DI PEPE ESCOBAR
Asia Times
Uno strip tease alla fine della storia
Sarebbe comodo rievocare il retro-spirito di Burt Bacharach per definire il nostro futuro geopolitico e iniziare a cantare “Ciò di cui il mondo ha bisogno ora / è amore, dolce amore”.
Siamo spiacenti di aver interrotto il disco. Interrompiamo questo momento di dolcezza per riferirvi notizie dell’ultima ora. Siete stati catapultati nell’era del nuovo ‘eroe’ hobbesiano – tanto digitale e virtuale quanto fisico.
Il capitalismo da casinò – detto anche turbo-neoliberismo – sta distruggendo selvaggiamente le ultime vestigia dello stato sociale, come pure il consenso generale sul principio egualitario nell’Occidente industrializzato, forse con la strana eccezione scandinava. [Il turbo-neoliberismo] ha consolidato il consenso, diventando la “Nuova Normalità”, invadendo le vite private, dominando il dibattito pubblico e istituzionalizzando una volta per tutte la mercificazione della vita in sé– l’atto finale dello sfruttamento selvaggio delle risorse naturali, della terra e del lavoro a basso costo da parte delle imprese.
L’integrazione, la socializzazione e il multiculturalismo sono oggetto di progressiva erosione tramite disintegrazione, segregazione e diffusa individualizzazione – conseguenza diretta della nozione coniata da David Harvey di “dis-accumulazione” (la società che divora se stessa).
Questo stato di cose corrisponde a ciò che il filosofo e storico dell’arte belga Lieven De Cauter, nel suo libro Entropic Empire, chiama “la fase Mad Max della globalizzazione”.
È un mondo hobbesiano, una guerra civile globale latente, una guerra di tutti contro tutti; chi ha contro chi non ha; i Wahhabiti intolleranti contro gli “apostati” Sciiti; i figli dell’Illuminazione contro ogni specie di fondamentalisti; la militarizzazione dell’Africa da parte del Pentagono contro il mercantilismo cinese.
La disintegrazione e balcanizzazione dell’ Iraq, innescata dieci anni fa dalla campagna ‘Colpisci e terrorizza’ del Pentagono, è stata una sorta di preludio a questa sorta di Nuovo Disordine. La visione del mondo dei neo-conservatori americani, dal 2001 al 2008, ha portato avanti il progetto di farla finita con l’idea di Stato, ovunque; ancora una volta l’esempio migliore proviene dall’ Iraq. Ma dal bombardare uno stato sovrano per riportarlo all’Età della pietra, il progetto si è evoluto fino alla pianificazione di guerre civili– come in Libia e, se tutto va bene per i pianificatori, in Siria.
Quando analisti da salotto, influenti o meno, pagati da ricche fondazioni – di solito negli Stati Uniti ma anche nell’Europa occidentale – pontificano a proposito di “caos e anarchia”, stanno soltanto rafforzando una profezia protesa all’autorealizzazione. Se “caos e anarchia” li eccita, è perché essi rispecchiano l’economia predominante fondata sulla libidine, dai reality in TV ad ogni sorta di ciò che De Cauter descrive come “giochi psicotici” – dentro una stanza, un ottagono, un’isola o virtualmente dentro una scatola digitale.
Benvenuti così nella geopolitica del ventunesimo secolo: un’era di guerra continua (virtuale o meno), forte polarizzazione ed un cumulo di catastrofi.
Dopo Hegel, Marx e quel mediocre funzionario dell’Impero, Fukuyama; ma anche dopo brillanti decostruzioni da parte di Gianni Vattimo, Baudrillard o Giorgio Agamben, ecco cosa ci aspetta.
Per Marx la fine della storia prevedeva una società senza classi. Che romantico. Al contrario, nella seconda metà del ventesimo secolo, il capitalismo si è unito in nozze alla democrazia liberale occidentale finché morte non li separi. Bene, la morte ora incombe su entrambi. Il Dragone Rosso, come in Cina, si è unito alla festa e ha portato un nuovo giocattolo: il neoliberalismo monopartito.
