SALVARE LA TERRA CON LA MUSICA ? MHHHH….

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DI CARLO GAMBESCIA

Il concerto globale “Live Earth”, organizzato dal liberal Al Gore, non è piaciuto al manifesto. E così domenica, lo ha liquidato con un titolo ironico, in prima pagina: “Canta che ti passa”. Siamo d’accordo anche noi. Magari però, fornendo alcune precisazioni.

In primo luogo, stando ai titoli di tutta evidenza dei grandi giornali italiani ( e non solo), può sembrare che queste manifestazioni, possano contribuire a diffondere, soprattutto tra i giovani, almeno un germe di consapevolezza, circa le non buone condizioni di salute del nostro pianeta. E invece no.

In realtà, è molto ingenuo sperare che “Live Earth”, stabilendo un circolo virtuoso, possa favorire la “Salvezza del “Pianeta Terra”. Come, per fare un esempio, è altrettanto ingenuo, se non ridicolo, augurarsi che certo revivalismo religioso televisivo, molto popolare negli Usa, possa contribuire allo stabile recupero della fede. La sociologia ci insegna, che quando ci si trova davanti a questi fenomeni sociali, si deve sempre distinguere tra stati d’animo, atteggiamenti acquisiti e comportamenti veri e propri. Alla partecipazione all’evento (come stato d’animo), deve perciò sempre seguire: a) un’interazione stabile, all’interno di un gruppo di riferimento (con gli stessi valori): b) una crescita culturale, possibilmente comune (insieme ad altri che condividano); c) un comportamento stabile, spesso a rischio, perché può essere definito non conformista, dagli altri gruppi sociali ( magari egemoni, e che la pensano diversamente).
Insomma, il mutamento socioculturale non un gioco o uno scherzo. E in genere implica il conflitto sociale. Perciò un concerto musicale, al massimo, può funzionare, come meccanismo d’avvio. Al consolidamento comportamentale serve ben altro.

In secondo luogo, c’è un’altra questione. Oggi, gli eventi, ad esempio le grandi manifestazioni musicali, sono programmati economicamente: sono un business. Bisogna prenderne atto. Esistono addirittura corsi di laurea e master in “organizzazione e gestione degli eventi”. E va anche ricordato, che il grande evento, così come lo intendiamo oggi, ha precise radici ideologiche nel Sessantotto e, ancor prima, in certo immaginario rivoluzionario novecentesco: è un portato di quell’idea di rivoluzione dei costumi senza rivoluzione politica violenta, che ha costituito per molti intellettuali sessantottini, poi venuti a più miti consigli, una sorta di approdo sicuro. Una normalizzazione dell’impegno politico precedente, appagante anche sotto l’aspetto economico. Cercheremo di essere più chiari.

Il Sessantotto, ha rappresentato per le generazioni del secondo dopoguerra, l’ultimo “epico” tentativo di coniugare romanticamente festa e rivoluzione, sulla scia della mitografia (post-moderna) della Rivoluzione d’ottobre. Tuttavia, nonostante poi sia fallito anche il Sessantotto, i rivoluzionari (o quasi), oggi imborghesitisi (proprio come Al Gore), continuano a bussare di porta in porta chiedendo dove sia la festa.

Di conseguenza, i grandi eventi, soprattutto quelli musicali, ma anche di forte impatto mediatico sono visti, e veicolati, come una specie di reiterazione sublimata, riveduta e corretta, e ovviamente innocua e perbenista della grande rivoluzione tanto sognata. Con quel pizzico di trasgressività che basta… Oggi, si usa addirittura dire, e non solo tra i giovani, che si va a un concerto, per ricaricare le “pile”… Ed è in genere proprio l’ intellettuale post-sessantottino ( ma sta anche formandosi una nuova generazione di cyborg del divertentismo a comando), ad occuparsi, lautamente retribuito, della gestione dell’immaginario ( o se si preferisce della “ricarica delle pile”). Si pensi a un fenomeno complesso come il veltronismo, con i suoi azzimati intellettuali, classe 1950, addetti al pane e alle rose.

Del resto, per la società capitalistica, sempre a caccia di nuovi profitti, anche l’ecologia, accoppiata alla musica, può diventare un buon affare. E, di riflesso, la rivoluzione ecologista, non tanto come conquista violenta del “Palazzo d’Inverno dei Consumi”, ma come “svolta” imposta dall’alto, (il cosiddetto sviluppo sostenibile), rischia di divenire un “evento” remunerativo, canoro e ludico, programmabile, inoffensivo e perfino incoraggiato dalle stesse autorità politiche.
Il che, in definitiva, non è un male, perché la violenza porta solo altra violenza, ma neppure un bene, perché il finto ecumenismo alla Al Gore, diluisce la politica – che è soprattutto conflitto – in un abbraccio universale che dura solo il tempo di un concerto o della lettura dei titoli dei giornali del giorno successivo.

Come dire: canta che ti passa. Appunto

Carlo Gambescia
Fonte: http://carlogambesciametapolitics.blogspot.com/
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09.07.2007

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