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DI RITA PENNAROLA
La Voce della Campania

Dopo l’incarico a sorpresa affidato dal governo Prodi alla discussa big della sicurezza privata Aegis per vegliare sui civili italiani rimasti in Iraq, siamo andati a cercare l’intreccio internazionale di sigle ammantate dalla parola Pace che formano ed arruolano mercenari, fornendo ai grandi contractors manodopera superpagata e, soprattutto, svincolata da qualsiasi regola militare o etica.

Faranno un contract e lo chiameranno pace. Piace ammantarsi della bandiera arcobaleno, ai colossi delle milizie private nel mondo: macchine da guerra dotate di eserciti con uomini armati fino ai denti, ma sempre più spesso riunite in sigle associative che lasciano sapientemente trasparire “fini umanitari”. La Aegis Defense Services, l’agenzia privata scelta dal governo Prodi per proteggere i civili italiani rimasti in Iraq con un appalto da 3 milioni e mezzo di euro, aveva provato per esempio ad entrare fra i membri – o almeno tra i friends – della IPOA, International Peace Operations Association, che si proclama «non-governmental trade and lobbying association committed for the “Peace and Stability Industry”, more commonly referred to as private military companies», vale a dire «associazione non governativa di commercio e lobbing impegnata per l’ “Industria della pace e della stabilità”, più comunemente riferita alle compagnie militari private.Ma la Aegis non l’hanno voluta nemmeno loro, le big dei mercenari di professione aderenti all’Ipoa. La richiesta presentata dallo spregiudicato Timothy Spicer, patron della britannica Aegis, è rimasta a lungo in bilico. Colpa, forse, dei rocamboleschi trascorsi della società, più volte risorta dalle sue ceneri: la storia comincia negli anni dell’apharteid, quando proprio i sudafricani furono pionieri nel presentare l’attività mercenaria come “affare privato legale”. «Alla fine degli anni ‘80 – raccontano i giornalisti Andy Clarno e Salim Vallysi, membri della Coalizione Contro la Guerra, su Rebellion – si creó l’Executive Outcomes, che nel decennio successivo diresse le operazioni di controinsurrezione attraverso l’Africa in cambio di concessioni minerarie e petrolifere». Occhio: «Alla fine degli anni ‘90 EO si trasformò in Sandline International, che più tardi chiuse e riapparve come Aegis Defense». Proprio Aegis, la società premiata dal governo Bush con un contratto da 300 milioni di dollari per proteggere la Zona Verde al centro di Baghdad e per coordinare le attività di tutte le imprese private di sicurezza che operano in Iraq. Ed oggi prescelta da Romano Prodi e Massimo D’Alema.

Anche il passato del veterano delle Falklands Timothy Spicer non è proprio – per dirla alla Bertinotti – un pranzo di gala. A parte le notizie riportate dall’Unità sulle accuse mosse al “condottiero” britannico da un deputato del Congresso americano (per aver guidato una sanguinaria repressione in Papua Nuova Guinea, per traffico d’armi con la Sierra Leone e addirittura per aver trucidato a mitragliate un giovane in Irlanda del Nord), ci sarebbe quel filmato apparso su internet che mostra mercenari inglesi della Aegis Defense Services mentre sparano in modo indiscriminato a civili iracheni. O magari quel servizio trasmesso dalla Cnn il 13 giugno 2006: anche qui un blindato spara all’impazzata sui passeggeri di una mercedes e di un taxi per le strade della capitale irachena. “Ordinaria” amministrazione. Il Times ha calcolato che sui 200 “incidenti” avvenuti in Iraq dal novembre 2004 ad oggi con il coinvolgimento di militari privati, in ben 24 casi si è trattato di sparatorie contro passanti. Non si hanno notizie di processi e non è stato reso noto il numero di morti e feriti lasciati sul campo.

Benedetta pace, cosa non si fa per te… E cosa non farebbe ancora oggi la candida Aegis per riprovare ad essere ammessa nell’olimpo di Ipoa, tanto più che il gruppo si autodefinisce «l’espressione più etica ed efficace dell’industria della pace e della stabilità». Il presidente Doug Brooks era stato il primo ad aprire uno spiraglio, dopo che Spicer si era detto «sorpreso per l’esclusione, dal momento che era stato lo stesso management Ipoa a richiedere la nostra iscrizione». Chiaro il punto di vista di Brooks, che rappresenta il settore della sicurezza militare privata negli incontri con il Dipartimento di Stato per gli appalti di servizi nel settore difesa: «ci sono momenti – dichiara – in cui il governo non invierà le proprie truppe, ma sarà disposto a firmare un assegno».