Un consumatore individualista, autoindulgente, passivo, facilmente manipolabile è affogato in una forma distorta di democrazia che favorisce di base i suoi membri – nonché attori davvero ricchi; come può trattarsi di un ideale umanista? Eppure la democrazia rappresentativa è stata così brava da conquistare legioni di adepti in Asia, Africa, Medio Oriente e Sud America. Ma non è ancora abbastanza per i Padroni dell’Universo su scala geo-economica.
Ecco così la fine della storia come supremo reality show. E il neoliberalismo bellico come sua arma preferita.
Scegli il tuo lager
Ormai siamo familiari con il modello di stato di emergenza (o stato d’eccezione) designato da Giorgio Agamben. L’esempio più recente fino alla metà del ventesimo secolo è stato il campo di concentramento. Ma il dopo-la-storia è più creativo.
Abbiamo il campo di concentramento riservato ai musulmani– come a Guantanamo. Abbiamo il simulacro di un campo di concentramento – come in Palestina, virtualmente murata e sorvegliata tutto il tempo, e dove “la legge” è dettata da una potenza occupante. E abbiamo ciò che è accaduto – a mo’ di prova – la settimana scorsa a Boston; l’eufemistico “lockdown” (lett. dispositivo di bloccaggio, ndt), che altro non è se non una sospensione dello stato di diritto a favore della legge marziale: niente libertà di movimento, rete telefonica bloccata, e se ti rechi al negozio all’angolo per comprare un soft drink rischi di essere freddato. Un’intera città nel Nord industrializzato si è trasformata in un campo di concentramento high-tech.
Agamben ha parlato di stato di eccezione come di un eccesso di sovranità imposto dall’alto, e dello stato di natura– come in Hobbes – quale assenza di sovranità dal basso. Dopo la Guerra globale al terrorismo (Global War on Terror – GWOT), che, contrariamente a quanto afferma il Pentagono, in effetti è eterna (o La Lunga Guerra, così come definita nel 2002, e parte della dottrina del Pentagono della Full Spectrum Dominance), possiamo parlare di una fusione.
La guerra al terrorismo, seducentemente normalizzata dall’amministrazione di Obama, è stata e rimane uno stato di eccezione globale, nonostante i soliti orpelli; il Patriot Act ; oscuri atti presidenziali; la tortura – recentemente negli Stati Uniti una commissione bipartisan ha accusato di tortura i vertici dirigenziali dell’amministrazione di George W Bush; le procedure di extraordinary rendition, a cui hanno contribuito alleati secolari dell’Occidente come Libia e Siria, per non parlare di paesi dell’Est Europa e degli usuali pupazzi arabi, l’Egitto di Mubarak incluso; e la diffusa burocrazia di sicurezza interna.
Quanto a un reale campo di concentramento, ancora una volta non serve andare oltre Guantanamo – il quale, contrariamente a quanto promesso da Obama in campagna elettorale, rimarrà aperto a oltranza, così come alcune tra le tante prigioni ‘segrete’ istituite dalla CIA ai tempi di Bush.
In tutti questi casi qualsiasi cosa accada nella vita sociale – sospensione, dissoluzione, balcanizzazione, implosione, uno stato di emergenza – ciò che succede ai cittadini normali è che la cittadinanza svanisce. Cosa che non interessa alle classi dirigenti – politiche, economiche, finanziarie. A loro stanno a cuore unicamente consumatori passivi.
Scegli la tua distopia
Le distopie del Nuovo disordine globale sono in corso di normalizzazione. Siamo abituati al terrorismo di stato – come nella guerra ‘segreta’ dei droni della CIA scatenata su aree tribali del Pakistan, dello Yemen, della Somalia e presto ad altre latitudini africane. Siamo pure abituati al terrorismo non statale, praticato da quella nebulosa che in Occidente descriviamo come “al-Qaeda”, con la sua miriade di affiliazioni e imitazioni.
