SABRA, SHATILA E L’AMNESIA COLLETTIVA

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DI GILAD ATZMON
Palestinethinktank

Waltz With Bashir è un nuovo eccezionale film israeliano, un documentario a figure animate diretto da Ari Folman

Nel 1982 (prima guerra libanese) Folman era un soldato di fanteria dell’IDF di 19 anni. Vent’anni dopo nel 2006, Folman scopre con sorpresa di non ricordarsi più niente di quella guerra né dei massacri di Sabra e Shatila. Il film è un viaggio nel passato perduto di Folman.

Il documentario è stato realizzato come una catena di animate conversazioni e interviste tra Folman e i suoi compagni militari, gli psicologi e Ron Ben Yishai, leggendario giornalista televisivo israeliano che fu tra i primi cronisti dei massacri di Sabra e Shatila. Lo sfondo serve a costruire una narrativa coerente del passato personale a partire dalle memorie frammentarie degli altri.

Il film è estremamente sensibile ed emotivamente coinvolgente. In un certo senso è un tentativo individuale molto coraggioso di affrontare il passato collettivo devastante di Israele, ed in particolare i massacri di Sabra e Shatila. Tuttavia ci viene chiesto di ricordare che i massacri nei campi profughi palestinesi seppure organizzati dall’esercito israeliano, furono fisicamente effettuati dai falangisti cristiani libanesi.

Ciò potrebbe spiegare come gli Israeliani siano così entusiasti del film. In primo luogo non furono loro stessi ad uccidere. E d’altra parte il fatto che il film gli piaccia li fa apparire come umanisti di prim’ordine. Starebbero presumibilmente affrontando il proprio passato oscuro.

Quando la notizia dei massacri fu diffusa dai media israeliani, PM Menachem Begin rispose con cinismo ai suoi critici: “gli Arabi uccidono gli Arabi, e gli Ebrei se ne danno la colpa vicendevolmente”. PM Begin riuscì in qualche modo a fare centro. A quanto pare gli Israeliani sanno affrontare facilmente un film critico sui massacri di Sabra e Shatila proprio perché si trattava di “Arabi che uccidono Arabi”. Va notato che Jenin, Jenin un film di Mohamed Bakri che racconta la storia del massacro di Jenin, un assalto omicida commesso dai soldati dell’IDF, non è stato affatto approvato dal popolo israeliano. Chiaramente gli Israeliani non vogliono apprendere i propri atti criminali da un concittadino che è per l’appunto, un Arabo.

In Waltz With Bashir, Folman è alla ricerca del suo passato perduto. Il suo primo passo è [il contatto con] il suo amico psicologo che riesce a dargli un valido insight. “La memoria” come dice lo psicologo “può essere molto creativa. Quando è necessario, si inventa un passato”.

Questo potrebbe aiutarci a comprendere le riflessioni di Folman e dei suoi compagni. Come ci si può aspettare, nel film il soldato dell’IDF è in un certo senso una vittima. Fa parte di una grande macchina bellica, “esegue gli ordini”. Il soldato individuale è impotente, non può fermare il massacro ma solamente riferirlo ai suoi superiori. In alternativa può “sparare e piangere” a posteriori oppure, come nel caso di Folman può affrontare amnesia o repressione.

Realizzato in modo bello ed intelligente, l’intero film è a figure animate consentendoci di presumere che qualsiasi memoria o narrativa dialogica passata possa essere una costruzione mentale. Tuttavia l’ultima scena del film è un vero filmato. Ci porta nei campi profughi devastati e nel pianto palestinese. Sta lì a dirci “Signori e signore, il seguente [filmato] non è una memoria personale. Questo filmato non è una decostruzione a figure animate. Questo è un REALE massacro che è successo sotto i nostri occhi”.

Ero anch’io un soldato dell’IDF in quel preciso momento e durante la stessa guerra. Seppure fossi lontano dall’essere un soldato di fanteria, alcune delle scene del film mi erano molto familiari. Mentre guardavo il film mi sono ritrovato a volte con le lacrime agli occhi. Questa guerra ha di certo cambiato la mia vita, quanto ha cambiato le vite di molte altre persone – degli Israeliani, i Palestinesi e dei Libanesi. Questa guerra ha lanciato un viaggio personale che mi ha portato infine a partire da Israele, con la decisione di non tornarci più. So di non essere l’unico Israeliano ad aver reagito così. Tuttavia me ne sono andato da Israele con la chiara determinazione di non essere parte di questo conflitto. Volevo allontanarmi, iniziare una nuova vita pacifica, dimenticare, essere innocente per la prima volta. Ovviamente non ci sono riuscito. Per una serie di ragioni che vanno ben oltre la mia volontà, sono adesso di gran lunga più coinvolto in questioni a che vedere con il discorso palestinese di quanto lo sarei mai stato in Israele.

Essendo rimasto travolto dalla qualità e dalla trasparenza del film, vanno fatte alcune considerazioni di carattere generale. Sembra che siano effettivamente gli Israeliani e gli Ex-Israeliani a produrre la critica più acuta ed eloquente di Israele, del Sionismo e dell’identità ebraica. Shlomo Sand, Israel Shahak, Ari Folman, Gideon Levi, Ilan Pappe, Oren Ben Dor, Eyal Sivan, Uri Avnery, Amira Hess, Avrum Burg, Daniel Barenboim, me stesso e altri, tutti noi indifferentemente consideriamo il conflitto israeliano come il nostro conflitto e come un conflitto dentro la nostra sfera di responsabilità diretta.

