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La Redazione

 

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SCHIAVIT E IMMIGRAZIONE

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A cura di Davide
Il 4 Aprile 2008
47 Views

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DI ANTONELLA RANDAZZO

Sin da piccoli, a scuola, impariamo che negli ultimi secoli la cultura occidentale si è evoluta a tal punto da creare sistemi democratici, in cui i popoli possono espandere le loro potenzialità. Impariamo che fenomeni come lo schiavismo o le repressioni nel sangue dei popoli sono vicende di epoche passate o casi rari.
Si ha un enorme progresso intellettuale quando si giunge a comprendere che tutto questo è falso. All’inizio può essere piuttosto shockante, in quanto proprio sul progresso culturale e sui valori umani avevamo fondato la nostra fiducia verso il mondo. Ma si trattava di illusioni, alimentate con lo scopo di far apparire le autorità occidentali quello che non sono e non sono mai state.

Oggi il concetto di “sovrano” è stato sostituito col più moderno concetto di “presidente eletto”, ma ieri come oggi esiste, più forte che mai, il potere di un ristretto gruppo, che indebita gli Stati, fomenta guerre e riduce i popoli in miseria. Persino la schiavitù, non soltanto non è mai scomparsa, ma negli ultimi decenni ha raggiunto livelli mai toccati prima.
Secondo le stime dell’organizzazione Anti-Slavery International, oggi ci sono nel mondo oltre 200 milioni di schiavi. Pino Arlacchi, nel suo libro dal titolo Schiavi. Il nuovo traffico di esseri umani, scrive:

“Le dimensioni dell’attuale schiavitù fanno impallidire le cifre del passato: secondo i calcoli molto accurati prodotti dagli studiosi statunitensi… sulla tratta degli esseri umani tra l’Africa e il Nuovo Mondo, le vittime di quel traffico non hanno superato i 12 milioni di persone nell’arco di quattro secoli”.(1) Oggi, dunque, esistono molti più schiavi di quanti ne esistessero nel periodo in cui la schiavitù era legalizzata. Gli schiavi del mondo contemporaneo non hanno catene ai piedi, ma vengono ridotti in totale asservimento grazie all’estrema povertà o a tecniche di manipolazione mentale sofisticate, che li inducono a ritenere di non aver altra scelta che quella di dover sottostare ai loro aguzzini.
La schiavitù nel mondo attuale può essere di due tipi: schiavitù praticata nel luogo in cui si la vittima è nata, oppure schiavizzazione in seguito all’emigrazione. La persona schiavizzata viene costretta a ritmi lavorativi interminabili, oppure a mercificare il proprio corpo. In Indonesia, in Birmania, ad Haiti e in molti altri paesi del Terzo Mondo, esistono molte persone schiavizzate attraverso il lavoro. Queste persone sostengono ritmi di lavoro terribili, e non hanno alcun diritto, nemmeno alla vita. Sono le cosiddette “catene di lavoro globali”, che negli ultimi decenni sono state impiantate dalle grandi corporation nei paesi del Terzo Mondo. In queste fabbriche vengono prodotti capi di abbigliamento, giocattoli, scarpe, borse, e molti altri oggetti che saranno venduti nel mondo ricco dalle marche più note (Nike, Adidas, Walt Disney, grandi firme della moda, ecc.). Questi luoghi infernali vengono tenuti nascosti. Il giornalista John Pilger raccontò di essersi trovato a visitare una di quelle fabbriche e di aver visto “le ragazze si piegavano di fronte alle macchine che mulinavano, sibilavano, fasciavano. Molte di loro avevano gli occhi gonfi e le braccia lacere. Non c’erano protezioni, e un grosso uomo sbraitava ordini. Quando tirai fuori una telecamera, venni buttato fuori”.(2)