E così gli assegni – e i miliardi di dollari – volano. Sono attualmente oltre 25 mila, nel solo Iraq, i contractor al lavoro per servizi di sicurezza, con appalti che sfiorano complessivamente gli 800 milioni di dollari. Si tratta della più grande forza di occupazione, seconda solo all’esercito degli Stati Uniti. Il fatturato degli eserciti di body guard, che rispondono alla sola logica del profitto, sono balzati negli Usa dai 33 miliardi del 1990 ai circa 100 del 2006. Secondo alcune stime, raggiungeranno probabilmente gli oltre 200 miliardi nel 2010. «Durante la prima Guerra del Golfo – ricorda il giornalista Jose Gomez – uno ogni cento soldati era un contractor privato, ma durante le guerre nella ex Iugoslavia il rapporto divenne di 1 ogni 50 ed attualmente è di uno ogni 10».

IBSSA FOR EVER?

Se questi sono, per i maggiori contractors, i numeri del business in Iraq, non meno vertiginoso è il giro d’affari connesso al fitto sottobosco internazionale di sub-appaltatori, vale a dire le sigle che, da un capo all’altro del pianeta, “formano” la manodopera di cui si servono poi i big della security nei territori di guerra. Si tratta molto spesso di società o addirittura associazioni dedite al culto delle arti marziali, dentro le cui palestre si alleva quella generazione di bulli che sogna di fare fortuna all’estero, nei luoghi dei conflitti, dove la paga per un militare privato è circa tre volte quella di un ufficiale dell’esercito regolare. E poi hotels, donne, vitto in abbondanza ma, soprattutto, niente regole e niente processi in caso di “errore”. Un mito per giovani come Fabrizio Quattrocchi, una delle quattro guardie del corpo italiane rapite in territorio iracheno all’inizio dell’occupazione.

Ma che cosa fanno oggi i “maestri” che avevano seguito la “preparazione atletica” di Quattrocchi prima di quella sciagurata missione? Era stata proprio un’inchiesta della Voce, nel maggio 2004, a rivelare i collegamenti fra la società genovese Ibsa di Roberto Gobbi e Spartaco Bertoletti (da cui proveniva il giovane) e la quasi omonima IBSSA, una sorta di corporation della milizia privata in forte odor di massoneria, con rituali per l’iniziazione dei nuovi adepti, connessioni con Ordini deviati già finiti nel mirino della magistratura (come la OSJ, la cosidetta “Malta parallela”) e consistenti agganci fra gli apparati militari ufficiali di diversi paesi. Lo stesso Bertoletti era stato ad esempio, per un certo periodo, rappresentante ufficiale in Italia della IBSSA. Con quartier generale a Budapest e sede centrale in Israele, la corazzata vede ancora oggi saldamente inserito nel suo comitato esecutivo l’italiano Domenico Sammaruco, vicequestore a Taranto. Altri italiani compaiono poi fra i rappresentanti regionali: si tratta del pugliese Vito Simmi e di due napoletani: Massimo Curti Giardina e Domenico Ventola, entrambi attivi nel settore di Kung fu & dintorni.

Fra i membri associati della IBSSA (il cui scopo dichiarato, a partire dalle icone lampeggianti sul sito, è quello di formare body guard), ai primi posti figura il Parlamento Mondiale per la Sicurezza e la Pace, fondato a Palermo da una sorta di Platinette della security, “Sua Beatitudine” Vittorio Busà, ma popolato di strani personaggi, a loro volta schierati a 360 gradi sullo scacchiere internazionale. Fra gli altri partner della compagine ungherese figurano poi sigle come l’International Police Association, la Hungarian Police Academy, addirittura la locale Guardia Civile, senza contare la sedicente “Federazione dei priori autonomi del Cavalieri di Malta e, soprattutto, la Pro Deo University, su cui si erano appuntate più volte le attenzioni della magistratura italiana.

A capo di IBSSA siede da numerosi anni il “Lieutenant General, President, Prof.” George Popper, sessant’anni ad aprile e un medagliere lungo così. Fra le altre benemerenze, dichiara di aver frequentato l’università di scienze politiche e filosofiche a Budapest, di essersi diplomato nel 2000 presso l’ “Israeli College for Security and Investigations” e l’anno successivo alla stessa Pro Deo University, specializzandosi stavolta nel campo della diplomazia. Nè fa mistero, il cavalier Popper, della sua affiliazione a numerosi ordini, fra cui proprio quello di Saint John of Jerusalem, oggetto di indagine da parte della magistratura italiana. Dulcis in fundo, la carica di “capo ispettore di polizia internazionale” presso il solito Parlamento Mondiale di Palermo e la partecipazione d’ordinanza alla Hungarian Karate Federation.

