DI GIULIETTO CHIESA
Davvero questi neocon non hanno limiti. Nemmeno quelli della buona educazione, neanche quelli dell’accortezza. Ci si domanda quanto tempo ancora ci vorrà perché gli europei (parlo dei leader e dei commentatori politici) si rendano pienamente conto di quanto, e a quale profondità, siano ormai cambiate tutte le regole del gioco tra le due sponde dell’Atlantico. Di che si tratta? Di uno dei più sonori ceffoni che il presidente–imperatore George Bush ha inferto agli alleati europei appena quindici giorni dopo quella che tutti i media mondiali avevano definito come “la grande riconciliazione” tra Europa e Stati Uniti d’America…
Il ceffone si chiama Paul Wolfowitz, e precisamente la sua nomina alla testa della Banca Mondiale, pronunciata solennemente da Bush alla metà della settimana scorsa. Non è ancora l’investitura formale, ma non s’è levata voce, nelle capitali occidentali, in grado di fermarla. E si capisce: la Banca Mondiale non è un’organizzazione di beneficenza e nemmeno è un organismo democratico. Come tutte le banche che si rispettino ha un consiglio di amministrazione, in cui conta di più chi ha più azioni. E chi ha la maggioranza del pacchetto decide il presidente. Che sarà Paul Wolfowitz. Il quale, si dà il caso, fino all’altro ieri era il numero due del Pentagono e, a detta di tutti, il principale ispiratore e organizzatore dell’aggressione contro l’Irak.
Affar loro, si potrebbe dire. Wolfowitz era un dirigente americano di una guerra americana. Il fatto è – e questo non poteva passare inosservato – che Bush lo ha premiato facendolo diventare un leader mondiale, di una istituzione che, per giunta, in linea di principio dovrebbe occuparsi di riequilibrare l’economia mondiale, aiutare i paesi più poveri, ecc. E gli Stati Uniti mettono alla testa di una istituzione di quel peso e di quel valore, concreto e simbolico, un uomo che la comunità internazionale percepisce – del tutto legittimamente – come uomo di guerra, teorico dell’aggressione, sommo dispregiatore delle Nazioni Unite, ideatore principale dell’attuale unilateralismo americano.
Bel colpo, George! Eri appena venuto in Europa, nel solco di Condoleeza, per fare scrivere a tutti i giornali, e per fare vedere al pubblico europeo, fino a quale punto si spingeva la tua ricerca di solidarietà, quanto grande fosse la tua disponibilità a correggere il tuo unilateralismo. Ed ecco che scegli alla testa della Banca Mondiale il candidato meno gradito agli alleati e a una parte grandissima dell’opinione pubblica internazionale.
Ho saputo personalmente, da una fonte molto bene informata del Dipartimento di Stato, che Bush si sarebbe molto stupito delle reazioni di grande freddezza suscitate, dalla sua decisione, in alcune capitali europee. Tra queste anche quella del super-supporter della guerra irachena, Tony –Lyar-Blair. “Ma gli ho telefonato!”, avrebbe detto irritato l’Imperatore, che, in effetti, avrebbe telefonato sia a Londra, che a Berlino, Parigi e perfino Roma. Col che si deve supporre che George Bush pensa che telefonare, comunicando una propria decisione, equivalga a consultarsi con gli alleati. Ipse dixit, e non c’è altro da aggiungere. Così ci siamo fatti un’idea più precisa dell’idea di consultazione e cooperazione con gli alleati europei che ha in testa il supremo reggitore della Casa Bianca e del mondo intero.
Alla prossima aggressione i capi europei potrebbero essere “consultati” più o meno nello stesso modo: “Sai Jacques, domani attaccherò l’Iran. Arrivederci”.
I commentatori italiani hanno fatto qualche fatica a digerire il colpo. Avevano appena finito di scrivere che finalmente la linea di Washington era cambiata; che il secondo mandato di Bush (ma quale secondo mandato?, visto che il primo non fu un mandato ma un rapinato) nasceva all’insegna della ritrovata concordia con l’Europa, specie con la “vecchia” Europa, ed eccoli alle prese con la necessità di spiegare ai lettori che l’Imperatore ha già cambiato idea. O che, forse, non l’ha mai cambiata e loro hanno preso una sonora cantonata.
Anche perché George di schiaffoni alla comunità internazionale ne ha inferti non uno ma due e in rapida successione. Forse non ne è del tutto consapevole, questo è da mettere nel conto. Ma la nomina di John Bolton, un altro super falco neocon, alla guida della diplomazia americana alle Nazioni Unite, aveva già sollevato ondate di brividi nelle schiene ben lavate della diplomazia internazionale. Mettere uno come Bolton in quel posto equivale a dichiarare preventivamente che la diplomazia di Washington sarà piena di spigoli. Qualcosa di simile a mettere una volpe in un pollaio e poi spiegare alle galline che l’obiettivo è quello di cercare una soluzione di compromesso. E, del resto, non è la prima mossa del genere. In fondo, prima di Bolton, all’ ONU c’era Negroponte, e s’è visto come, in quel periodo, Washington ha trattato il Consiglio di Sicurezza. E Negroponte, l’organizzatore delle squadre della morte in Centro-America e con le mani in pasta nell’affare Iran-Contras (che servì ad abbattere il regime sandinista in Nicaragua mediante l’organizzazione del terrorismo di stato contro un paese sovrano), è stato promosso anche lui: alla guida di tutti i servizi segreti americani.
Insomma: la “grande riconciliazione” è durata meno di dieci giorni. Più probabilmente non c’è mai stata.
L’Atlantico diventa sempre più largo.
Giulietto Chiesa
Fonte:www.giuliettochiesa.it
Avvenimenti del 21 marzo 2005