Esiste una vasta organizzazione che si occupa delle persone schiavizzate dei paesi del Terzo Mondo. Si tratta di persone protette dal sistema, che anche quando vengono smascherate come responsabili di veri e propri eccidi, scontano pochi anni o vengono assolte per insufficienza di prove. Queste persone sono talvolta incaricate di organizzare i cosiddetti “viaggi della speranza”, con mezzi precari e con un alto rischio di morte per gli sventurati emigranti. Lo scopo di questi viaggi è di far uscire dal loro paese una certa quantità di persone, sapendo che alcune moriranno durante il viaggio, e altre saranno schiavizzate o mercificate nei luoghi dove giungeranno. La schiavizzazione sarà resa facile delle leggi che identificano queste persone come “clandestini”, privandole del riconoscimento dei loro diritti in quanto esseri umani.

Anche le autorità del nostro paese, essendo in sostanza i rappresentanti del gruppo egemone, si comportano in modo criminale verso gli immigrati, e hanno mostrato in diversi casi di non dare alcun valore alle loro vite. I comportamenti criminali delle autorità emergono soltanto in quei rari casi in cui ci sono testimoni, che portano alla luce l’evento criminale. Ad esempio, in seguito al naufragio della vecchia nave della marina inglese F-174, alcune persone riuscirono a far emergere l’eccidio, nonostante le autorità e i media cercassero di minimizzare i fatti o di negarli. Il viaggio era stato organizzato da Ahmed Sheik Turab, detto “mister Tony”, che aveva procurato dapprima la nave Iohan e poi, per sbarcare, aveva caricato 314 persone in una barca fatiscente costruita dalla marina inglese nel 1944. La nave si scontrò con la Iohan e affondò al largo di Portopalo di Capo Passero (provincia di Siracusa), la notte di natale del 1996.
Su quella nave accaddero cose agghiaccianti, come raccontarono i sopravvissuti al naufragio. Dei 314 immigrati, 283 morirono, e i sopravvissuti, per evitare che raccontassero i fatti, furono portati in Grecia e rinchiusi in una zona agricola del Peloponneso, controllati da una guardia armata. Uno di essi, Shahab Ahmad, riuscì ad aggredire la guardia e a scappare insieme agli altri. I naufraghi cercarono la polizia per raccontare i fatti, ma trovarono molti ostacoli sia dalle autorità greche che da quelle italiane. Ciò fa intendere con chiarezza che le organizzazioni criminali che si occupano di immigrati fanno parte del sistema e sono dunque protette.
La notizia di un possibile naufragio fu data a partire dal 4 gennaio 1997, ma con scetticismo e cercando di minimizzare i fatti. Ad esempio, l’Ansa scrisse: “Con un certo scetticismo le autorità greche e di altri paesi del mediterraneo stanno indagando sulla grande tragedia del mare… al momento… non una traccia che sia tale è stata trovata in mare”.
Nessuna agenzia di stampa parlò di corpi o di oggetti che potessero provare l’avvenuta tragedia, né delle testimonianze dei sopravvissuti, come se essi non contassero nulla. Alcuni naufraghi avevano raccontato che la nave F-174 era stata affondata volontariamente, per “eliminare” gli immigrati. Spiegò Shahab Ahmad:

“Un incidente? Lo sarebbe stato se anche il comandante Zervoudakis avesse rischiato di morire. Invece le cose non sono andate così. Io me lo ricordo bene: la Iohan ci è venuta addosso volontariamente… La Iohan ha viaggiato per circa un mese. Tutto l’equipaggio era molto duro, ci davano da mangiare quando volevano loro, e anche da bere. Il 24 dicembre, verso le dieci di sera, ci hanno detto: state pronti. E’ arrivata questa piccola imbarcazione. Noi la conoscevamo, perché era quella che portava le provviste alla Iohan. Qualcosa da mangiare, e soprattutto parecchio alcol per il capitano e per l’equipaggio. Spesso a bordo c’era Tourab, che era molto amico di El Hallal, bevevano sempre insieme. Ma quella notte Toruab non c’era. A guidare la F-147 era Zervoudakis. Avevamo paura perché sapevamo che quella barchetta poteva contenere 80 persone: siamo saliti in 317. Ma per noi solo una cosa era chiara: la morte era di qua o di là. E poi comunque ci spingevano. Io mi sono seduto vicino al timone… Quando sentiamo che c’era acqua nella stiva, lo diciamo a Zervoudakis, che contatta la Iohan con un telefono, diceva sempre ’dexi, dexi’, che non so cosa significa. La Iohan inizia ad avvicinarsi, velocemente. Ma cinque minuti prima che ci venisse addosso, Zervoudakis si è messo il telefono nella tasca dei pantaloni e si è buttato in acqua… Era chiarissimo: noi avevamo capito da un po’ di tempo che il viaggio era strano. Non abbiamo mai visto né un albero, né terra, niente, per quattro mesi. L’equipaggio ci dava da mangiare pochissimo. Non ci hanno mai fatto fare la barba, o tagliare i capelli. Ormai eravamo dei mostri. Sembrava proprio che non sapessero che farsene di noi. E poi, quel Zervoudakis, come se sapesse. E che si salva”. (3)

Shahab raccontò anche di un ragazzo ferito fu ributtato in mare su ordine del comandante Zervoudakis: “Me lo ricordo bene era un ragazzo giovanissimo, riccio, con un bracciale al polso. Non so come si chiamava. Ma so che era vivo, la corda l’aveva raggiunta a nuoto, nonostante avesse preso un colpo in faccia e buttava sangue”.

Per partire gli immigrati avevano pagato 7 mila dollari a testa, e avrebbero dovuto pagarne altri 7 mila arrivati in Italia. Una cifra enorme per chi vive nella miseria e nella disperazione.

Il giornalista di “Repubblica”, Giovanni Maria Bellu, autore del libro “Il fantasma di Portopalo”, spiega:

“Secondo stime di associazioni umanitarie, c’è anche uno studio di un’università inglese… sono morte nel tentativo di raggiungere l’Europa, dalla metà degli anni Novanta a oggi, tra le 10 e le 20.000 persone. Nell’estate del ’96 si è verificato un fenomeno, il numero degli arrivi è diminuito del 4% però il numero degli sbarchi è raddoppiato. Significa che vengono utilizzate barche più piccole senza scafista. Le barche sono molto leggere… e ogni barca trovata capovolta significa 25 morti”.(5)