Abbiamo una serie di iper-stati – Stati Uniti, Cina e Russia e l’Unione Europea tutta assieme – e una moltitudine di infra-stati o stati falliti, alcuni a tavolino (Libia, mentre la Siria è a buon punto), così come stati satellite, alcuni strategici nel sistema di dominio occidentale come il club della Controrivoluzione del Golfo (GCC – Gulf Cooperation Council).
È sempre illuminante guardare al modo in cui il Pentagono interpreta questo mondo. Abbiamo un “centro aggregatore” contrapposto ad uno “spazio non integrato”. Il “centro” è quello importante, in questo caso il Nord America e la maggior parte, non tutti, degli Stati europei. Popolazioni docili, passive, con un’elite di consumatori – le veloci e mobili elite della modernità liquida descritte da Bauman – ed una vasta massa di lavoratori in lotta per la sopravvivenza, gran parte dei quali sacrificabili (come i milioni di europei vittime delle politiche di austerità praticate dalla troika che mai più troveranno un lavoro decente).
Per lo spazio non integrato, non resta che il modello hobbesiano. Nel caso dell’Africa – fino a ieri derisa come un buco nero – c’è un gioco di potere geopolitico in più: come contrastare la straordinaria penetrazione sui mercati della Cina avvenuta nell’ultimo decennio. La risposta del Pentagono è di schierare ovunque unità di combattimento del comando Africom (United States Africa Command, ndt); sottomettere nazioni troppo indipendenti, come la Libia; e nel caso della elite francese, sempre sulla cresta dell’onda, mostrare i muscoli imperiali in Mali, approfittando proprio della implosione e balcanizzazione della Libia.
L’aspetto del dopo-storia, il suo ideale estetico, è la città come parco tematico. Los Angeles potrebbe aver rappresentato l’archetipo ma i migliori esempi rimangono Las Vegas, Dubai e Macao. In assenza di Umberto Eco e Baudrillard, i quali esaltavano le immagini speculari dei simulacri, possiamo seguire l’esperto architetto Rem Koolhaas – un profondo osservatore della demenza urbana imperante nella Cina del sud – per apprendere che cosa rappresenta lo spazio spazzatura.
Poi c’è l’ossessione per la sicurezza – da città come Londra che si stanno trasformando in una versione diffusa del Panopticum di Bentham al rituale patetico dello strip tease in ogni aeroporto, per non parlare del condominio murato o “comunità”, piuttosto somigliante ad atomi blindati, come emblema di civiltà incapsulata. Le azioni di guerriglia, tuttavia, possono essere letali tanto quanto i sunniti che lottavano contro gli americani nel ‘triangolo della morte’ nella metà degli anni 2000. A San Paolo del Brasile –megalopoli violenta nello stadio finale– le gang “clonano” macchine e targhe, aggirano la sicurezza all’entrata dei condomini recintati, parcheggiano nel garage e procedono sistematicamente coi furti in ogni appartamento di ogni piano.
Tu sei la storia
Concettualmente, il post-storia raggiunge ogni angolo. Il flusso della storia è tanto svalutato quanto falso. Il simulacro surclassa la realtà. Assistiamo alla storia che si ripete non come tragedia e farsa ma piuttosto come doppia farsa; un esempio sovrapposto è dato dai sostenitori della Jihad in Siria riforniti di armi come lo furono i “combattenti della libertà” impegnati nella jihad antisovietica che si fondono con la gang occidentale nel Consiglio di sicurezza ONU nel tentativo di applicare in Siria ciò in cui sono riusciti in Libia: il cambio di regime.
Abbiamo la storia che si ripete come clone: il neoliberalismo dalle caratteristiche cinesi che batte l’Occidente nel suo gioco all’industrializzazione – in termini di velocità – pur ripetendo allo stesso tempo gli stessi errori, dagli eccessi dissennati di una mentalità fondata sull’acquisizione alla mancanza di rispetto verso l’ambiente.
