DI FEDERICO ZAMBONI
ilribelle.com
Fabio Fazio non è un presentatore: è un additivo. Un colorante artificiale. Rosso de sinistra per gli allocchi. Rosa socialdemocratico per quelli semi svegli. Verde dollaro per quelli svegli del tutto.
Fabio Fazio è collaudatissimo, e viene utilizzato di conseguenza. Si sa a priori quello che c’è nelle sue corde. Si sa ancora meglio quello che nelle sue corde non c’è, nemmeno per sbaglio. Quello che lui è incapace non diciamo di fare ma anche solo di immaginare, concepire, desiderare. Per dirla in termini canori, visto che incombe il Sanremo 2014 e che quest’anno gliene hanno affidato addirittura la direzione artistica (artistica, sic), la sua voce intellettuale (intellettuale, doppio sic) ha l’estensione di un’ottava scarsa. Più che cantare, canticchia. Ma siccome conosce a fondo il repertorio e ha la battuta facile – facile e, tuttavia, così controllata – nei limiti del pianobar televisivo si destreggia. Non proprio un playback, ma quasi. E quando aggiunge allo spartito una variazione, benché modesta, si guarda intorno per verificare subito se non si sia spinto troppo in là, anche se è evidente che ci ha pensato su mille volte e ponderato, con somma cura, i pro e i contro.Il personaggio è questo. Un professionista affidabile, secondo gli standard attuali, e ormai proiettato nella dimensione del produttore di sé stesso, ossia dello spettacolo di turno da mettere in scena. Praticamente l’ideale, per i burocrati Rai perennemente a corto di idee. Se le cose vanno male, la responsabilità è di chi ha elaborato il progetto. Se invece vanno bene, o benissimo, il merito è loro, che gli hanno dato la possibilità di realizzarlo. Il cinema si rimpicciolisce nelle fiction. Il giornalismo politico nei talkshow. La musica meglio non parlarne, tra il kitsch dei “grandi successi” rispolverati in tutti i modi e i Castrocaro del Terzo Millennio a caccia di nuove (pseudo) star.
Ed eccoci al Sanremo 2014, allora. Lunedì si è svolta la conferenza stampa di presentazione e il suddetto Fazio ha provato a volare alto. Il presupposto è che «non abbiamo fatto un cast televisivo, abbiamo scelto canzoni all’insegna della contemporaneità, che immaginiamo possano essere ascoltate e scaricate dai consumatori di musica». L’obiettivo, ambiziosetto anzichenò, è che quest’anno «il tema che farà da filo conduttore sarà quello della bellezza, sentito come necessità». Dopodiché, a conferma inoppugnabile dell’assunto, vai con gli esempi concreti: quell’urgenza estetica «sarà declinata in tutte le sue sfumature: con Franca Valeri, bella ed elegante, con Raffaella Carrà, energia della bellezza, e Letizia Casta, bellezza francese».
Ma c’è di peggio. Una frase che è caduta nel nulla e di cui, benché fosse contenuta in diverse edizioni del gr di Radio24, sembra non esserci traccia neanche in Internet. Fazio ha contrapposto l’Italia del passato, «un Paese che ha costruito quantitativamente la più grande bellezza del mondo», a quella odierna che «sta vivendo di aggressività, di contrapposizioni sempre più dure». La sua tesi, quindi, parrebbe essere che la creatività artistica sia il naturale riflesso della pace sociale, che com’è noto è così cara a Giorgio Napolitano e al resto dell’establishment. Se almeno in questo caso, però, l’orizzonte non si riduce a quello delle attrici in passerella, o del mero intrattenimento, o di una funzione soltanto decorativa e di per sé rassicurante di qualsivoglia opera visiva o letteraria o musicale, l’affermazione è totalmente infondata.
Prendiamo il Rinascimento, ad esempio. Come sottolineò Bertrand Russell, nella sua Storia della filosofia occidentale, «Le condizioni politiche del Rinascimento favorivano lo sviluppo individuale, ma erano instabili; l’instabilità e l’individualismo erano strettamente connessi, come nell’antica Grecia. Uno stabile sistema sociale è naturalmente necessario, ma d’altra parte ogni sistema stabile fin qui realizzato ha impedito lo sviluppo di meriti eccezionali, artistici o intellettuali. Quanto sangue e quanta anarchia gli uomini sono pronti a sopportare, pur di compiere conquiste grandi come quelle del Rinascimento? Nel passato, moltissimo; nel presente, molto meno. Fino ad oggi non è stata trovata alcuna soluzione a questo problema, benché l’organizzazione sociale vada diventando sempre più progredita».
Certo: Fabio Fazio non è tenuto a conoscerlo, Bertrand Russell, e figuriamoci ad averlo letto e a ricordarsi di ciò che ha scritto. Tanto, visto che il filosofo è morto nell’ormai lontano 1970, non potrebbe invitarlo comunque in trasmissione.
Federico Zamboni