Si tratta di stragi che avvengono quasi ogni giorno. Oltre ai morti per annegamento ci sono i morti per disidratazione nel deserto del Sahara e quelli per soffocamento nascosti nei Tir. Si tratta di migliaia di morti, che non saranno mai commemorati. Per loro nessuno chiederà mai minuti di silenzio, né ci saranno mostre o musei sulla loro terribile sofferenza. La maggior parte degli immigrati morti ha la tomba in fondo al mare, senza identità né memoria.
Nel caso della F-174 non ci furono soltanto i sopravvissuti a testimoniare della tragedia. A partire dal 2 gennaio, i pescatori iniziarono a notare che nelle reti andavano a finire scarpe, indumenti e persino corpi in decomposizione. Un pescatore andò a notificare il fatto alle autorità ma si trovò la nave sequestrata e rimase bloccato per giorni dalla burocrazia. Questo spinse gli altri pescatori a gettare in mare i corpi trovati, per non rischiare di non lavorare per molti giorni. Il pescatore Salvatore Lupo trovò la Carta d’Identità di un ragazzo dentro la tasca di un paio di jeans, e rimase colpito per la giovane età, la stessa di sua figlia.
Il naufragio sarà ignorato da autorità e stampa (pochissimi giornali trattarono l’argomento, fra questi, “Il Manifesto”), finché non riapparve la nave Iohan, che nel frattempo aveva cambiato nome in “Leopard”, continuando a fare viaggi della speranza.
Iniziano le indagini da parte del giornalista Bellu e dei parenti delle vittime. Questi ultimi ricostruirono la piramide dell’organizzazione criminale e prepararono un Dossier, che presentarono alle autorità greche e alla Procura di Reggio Calabria. Nonostante ciò, nulla accadde.
La vicenda riapparve all’attenzione dopo l’8 maggio del 2001, giorno in cui Salvatore Lupo lesse un articolo sugli indagati del naufragio, in cui si diceva che il capitano della Iohan, Youssef El Hallal, era stato prosciolto per insufficienza di prove. Lupo si ricordò della Carta d’Identità trovata e si rivolse ad un suo amico giornalista, che portò la vicenda all’attenzione pubblica. Il giornale “La Repubblica” decise di mandare Bellu, che contatterà la comunità Tamil, a cui apparteneva il ragazzo di cui era stata trovata la Carta d’Identità, che si chiamava Ampalagan Ganeshu.
Bellu ricostruisce l’intera vicenda, e scrive un articolo dal titolo “Negli abissi il cimitero dei clandestini”, pubblicato il 6 giugno 2001. In seguito saranno pubblicati altri articoli, e ci saranno interrogazioni parlamentari e richieste di Commissioni d’Inchiesta.
Lupo, che aveva avuto un ruolo importante nel far emergere la tragedia (dato che la testimonianza dei cittadini del Terzo Mondo non viene presa in considerazione), subì durissime persecuzioni, che lo costringeranno a perdere il lavoro. Persino il parroco locale, don Calogero Palaccino, dal pulpito lo accusò ingiustamente di aver incassato molto denaro (300/500 milioni di vecchie lire) da “Repubblica” per la sua collaborazione. Si trattava di evidenti menzogne, atte ad infamare Lupo, e ad isolarlo, mostrando a tutti di non poter impunemente far emergere aspetti del sistema agghiaccianti, le cui autorità preposte hanno il compito di tenere nascosti. A tutte le persone che fanno emergere i crimini del sistema è riservato lo stesso trattamento. Ad esempio, a coloro che denunciano reati di mafia, operazioni di terrorismo statunitense, ecc. Queste persone diventano oggetto di persecuzioni mediatiche e da parte delle autorità, come nel caso di Lupo.
La tratta degli umani fa parte del sistema, e ciò spiega perché le autorità occidentali ignorano le vittime della tratta, e non sollevano indagini nemmeno quando emergono fatti atroci, come nel caso della F-174.
Vengono aperte indagini, soltanto in casi rari, quando le vicende arrivano alla stampa, e dunque cadono sotto l’attenzione dell’opinione pubblica.

Nel caso del naufragio della F-174, si conoscono per certo i nomi dei maggiori responsabili, eppure nessuno di essi ha avuto una pena corrispondente al reato. Il comandante Eftychios Zervoudakis ha scontato in Grecia una pena di 7 anni di carcere, e oggi è libero. La Corte d’Assise di Siracusa ha assolto l’armatore Ahmed Sheik Turab, dall’accusa di omicidio volontario plurimo, “per non aver commesso il fatto”. Il pubblico ministero aveva richiesto l’ergastolo.
Anche Mandir detto “Pablo”, mercante di esseri umani, è stato assolto.
I parenti delle vittime, dopo aver vissuto una lunga odissea fra tribunali greci, italiani e maltesi, hanno dovuto capire che il valore dato alla vita dei loro congiunti non è lo stesso valore dato ai cittadini occidentali, e che le Costituzioni che dovrebbero garantire i diritti umani sono soltanto pezzi di carta.
Sugli immigrati i media ci danno notizie vaghe o distorte, in modo tale che il fenomeno non venga realmente compreso nelle sue caratteristiche. Non permettono alle persone comuni di capire bene cosa accade nei paesi degli emigranti che tentano di giungere in Europa.

