DI LUCIANO FUSCHINI
ilribelle.com
Non mi aspettavo sconquassi dall’uragano Sandy. Pensavo che enfatizzarne i rischi potesse rientrare in una strategia di propaganda elettorale, per dimostrare l’efficienza dell’Amministrazione sotto la ferma e lungimirante guida di Obama, quando è ancora vivo nella memoria il pressappochismo che sotto la presidenza del secondo Bush lasciò al suo destino una metropoli come New Orleans. In un dibattito pre-elettorale in cui, seguendo la prassi ben collaudata negli USA e ora dilagante anche da noi, tutti i mezzucci sono utilizzabili per far colpo su quella minoranza che ancora vota, speculare su paure indotte dall’abilità dei manipolatori dei media sarebbe stato un artificio non peggiore di tanti altri. Non peggiore delle insopportabili scenette melense delle mogli dei candidati, con gli sguardi adoranti rivolti ai mariti, i buoni sentimenti esibiti per le famigliole raccolte attorno ai bimbi, quelle famigliole nidi di vipere e fonte di tanti redditi per gli avvocati. Non peggiore dei colpi bassi a danno del contendente, con la mobilitazione del gossip alla ricerca di scandaletti a sfondo sessuale o di poco limpide operazioni finanziarie.
Invece la minaccia era reale e Sandy ha colpito con durezza.
Si impongono tre considerazioni.
La prima è che se fenomeni atmosferici da sempre considerati esclusivi delle aree tropicali si verificano anche a latitudini come quelle europee, in zone temperate, o addirittura a latitudini decisamente settentrionali del nostro emisfero, la denuncia di chi rileva da tempo come i mutamenti climatici siano una realtà minacciosa e potenzialmente sconvolgente, è fondata.
La seconda è la dimostrata inconsistenza delle ipotesi sulla onnipotenza di una tecnologia statunitense capace di manipolare a proprio piacimento i fenomeni atmosferici per indurre disastri quali alluvioni o desertificazioni in aree dove vivono nazioni ostili all’impero. Siccità e vasti incendi avevano già colpito non solo la Russia che subì un’ondata di caldo eccezionale nell’estate dell’anno scorso, ma anche gli stessi USA, ripetutamente. Il tanto discusso programma HAARP, che preparerebbe gli scenari delle guerre future, combattute inducendo terremoti e disastri climatici sui Paesi nemici, attribuisce al potere militarista americano, nella mente di certi complottisti, un’onnipotenza che fortunatamente non ha. Si tratta di un complottismo che finisce con lo screditare anche quella ricerca seria di cause dei grandi fenomeni economici, politici e sociali, diverse da quelle conclamate. Una cosa è smascherare le menzogne sulla versione ufficiale dell’11 settembre, altra cosa fantasticare su apparecchiature capaci di produrre terremoti o uragani.
La terza è la constatazione che le forze della natura sono più potenti delle nostre previsioni e delle difese che possiamo mettere in atto. Confesso una certa soddisfazione nel rilevarlo. Pur non esitando a dichiararmi apertamente e visceralmente antiamericano, non è la soddisfazione di chi vede gli odiosi yankee puniti da una sorte di nemesi di origine divina. La nemesi che colpisce chi folgora dall’alto dei cieli, coi droni che volano di notte come di notte agiscono i ladri, macchine teleguidate da giovani tecnici che come in un videogioco, al sicuro in una base degli Stati Uniti, masticando chewing gum premono un pulsante e fanno scomparire case, persone, vita: macchine senza aperture, senza occhi che non siano elettronici, sigillate nella loro gelida efficienza.
Piuttosto si tratta del compiacimento di vedere ridimensionata la pretesa della tecnologia moderna di assoggettare tutto al proprio controllo. Lo spettacolo della furia degli elementi che sconvolgono New York ha qualcosa di profondamente simbolico. Evoca scenari, diventa emblema e segno. Possiamo dirlo con quella punta di cinismo che può permettersi un osservatore lontano. Ma il destino a cui richiamano quelle acque e quel fuoco, incombe su tutti.
Luciano Fuschini
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31.10.2012
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