sociale ed economica che sta alla base delle società discriminatorie e, senza la riduzione simbolica dell’animale, non sarebbe stato possibile formulare quei meccanismi ideologici di riduzione dell’altro (la donna, il povero, lo straniero) a “mera natura”, a “quasi animale”, meccanismi che ne rendono possibile, nel migliore dei casi, l’emarginazione e, nel peggiore, l’eliminazione fisica.
Horkheimer aveva ragione e quegli anticapitalisti che sorridono con superiorità di fronte alle istanze del movimento animalista, di fatto, seppur inconsapevolmente, non ambiscono ad altro che ad “abbellire” qualche piano del mostruoso grattacielo in cui abitiamo, senza mai metterne in dubbio la sopravvivenza.
I più illuminati cultori del mercato, con tipica espressione specista, pensano che sia necessario controllare gli “spiriti animali” del capitalismo, ossia le sue componenti irrazionali. Gli anticapitalisti dovrebbero forse cominciare a chiedersi come liberare dal controllo i corpi degli animali che ogni giorno vengono razionalmente e materialmente smembrati dalla macchina capitalista.
Massimo Filippi
Fonte: www.liberazione.it
3.12.2009
Massimo Filippi è vegano e socio fondatore di “Oltre la specie”, associazione che promuove un’etica antispecista ed egualitaria volta al riconoscimento ed alla difesa dei diritti di tutti gli animali (umani e non). Ha curato l’edizione italiana dei seguenti libri: “Un’eterna Treblinka. Il massacro degli animali e l’Olocausto” di Charles Patterson (Editori Riuniti, 2003), “A muso duro. Da attore ad attivista per i diritti animali” di Chris DeRose (Edizioni Cosmopolis, 2003) e (in collaborazione con Alessandra Galbiati) “Gabbie vuote. La sfida dei diritti animali” di Tom Regan (Edizioni Sonda, 2005). E’ autore di diversi saggi sui diritti animali da una porspettiva filosofica e politica, pubblicati principalmente sui siti di “Oltre la Specie” (www.oltrelaspecie.org) e di “Rinascita Animalista” (http://digilander.libero.it/rinascitaanimalista/).