A Tenerife, luogo in cui quasi ogni giorno sbarcano (o annegano) immigrati, le autorità spagnole vietano ai giornalisti di intervistare gli immigrati. Perché questo divieto? Cosa temono? Se non ci fosse nulla da nascondere questo divieto non avrebbe senso, ma le autorità occidentali hanno molto da nascondere. Esse temono che gli immigrati possano raccontare la vera situazione in cui versa il loro paese. Molti di loro sono dissidenti, e conoscono bene il potere delle corporation e delle banche occidentali nel consolidare dittature e nell’istigare (e organizzare) guerre. Se gli immigrati dissidenti potessero parlare liberamente attraverso i mass media, con le loro testimonianze permetterebbero a molti europei di capire le mistificazioni dei media ufficiali e di avvicinarsi alla comprensione della vera situazione del pianeta.
L’attuale gruppo dominante vuole creare, non un mondo a più culture, ma un mondo in cui c’è un’area che gli garantisce il consenso (anche grazie alle manipolazioni dell’opinione pubblica) e un’area assai più vasta in cui le persone vivono disperate, private della dignità e della possibilità di crescere materialmente e culturalmente. Ciò avviene affinché il gruppo egemone possa rimanere al potere. Infatti, quest’ultimo, essendo costituito soltanto da un numero esiguo di persone, se non costringesse al degrado e alla disperazione la maggior parte dell’umanità, prima o poi verrebbe distrutto. Creare miseria, sofferenza, guerre e divisioni è la “condicio sine qua non” del loro potere.
Per nascondere la situazione criminale in cui si vengono a trovare molte persone del Terzo Mondo, i media occidentali creano confusione fra criminalità e immigrazione, facendo intendere che i “clandestini” rappresentino un pericolo per i cittadini occidentali, e che gli immigrati sono criminali, nascondendo accuratamente le organizzazioni criminali, protette dal sistema, che organizzano la tratta degli umani e molte altre attività criminali.
Le persone del Terzo Mondo si trovano a vivere situazioni di conflitto create “ad oc” sfruttando le differenze di religione e di etnia.

Gli stegocrati (6) sono esperti nei metodi atti a creare guerre civile e guerriglie di vario genere. Ad esempio, nella Clinica Psichiatrica Tavistok di Londra venivano messe a punto tecniche per manipolare le menti e creare conflitti. Gli esperti del Tavistock si specializzarono nell’abilità di creare falsi movimenti di “liberazione”. Era il periodo in cui nascevano in Asia e in Africa diversi movimenti anticoloniali, e l’impero britannico elaborò un modo efficace per renderli deboli: creare falsi movimenti rivali e scatenare una guerra “civile”. I gruppi rivali creati dalla Corona britannica erano i più feroci e disposti ad agire in modo terroristico, uccidendo civili inermi. Il generale Rees si occupò, nel periodo 1949-50, di un programma chiamato “Tensione mondiale: la psicopatologia delle relazioni internazionali”. Lo scopo era quello di capire le caratteristiche culturali ed etniche dei gruppi anticoloniali, “per poterli meglio controllare”. Il controllo esigeva anche tecniche di creazione di tensioni sociali o contrasti fra i gruppi, utilizzando metodi violenti o ingannevoli. Durante gli anni Cinquanta, il generale di brigata John Rawlings Rees, direttore dell’Istituto Tavistock, e i suoi collaboratori, fecero diversi viaggi in Asia e in Africa, per creare un’équipe di psichiatri che seguissero di vicino le organizzazioni false e vere di “liberazione”.
In tal modo venivano assoldate bande criminali o formati gruppi di combattimento per seminare odio e distruzione e spingere i gruppi etnici gli uni contro gli altri. Queste stesse tecniche sono state utilizzate in Iraq, in Afghanistan, in Somalia, in Sudan e in molti altri paesi del mondo. Molte persone che vivono nei luoghi in cui vengono scatenate guerre o imposte dittature, vengono condizionate a credere di poter risolvere i problemi di sopravvivenza o salvare la propria vita espatriando. In tal modo viene evitato il rischio che esse si organizzino per lottare contro i regimi fantoccio imposti dalle autorità occidentali.