Va da sé che il post-storia seppellisce l’Illuminazione – quanto a favorire l’emergere di ogni tipo di fondamentalismi. Allo stesso modo doveva seppellire il diritto internazionale: dall’aver bypassato l’ONU per lanciare una guerra contro l’Iraq nel 2003, all’aver usato una risoluzione dell’ONU per provocare una guerra in Libia nel 2011. Ed ora Gran Bretagna e Francia non fanno prigionieri nel tentativo di scavalcare l’ONU o persino la NATO e fornire armi ai ‘ribelli’ in Siria.
E così abbiamo un Nuovo Medioevo che non può che adeguarsi ad una ricca neo-teocrazia – come succede in Arabia Saudita e Qatar; siccome sono alleati occidentali, o meglio marionette, sul piano interno possono pure restare allo stato medievale. Sovrapposta, abbiamo la politica della paura – che fondamentalmente governa la Fortezza America e la Fortezza Europa; la paura dell’Altro, il quale può a seconda dei casi essere asiatico ma per lo più islamico.
Ciò che ci manca è una visione filosofico -politica del futuro. O un programma storico-politico; i partiti politici hanno come unica preoccupazione quella di vincere le prossime elezioni.
C’è da chiedersi come sarà un sistema post-stato. Le menti indipendenti non credono a blocchi elefantiaci, asimmetrici e traballanti del tipo dell’Unione europea o del G-20, e nemmeno a blocchi multipolari come i BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa – che ancora non rappresentano un’alternativa reale al sistema occidentalizzato). Nessuno pensa in termini di mutazione strutturale del sistema. Su questo Marx aveva assolutamente ragione: ciò che determina la storia sono processi oggettivi, concreti, palpabili – alcuni di questi davvero complessi – che toccano l’infrastruttura economica e tecnologica.
È possibile supporre che d’ora in poi il protagonista della storia sarà la tecnologia – come già immaginavano Jean-Francois Lyotard e Paul Virilio negli anni 1980 e 1990. La tecnologia continuerà a migliorare al di là del sistema capitalista. La tecno-scienza siede al posto di comando della storia. Ma ciò significa pure guerra.
Guerra e tecnologia sono gemelli siamesi; virtualmente tutta la tecnologia procede come tecnologia militare. L’esempio migliore è quanto Internet ha cambiato profondamente le nostre vite, con immense ramificazioni geo-economiche e politiche; Pechino, in un libro bianco del 2010, potrà anche aver salutato Internet come la “cristallizzazione della saggezza umana”, eppure nessuno stato filtra più informazioni sulla rete di quanto faccia la Cina. Spingendo lo scenario fino a un limite distopico, Eric Schmidt di Google sostiene, correttamente, che pigiando su un interruttore presto interi paesi potrebbero sparire da Internet.
Così, fondamentalmente, possiamo dimenticarci di un’utopistica regressione allo stato delle tribù nomadi – per quanto esse possano esercitare un certo fascino su di noi, siano in Africa o nel corridoio Wakhan del Tagikistan. Passando in rassegna il paesaggio geopolitico da Ground Zero a Boston, gli unici “modelli” sono declinazioni di entropia.
Incontro con il neoliberale Adamo
Ora quanto all’arma favorita della post-storia: il neoliberalismo bellico. La migliore analisi degli ultimi anni può trovarsi senza dubbio nel libro Les Guerres de L’Empire Global (Le guerre dell’impero globale, NdR ) del geostratega francese Alain Joxe.
Joxe mischia tutto, perché tutto è interconnesso – la crisi dell’euro, la crisi del debito europeo, occupazioni e guerre, restrizioni di libertà civili, elite totalmente corrotte – per smascherare il progetto di Impero globale neoliberista, il quale va ben oltre l’Impero americano.
Obiettivo ultimo della finanziarizzazione economica è un’accumulazione illimitata di profitti – un sistema che arricchisce ulteriormente chi è già ricco mentre i poveri rimangono senza niente (o, al massimo, con l’austerity). I Padroni dell’universo reali costituiscono una classe denazionalizzata di rentier– nemmeno la si può chiamare nobiltà, a in quanto per lo più la loro mancanza di gusto e senso critico è sconvolgente, come nei fornitori di ornamenti eccessivi. Ciò che fanno avvantaggia le società multinazionali, invece delle funzioni di protezione degli stati. In questo stato di cose le avventure militari diventano stato di polizia. Ed una nuova information technology – dai droni alle munizioni “speciali”– può essere usata contro i movimenti popolari, non solo al Sud ma anche al Nord.