Fra i membri honoris causa di IBSSA sparsi lungo i cinque continenti spicca la figura dell’italo-australiano Eugenio Roberto Caligiuri, ufficialmente console onorario della Guinea equatoriale in quel di Bucarest. Chi è Caligiuri? Nel suo sito personale, tanto per cominciare, spiccano ben in evidenza due link: uno riporta subito alla Cia, l’altro alla IBSSA . Di Caligiuri si è occupato il giornalista investigativo francese Arnaud Labrousse a proposito dei rapporti fra il “console” ed il discusso presidente del Gabon, Omar Bongo. Nella lunga e dettagliata inchiesta intitolata “Les amis siciliens d’Omar Bongo”, Labrousse riporta brani dedicati dal principale quotidiano gabonese, l’Union, ai festeggiamenti di gala organizzati lo scorso 16 agosto, quando il dittatore Bongo è stato insignito di un premio conferito dal Parlamento Mondiale per la Sicurezza e la Pace di Palermo, consegnatogli a Libreville dagli esponenti del Parlamento «Eugenio Caligiuri, Ciro di Costanzo e Massimiliano Alesi». Più avanti il giornalista sottolinea, non senza qualche stupore, che ai membri del Parlamento palermitano spettano «tutti i benefici dell’immunità diplomatica». Nè mancano, nella minuziosa ricostruzione di Labrousse, clamorose smentite alle rutilanti benemerenze autodichiarate da Busà sul sito del Parlamento: «Rettore Internazionale della Senior University (Canada – USA), Rettore Internazionale dell’American International University (USA – Suriname), nonché Presidente della Commissione Scientifica Europea dell’American International University» e attivo alla «Rutherford University». «Peccato – scrive il giornalista francese – che la Senior University e la American International siano delle università solo nel cyberspazio. La prima ha sovente cambiato nome negli ultimi anni. Quanto alla Rutherford, è risultata mancante di tutti gli accreditamenti ed è finita al centro di un’inchiesta federale per un giro di falsi diplomi». Niente di nuovo, sotto il cielo di Busà, che fin dagli anni settanta è stato inquisito (ma mai condannato, precisano i suoi avvocati) per truffe connesse alla vendita di false onorificenze e diplomi. Quella per onorificenze & titoli accademici è una mania condivisa anche da Spartaco Bertoletti & Company. Quest’ultimo dopo gli articoli della Voce – ma soprattutto in seguito all’inchiesta aperta dalla Procura di Genova sulla scomparsa di Fabrizio Quattrocchi – ha messo in liquidazione la vecchia Sport Promotion (sul cui sito si trovavano i riferimenti a Quattrocchi, alla IBSSA e al Parlamento Mondiale), ma non ha deposto le armi (marziali, s’intende). La nuova creatura tutta pugni e cinture nere si chiama Promotion & Pubblications, ha una grafica molto simile a quella del sito chiuso e si trova all’indirizzo www.publicationspromotion.it/home_ibssa.htm. Occhio alle “s”. La sas ligure di Bertoletti e di Roberto Gobbi che allena i futuri body guard si chiama Ibsa (con una sola “s”, proprio come la società genovese messa in liquidazione e per la quale era transitato Quattrocchi) ed è stata iscritta al registro imprese di Savona nel 2006. Il suo nome, comunque, continua a richiamare quello della corazzata internazionale IBSSA (con due “s”) di cui, come abbiamo visto, lo stesso Bertoletti è stato rappresentante per l’Italia.