Gli emigranti vengono messi nelle condizioni di non poter utilizzare i mezzi di trasporto regolari, e di dover spendere cifre molto alte per viaggiare su mezzi fatiscenti e altamente rischiosi. Viene creata all’origine la situazione di “clandestino” poiché gli emigranti vengono privati dei documenti e di quasi tutto il denaro che hanno. Nei paesi europei, saranno duramente discriminati, poiché le leggi non riconoscono diritti ai migranti senza documenti e senza denaro.
I migranti, messi nelle mani dei falchi che si occupano dei mezzi di trasporto che li porteranno in Europa, saranno trattati peggio che se fossero animali, e la loro vita si troverà in grave pericolo.
A noi europei verrà detto che si può trattare di potenziali “terroristi”, dato che si tratta di persone senza documenti, e tramite l’uso massiccio dei media, saranno creati odi, contrasti e discriminazione, per impedire la vera comprensione della realtà e la solidarietà fra i popoli, che metterebbe in pericolo il potere dell’oligarchia.
Gli emigranti, specie quelli dei paesi più perseguitati dall’attuale gruppo di potere, arabi, nigeriani, cingalesi, somali, ecc., saranno soggetti alla gogna mediatica, che li farà apparire come potenziali criminali o come i responsabili dell’attuale situazione di precariato lavorativo o di altri problemi. Criminalizzarli significa anche proteggere l’immagine delle autorità europee come baluardo dei diritti umani.
Così gli europei continueranno a credere che le loro autorità difendono ovunque i diritti umani, e non hanno nulla da spartire con i dittatori, con le guerre del Terzo Mondo, o con la disperazione di chi rischia la vita per espatriare.

In Italia “l’emergenza immigrati” si affermò dopo il 1991, anno in cui furono rimpatriati alcune centinaia di albanesi; nel 1995 una brigata dell’esercito presidiò le coste pugliesi e due anni dopo venne inviato qualche migliaio di militari per poter presidiare l’Albania e impedire nuove partenze. Da allora la stampa iniziò a diffondere notizie allarmanti ed esasperate sul fenomeno degli immigrati, provocando un senso di paura e di insicurezza fra i cittadini italiani. L’allarme e la conseguente paura hanno prodotto un senso di repulsione e alimentato la xenofobia.
Il senso di panico e di emergenza dette origine al decreto Dini del 1995 e alla legge Turco-Napolitano del 1998. Il decreto Dini introdusse il principio della chiusura delle frontiere e delle espulsioni come “soluzione del problema immigrati” mentre la legge Turco-Napolitano, non discostandosi da questi principi, aggiunge l’istituzione di veri e propri campi di prigionia dove vengono rinchiusi gli immigrati da espellere. Nello stesso anno dell’introduzione della legge furono aperti i campi in Puglia, in Sicilia e in altre località. In questi luoghi, persone che non hanno commesso alcun reato vengono imprigionate e costrette a vivere sotto stretta sorveglianza della polizia e in un ambiente in cui la violenza e le vessazioni sono la norma.
La legge Turco-Napolitano, se da un lato affermava che anche gli stranieri godono degli stessi diritti dei cittadini, dall’altro aggiungendo “salvo che le convenzioni internazionali in vigore per l’Italia e la presente legge dispongano diversamente” legittimava le discriminazioni nei diritti civili, che si traducono nelle espulsioni e nelle detenzioni.
La legge Bossi-Fini, che nel 2002 sostituirà la legge Turco-Napolitano, è una legge palesemente razzista in cui gli immigrati vengono considerati “merce da lavoro” oppure delinquenti che la polizia deve imprigionare e poi espellere. Le quote annuali sono ulteriormente ristrette favorendo la clandestinità. La legge favorisce il lavoro precario e stagionale con auspicio che dopo alcuni mesi gli immigrati preparino la valigia per andarsene. La Bossi-Fini è stata dichiarata anticostituzionale negli articoli 13 (espulsione amministrativa) e 14 (ulteriori disposizioni per l’esecuzione dell’espulsione).
Queste leggi sull’immigrazione non parlano di diritto di asilo, non riconoscono il diritto di voto agli immigrati (neppure amministrativo, come era stato proposto nella legge Turco-napolitano), e rendono difficili anche i ricongiungimenti familiari.
Il Decreto Legislativo del 25 luglio 1998, n. 286 (Testo Unico di Pubblica Sicurezza) individua negli apolidi e nei cittadini non appartenenti all’unione europea l’ambito soggetto alle discriminazioni. Questo decreto legislativo individua ed indica le caratteristiche che mettono fuori legge un soggetto presente o aspirante ad entrare nel territorio nazionale. I soggetti, per entrare nel territorio devono avere i documenti in regola, provare di non essere poveri e di avere un motivo compatibile con la legge, cioè un motivo che non sia quello che i poveri hanno per valicare i confini. Nell’art. 3 si parla di quote massime, cioè lo Stato può escludere l’immigrato perché non ne ha bisogno lavorativamente. Lo straniero per entrare non deve essere povero, non deve aver bisogno di espatriare, se si scopre che ne ha bisogno diventa un fuorilegge, un clandestino. Egli può ottenere il visto d’ingresso se possiede un documento e dimostra di non essere povero. L’art. 4 comma 3 pone il reddito come una condizione legale: “L’Italia (…) consentirà l’ingresso nel proprio territorio allo straniero che dimostri di essere in possesso di mezzi di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno (…) Non potrà essere ammesso in Italia lo straniero che non soddisfi tali requisiti”.