Potremo essere in disaccordo tra noi su molte questioni, ma siamo d’accordo su una cosa. Questo disastro in Palestina è uno stramaledetto nostro affare. Al contrario dei pochissimi sporadici Ebrei occidentali che risbucano rumorosamente una volta al mese per urlare collettivamente, “Non nel mio nome”, noi sappiamo che sfortunatamente viene tutto commesso nei nostri nomi. Ce ne vergogniamo tutti, ci sentiamo responsabili e insistiamo per fare qualsiasi cosa in nostro potere per portare un cambiamento. Presumo che questo basti a rendere la nostra voce pertinente e trasparente.

Sono andato a vedere la prima proiezione al London Jewish Festival. Il Festival viene sponsorizzato dal Governo israeliano, insieme ad un lungo elenco di organizzazioni sioniste di estrema destra. Ci si potrebbe chiedere perché gli istituti sionisti sostengano una così aspra critica di Israele. Posso suggerire un’unica risposta possibile. Israele vuole crearsi un’immagine di società aperta, liberale. Se ho ragione in questo, si è trattato di una decisione molto intelligente, sinistra e calcolata. Presenta gli Israeliani non solo come umanisti, ma riesce anche ad impiantare le istituzioni estremiste sioniste al centro del discorso della solidarietà con la Palestina.

Per lo più, finché Israele riuscirà a produrre una qualche forma di aspra autocritica, non sarà lasciato molto spazio alla critica da parte dei veri nemici di Israele. Per quanto possiamo disprezzare Israele e le istituzioni sioniste dovremmo accettarne la sofisticazione.

Dopo la proiezione al London Film Festival, c’è stata una breve intervista con David Polonski, direttore artistico del film. Gli ho rivolto una semplice domanda:

“Se gli Israeliani trovano così difficile ricordare quello che gli è accaduto appena 26 anni fa, come può essere che tutti gli Israeliani ricordano esattamente quello che è successo in Europa tra il 1942 e il 1944?”

Sorprendentemente, nonostante si trattasse di una assemblea ebraica e la mia fosse una domanda piuttosto provocatoria, nessuno nella stanza ha mostrato alcuna rabbia manifesta. Presumo che gli Ebrei una volta rimasti da soli, si pongano domande che eviterebbero di affrontare nell’ambito di una discussione pubblica. Tuttavia Polonski non è stato in grado di darmi realmente una risposta. Questo è più che comprensibile.

Il film tuttavia offre due possibili risposte, entrambe fornite dallo psicologo amico di Folman. La memoria è una costruzione che ha poco a che vedere con la realtà, dice lo psicologo. A quanto pare le istituzioni israeliane ed ebraiche come pure le persone individuali, sono molto produttive nel costruire e confezionare una memoria personale e collettiva della sofferenza ebraica. La sofferenza causata dagli Ebrei d’altra parte, è piuttosto repressa nella cultura contemporanea israeliana ed ebraica.

Più avanti nel film lo stesso psicologo suggerisce che l’amnesia di Folman potrebbe essere il risultato del suo scontro personale con l’Olocausto. “Ti sei scontrato con il massacro molto prima che avvenisse attraverso la ‘memoria di Auschwitz’ dei tuoi genitori”. In un certo senso questo insight risolve la ricerca di Folman. La sua repressione è iniziata molto prima di Sabra e Shatila.

Ancora una volta apprendiamo che lo stress post traumatico ebraico è effettivamente uno stress pre-traumatico. Lo schema mentale ebraico e israeliano è la preparazione istituzionale ad una tragedia che deve ancora succedere.

In un saggio precedente in cui si trattava del disturbo da stress pre-traumatico, ho definito tale stato mentale come segue:

“Nella condizione di disturbo da stress pre-traumatico, lo stress è il risultato di un evento fantomatico, un episodio immaginario ambientato nel futuro; un evento mai accaduto. Contrariamente al disturbo da stress post-traumatico (PTSD) in cui lo stress insorge come reazione diretta ad un evento che (potrebbe) aver avuto luogo in passato, nell’ambito della sindrome da stress pre-traumatico lo stress è chiaramente il prodotto di un potenziale evento immaginario. Nel caso del disturbo da stress pre-traumatico un’illusione svuota la realtà, e la condizione su cui la fantasia di terrore è incentrata diventa essa stessa una grave realtà. Portandola agli estremi, anche un programma di guerra totale contro il resto del mondo non sarebbe una reazione impensabile”.

Se lo psicologo amico di Folman ha ragione l’amnesia di Folman altro non è che un “disturbo da stress pre-traumatico”. L’amnesia di Folman degli eventi bellici viene spiegata come una repressione causata da una precedente memoria remota dell’Olocausto. Questa è certo la definitiva catarsi ebraica, il risveglio della tragedia (a venire) alla luce di una [tragedia] passata. Il trauma è posto a priori.

Se lo psicologo ha ragione, si potrebbe spiegare perché il film è piaciuto ai gruppi di Israeliani ed Ebrei presenti al London Film Festival. Il disturbo da stress pre-traumatico è l’essenza dell’esistenza ebraica, in cui l’essere al mondo si risolve nell’ottica del passaggio da tragedie passate a [tragedie] future. La vita ha un senso fintantoché siamo preparati nel timore e costantemente ad un nuovo disastro, alla luce di un altro vecchio.

La domanda che rimane per il pacifista entusiasta è la seguente “quali possibilità di pace lascia tale identità auto-distruttiva? Ovvero, come si può costruire la pace con un soggetto che è ossessionato dalla propria imminente distruzione?”
Non ho altra scelta che ripetere la vecchia barzelletta ebraica:

Il seguente è un telegramma ebraico:

Incomincia a preoccuparti, dettagli a seguire.

Gilad Atzmon
Fonte: http://palestinethinktank.com
Link: http://palestinethinktank.com/2008/11/15/gilad-atzmon-sabra-shatila-and-collective-amnesia/
16.11.08

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MICAELA MARRI

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