ARRIVANO I CAVALIERI

E i titoli accademici? Eccoli qui, non mancano. Tutti coloro che si iscrivono presso la Promotion & Pubblications ai master di Wasi (World Alliance for Security & Investigation), «possono accedere come Postulanti Cavalieri all’Associazione dell’Aquila Romana, oggi chiamati a difendere gli ideali della Cavalleria, al fine di tenere in vita i principi immortali della Virtus Romanorum» (un po’ di latinorum non guasta), pagando appena 1.000 euro in più. E non è finita: sono aperte le iscrizioni anche alle «Guardie d’Onore dell’Imperatore, Gran Magistero dell’Ordine della Corona di Ferro S.A. il Principe di Chauvigny, Domenico Massimiliano Molini di Valibona, Conte dell’Impero». Qui si può scegliere: la donazione per diventare barone è di 2.000 euro. Chi se lo può permettere, ne paga 3.000 per essere conte. Coloro che si iscrivono invece ai “Corsi di Qualifica Tecnica e Professionale Hashita” ricevono in ogni caso, compreso nella quota, «un portafoglio con fregio» e perfino «un passaporto». Presidente nazionale del Wasi (la sigla risulta registrata a Voghera il 18 Ottobre 2004) è il «Cav. Giovanni Montesanti». 56 anni, nato a Lametia Terme ma residente a Voghera, Montesanti è anche amministratore della nuova sas Ibsa insieme a Bertoletti e a Roberto Gobbi.

DA MUSSOLINI A NAPOLEONE

Ma guardiamo più da vicino i due consessi nobiliari cui è possibile accedere attraverso i corsi organizzati da Bertoletti. «L’Ordine Civile e Militare dell’Aquila Romana – si legge nel sito di questa nostalgica organizzazione – mai soppresso, venne istituito con Decreto Legislativo N. 66 del 2 marzo 1944, dal Capo della Repubblica Sociale Italiana Benito Mussolini». Dopo la recente scomparsa dell’ultimo leader Romano Mussolini (il quale a sua volta aveva preso il posto del fratello Vittorio), l’Ordine è ora impegnato nella ricerca del successore, ma intanto informa gli aspiranti a titoli nobiliari che «i decorati hanno facoltà di fregiarsi delle insegne stabilite per il loro grado cavalleresco solo dopo aver ricevuto il decreto di concessione firmato dal Capo e Gran Cancelliere dell’Ordine». Ben più complesse le gerarchie delle Guardie d’Onore di Napoleone: un autentico esercito nobiliare con tanto di sovrani, fanteria e cavalieri, che dichiara mille affiliati nella sola Europa.

Cominciamo – noblesse oblige – da Sua Altezza Reale Domenico Massimiliano Molini, «Principe di Chauvigny, Conte di Valibona, Conte dell’Impero, Reggente Generale delle Guardie d’Onore dell’Imperatore, Comandante del Rgt. Storico “Dragoni Napoleone”, discendente da Nobiltà Imperiale e Membro di diritto del Gran Magistero dell’Ordine della Corona di Ferro». Cosa fa nella vita sua altezza? Alla Camera di Commercio risulta un Molini Massimiliano Domenico nato nel 1948 a Borgo Mozzano, in provincia di Lucca, socio di tal Cornacchione Guido nella Tousche sas, attiva in zona Sirmione per la gestione di istituti di bellezza e centri sportivi. Liquidata quella prosaica attività, Molini si è successivamente impegnato nella Ducato srl, messa su a Trento con Jacopo Manci Di Bernardo, 36 anni, figlio del Gran Maestro della Massoneria Giuliano Di Bernardo ed anche lui a pieno titolo nel palmares dei Cavalieri Napoleonici.

Scorrendo l’augusto parterre ci si imbatte – oltre che nello stesso Montesanti, socio di Gobbi e Bertoletti – in alcuni nomi significativi. Intanto quello del «N. H. Conte Gen. Amos Spiazzi di Corteregia – Generale della Riserva». E’ proprio lui, il neofascista arrestato nel 1974 per il golpe della “Rosa dei venti”, organizzato in ambienti militari di estrema destra, compresi Ordine Nuovo e i servizi segreti sia italiani che di alcuni paesi della Nato. Definito dal giudice Casson «un convinto e irriducibile cospiratore», Spiazzi fu condannato a 5 anni di reclusione. Nel 1984 venne assolto in appello, ma nel frattempo era arrivata una condanna in primo grado all’ergastolo per la strage della questura di Milano. Anche qui, assoluzione in appello e poi in Cassazione. Nel 2002 ha tenuto a battesimo i “Fasci del lavoro” in provincia di Mantova. Passiamo al «Cav. d’Onore Carlo Vannoni, Conte di Villanterio, Generale dell’Aviazione, Comandante Rgt. Storico “Dragoni Regina” (1° Ussari)», nonchè massone della Gran Loggia di Palazzo Vitelleschi.