Il reato è la povertà stessa in quanto lo Stato decide di non accogliere persone povere o in stato di bisogno. L’avere un reddito rappresenta una condizione necessaria proprio come il passaporto o il visto. Se si è poveri si viene respinti o espulsi, quindi anche colui che richiede asilo diventa un fuorilegge sia perché di solito è sprovvisto di documenti, sia perché spesso è in uno stato di indigenza per le medesime cause che lo inducono a fuggire. In altre parole i requisiti richiesti dalla legge permettono la libera circolazione soltanto delle persone che vivono nelle zone non povere.
Mentre le autorità occidentali, in primis quelle anglo-americane, fomentavano guerre e terrorismo in Asia e in Africa, in Europa i media alimentavano gravi pregiudizi contro gli immigrati, vittime senza alcuna possibilità di difesa.
Nel giugno del 2002 a Siviglia si è svolto un vertice europeo, in cui tutte le potenze erano concordi ad aumentare il controllo su tutte le persone, in particolare sugli immigrati, che diverrebbero oggetto di vera e propria attenzione poliziesca, col pretesto di combattere il terrorismo.
Amnesty International, in occasione del vertice di Siviglia, ha presentato un manifesto che denuncia l’atteggiamento sbagliato delle nazioni europee verso l’immigrazione. Il manifesto, sottoscritto da Eduardo Galeano, Luis Sepúlveda e Caballero Bonald, dice:

“Negli ultimi tempi si sta diffondendo in tutta Europa un discorso impregnato di paura. Alcuni cittadini temono che ciò che percepiscono come un'”invasione” di immigrati o un abuso al sistema di asilo vada a toccare la loro situazione economica, sociale o di sicurezza. Altri temono il rafforzamento di posizioni politiche populiste o di estrema destra… I maltrattamenti e le torture contro gli immigrati sono aumentati negli ultimi anni, una tendenza che è attestata anche nel resto d’Europa, come denuncia il Centro europeo di osservazione sul razzismo e la xenofobia… Chiediamo ai capi di Stato e di Governo degli Stati membri dell’Unione Europea riuniti il 21 e 22 giugno a Siviglia che si impegnino a:
1. Riaffermare il rispetto delle norme internazionali sui diritti umani e sulla protezione dei rifugiati adottando misure che garantiscano alle persone che fuggono dalle violazioni dei diritti umani di poter chiedere asilo in Europa e ottenere protezione.
2. Valutare le conseguenze, a livello di diritti umani, di tutte le decisioni miranti a combattere l’immigrazione irregolare.
3. Mettere a punto una strategia europea e nazionale per combattere tutte le forme di razzismo e discriminazione.
Consideriamo che nella lotta contro l’immigrazione irregolare non si possono sacrificare i diritti umani degli immigrati e dei rifugiati”.
(7)