Joxe riesce a mostrare come la rivoluzione tecnologica abbia portato allo stesso tempo alla gestione informatica di quel dio che si chiama Mercato così come alla robotizzazione della guerra. Ecco dunque che abbiamo un mix di cambiamenti economici, militari e tecnologici, in parallelo, che portano dritti ad un’accelerazione delle decisioni capaci di polverizzare totalmente le ampie vedute della politica, e di generare un sistema incapace di regolare tanto la finanza quanto la violenza. Tra la dittatura dei “mercati” e la democrazia sociale, provate a indovinare chi sta vincendo a mani basse.
In realtà, Slavoj Zizek si era già posto la domanda fondamentale, per lo meno in termini di Declino dell’Occidente. Il vincitore (segreto) è difatti “il capitalismo dai valori asiatici’ – che , peraltro, non ha niente a che vedere con i popoli dell’Asia e tutto a che fare con la chiara e trasparente tendenza attuale del capitalismo contemporaneo a limitare o persino sospendere la democrazia”. (Vedi qui.)
Il filosofo francese Jean Claude Michea manda avanti l’analisi politica. Sostiene che la politica post-moderna è diventata di fatto un’arte negativa – definire la società quanto peggiore possibile. Ecco come il liberalismo – che ha modellato la civiltà occidentale moderna – è divenuto, in quanto neoliberalismo, la “politica del male minore”. Bene, “male minore” per chi comanda, naturalmente, al diavolo il resto.
In un altro libro cruciale, Michea s’inventa la divertente metafora del neoliberale Adamo come il nuovo Orfeo, condannato a scalare il sentiero del Progresso senza essere autorizzato a guardarsi indietro.
Non molti pensatori contemporanei sono attrezzati per bastonare Sinistra e Destra in egualmente devastante misura. Michea ci dice che entrambe, Sinistra e Destra, si sono sottomesse al mito originale del pensiero capitalista; questa “antropologia noir” che rende l’Uomo egoista per natura. E si chiede come è possibile che la Sinistra istituzionale abbia abbandonato l’ambizione di una società equa e decente – o come il lupo neoliberale abbia gettato scompiglio nel gregge socialista.
Oltre il neoliberalismo e/o il desiderio di una democrazia sociale, ciò che ci racconta il reality show è che una guerra civile globale interna è alle porte – l’ipotesi che ho esplorato nel mio libro del 2007 Globalistan. Quando misceliamo la tendenza di Washington a gravitare intorno all’Asia; l’ossessione per un cambio di regime in Iran; la paura delle elite occidentali per l’ascesa della Cina; la vera Primavera araba, che non è nemmeno iniziata, per il tramite di giovani generazioni che desiderano una partecipazione politica ma senza essere legate dal fondamentalismo religioso; il risentimento musulmano per ciò che è avvertito come una Nuova Crociata nei propri confronti; la crescita del neo-fascismo in seno all’Europa; e l’impoverimento avanzato della classe media occidentale, è difficile pensare all’amore.
Eppure – per riprendere Burt Bacharach – è proprio ciò di cui il mondo ha bisogno.
Pepe Escobar è autore di Globalistan: How the Globalized World is Dissolving into Liquid War (Nimble Books, 2007), Red Zone Blues: a snapshot of Baghdad during the surge (Nimble Books, 2007), e Obama does Globalistan (Nimble Books, 2009). Potete scrivergli a [email protected].
Fonte: www.atimes.com
Link: http://www.atimes.com/atimes/World/WOR-01-260413.html
26.04.2013
Traduzione per www.comedonchisciotte.org cura di ALE EL TANGUERO
Questa è una versione ridotta della lezione tenuta questa settimana al tredicesimo Seminario di Solidarietà politica in memoria di Don Juan Chavez presso l’Università di Saragozza in Spagna. Versione originale su Asia Times.