E’ lui, Vannoni, a tenere alto il buon nome del nostro paese nell’ambito del gemellaggio sancito fra i Cavalieri di Napoleone e lo stato dell’Arkansas, negli Usa. C’è poco da sorridere: nel giugno dello scorso anno alle celebrazioni del sodalizio hanno partecipato anche esponenti delle istituzioni ufficiali. La kermesse, tenutasi ad Abano Terme, si è svolta infatti alla presenza del commissario straordinario del comune Abramo Barillari, del comandante dei Carabinieri Fabio De Rosa e del presidente del Consorzio Terme Euganee Enzo Baretella. Al completo anche la delegazione americana: fra gli altri, il vicegovernatore di Little Rock Floyd G. Villines ed il sindaco Patrick Henry Hays, ma anche in capo della polizia Danny E. Bradley e soprattutto Karen S. Vorhes, agente speciale Fbi. Per i “Napoleonici” ecco schierati i sei «Ambasciatori Onorari dell’Arkansas in Italia: Conte Massimiliano Molini, Uff. Comm. Dr. Leopoldo Rizzi (Veneto), Cav. Uff. Gr. Uff. Generale Carlo Vannoni (Toscana), Avv. Giovanni Cogoli (Lombardia), Conte Jacopo M. di Bernardo Manci (Trentino Alto Adige)».

Chiudiamo con un pizzico di napoletanità. Fra i nostalgici del Bonaparte figura infatti anche «S. G. don Antonio Virgili, Duca di Castelvenere, Docente all’Università di Napoli – Presidente del Collegio Probiviri – Comandante Rgt. Storico “1° Fanteria di Marina”». Promotore di un “Laboratorio di Geopolitica” all’Istituto Tecnico Commerciale Mario Pagano di Napoli, Virgili è autore di un testo dall’eloquente titolo: “La tradizione napoleonica”.

ENI, VIDI, VICI

Il decreto sul rifinanziamento delle missioni all’estero che assegna quasi 3 milioni e mezzo di euro alla Aegis Defence Services per proteggere la Usr (Unità di sostegno alla Ricostruzione) italiana a Nassiriya rivela la forte preoccupazione della Farnesina e soprattutto di Romano Prodi per i civili rimasti ad operare in Iraq dopo il ritiro del nostro contingente militare. Ma chi sono i destinatari di così imponenti misure di protezione decise dal governo Prodi? Se lo è chiesto il senatore dissidente espulso da Rifondazione Franco Turigliatto: «non si capisce perché ci siano ancora nostri tecnici nell’Iraq da cui ci siamo ritirati, mentre per attività civili di ricostruzione basterebbe sostenere il qualificato personale iracheno esistente. A meno che non salti fuori un interesse dell’Eni nella spartizione del bottino di guerra petrolifero». Fatto sta che il 9 marzo scorso la ong Un Ponte per… ha lanciato una “Campagna nazionale contro la partecipazione dell’Eni alla rapina del petrolio iracheno”. «Dietro le porte blindate della Green Zone – avverte l’organizzazione pacifista – si va consumando un’altra tragedia: il parlamento iracheno sta per approvare la nuova legge che regolamenterà il settore energetico e aprirà le porte ai cosiddetti “investimenti” delle grandi multinazionali del petrolio, tra cui l’italiana Eni». In pratica saranno introdotti i cosiddetti PSA (Production Sharing Agreements), «i quali consentiranno alle multinazionali enormi profitti a scapito dell’erario iracheno». Considerato che il 32 per cento delle azioni Eni sono detenute del ministero dell’ Economia e Finanze, la ong chiede con forza «che la maggiore compagnia energetica italiana non firmi accordi “immorali” approfittando dell’avventura militare costata la vita a centinaia di migliaia di civili innocenti». La petizione, inviata al Ministro dell’Economia e Finanze Tommaso Padoa Schioppa e al presidente dell’Eni Roberto Poli, ricorda come negoziati fra la corazzata energetica italiana e il governo iracheno erano stati siglati nel ‘97 dallo stesso Saddam Hussein in particolare per lo sfruttamento del giacimento di Nassiriya: proprio il luogo dove era dislocata la missione militare italiana. Più recentemente è stato l’amministratore delegato Eni Paolo Scaroni a confermare gli interessi della compagnia nelle zone dell’Iraq pacificato. Se entreranno in vigore le nuove norme, dallo sfruttamento del solo giacimento di Nassiriya l’Eni potrebbe lucrare fino a 6 miliardi di euro in più rispetto alle forme contrattuali utilizzate dall’Iraq prima della guerra.

Rita Pennarola
Fonte: http://www.lavocedellacampania.it
Link: http://www.lavocedellacampania.it/detteditoriale.asp?tipo=inchiesta1&id=60
Aprile 2007

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