Molte persone ignorano che la lotta al terrorismo in molti casi è un pretesto per privare le persone straniere dei loro diritti. I media occidentali creano un impeto razzistico per farci dimenticare che tutti gli esseri umani hanno diritti inviolabili, e che gli immigrati non sono da punire né da temere. Il sistema attuale fa leva sulle nostre paure più profonde: la paura di ciò che è a noi estraneo o di ciò che disconosciamo. Le nostre autorità creano il mito della sicurezza e della legalità per avere un motivo valido e da tutti accettato per perseguitare e controllare fino all’ossessione gli immigrati. Alcuni di essi raccontano di essere fermati per controlli dalla polizia anche venti volte alla settimana. Occorre capire qual’è il vero significato di tutto ciò. Non è il volerci proteggere perché proprio le autorità europee (oltre a quelle statunitensi) proteggono i traffici illegali praticati da criminali e mafiosi. Il controllo non è diretto agli stranieri che praticano crimini, tanto è vero che questi ultimi possono, nella maggior parte dei casi, liberamente spacciare droga, organizzare la prostituzione e attuare altri crimini. Le reti criminali di vario genere sono utilizzate dal gruppo stegocratico per seminare insicurezza, e dunque paura. Per capire veramente il fenomeno dell’immigrazione occorre non soltanto analizzare la situazione politico/economica da cui gli immigrati provengono, ma anche comprendere i meccanismi di dominio del gruppo egemone sui popoli.

Antonella Randazzo
Fonte: http://antonellarandazzo.blogspot.com
Link: http://antonellarandazzo.blogspot.com/2008/04/schiavit-e-immigrazione.html
3.04.08

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PER APPROFONDIRE

Alietti Alberto, “Sociologia del razzismo”, Carocci, Roma 2000.
Allport Gordon, “La natura del pregiudizio”, La Nuova Italia, Firenze, 1973.
Basso Pietro, “Razze schiave e razze signore. Critica dei fondamenti sociali del razzismo”. Vol. 1, “Vecchi e nuovi razzismi”, Franco Angeli, Milano 2002.
Bellu Giovanni Maria, “Il fantasma di Portopalo”, Mondadori, Milano 2004.
Dal Lago Alessandro, “Non persone. L’esclusione dei migranti in una società globale”, Feltrinelli, Milano 2004.
Filippa Marcella, “Dis-crimini”, Società Editrice Internazionale, Torino 1998
Sossi Federica, “Autobiografie negate”, Manifestolibri, Roma 2002.

NOTE

1) Arlacchi Pino, “Schiavi. Il nuovo traffico di esseri umani”, Rizzoli, Milano 1999.
2) Pilger John, “Agende nascoste”, Fandango libri, Roma 2003, p. 61.
3) “Il Manifesto”, 17 dicembre 2006.
4) “Il Manifesto”, 17 dicembre 2006.
5) Lucarelli Carlo, “Blu notte”, 30 settembre 2007.
6) Vedi articolo http://antonellarandazzo.blogspot.com/2008/03/lipotesi-stegocratica-parte-prima-il.html
7) “Una strategia contro razzismo e discriminazione. Appello di Galeano, Sepulveda e Bonald al vertice di Siviglia”, “Adista Notizie”, n. 51 del 1° luglio 2002.

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