S.O.S: SALVARE UN PRESIDENTE !

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DI STEPHEN LEDMAN
Global Research

Nel primo anno di presidenza di George Bush, il Cook Political Report, ad ampia diffusione, aveva dato il seguente giudizio dei primi mesi di presidenza: “Guardando retrospettivamente ai suoi primi cinque mesi in carica, il Presidente George W. Bush, con la sua amministrazione, aveva avuto una partenza forte, di gran carriera, ma ora per lui il futuro appare ben lontano dall’essere certo. Non solo stanno crollando gli indici di gradimento sull’azione complessiva di Bush, ma gli indici della disapprovazione nei suoi confronti sono in piena ascesa e dopo un efficace avvio, gli ultimi tre mesi sono stati tutto meno che propizi per il nuovo Presidente. La buona notizia…è che hanno molto tempo a disposizione prima delle prossime elezioni presidenziali o di medio termine. La cattiva notizia è che hanno molto lavoro da fare per andare ai ripari e sarebbe meglio che cominciassero.” Costoro hanno sprecato il poco tempo a disposizione per fare questo, e nessuno (almeno l’opinione pubblica) immaginava in giugno quello che stavano progettando per il settembre successivo.

George Bush era entrato in carica con una percentuale di consensi attorno al 50%. All’inizio, questa era aumentata leggermente, poi era cominciata poco a poco a crollare, come ha suggerito Cook Report. L’11 settembre, cambiava tutto drammaticamente. La valutazione positiva su Bush istantaneamente balzava alle stelle, raggiungendo un livello momentaneo intorno al 90% e si stabilizzava sopra l’80% fino alla fine dell’anno. Questa grave giornata trasformava immediatamente un mediocre Presidente in quello che molti osservatori incredibilmente comparavano a Lincoln, a Franklin Delano Roosevelt, e a Churchill, considerati tutti insieme.

Il fatto risultava risibile e grottesco per questa patetica caricatura di Presidente e di uomo così poco amato, tanto da dovere chiaramente aggrapparsi a tutto, pur di evitare quello che a gran voce e in crescendo si sta chiedendo nel paese – la sua testa e la rimozione dalla carica per impeachment, insieme al Vice-Presidente Cheney.

Comunque, oggi George Bush si trova in una posizione per lo meno precaria. Egli insiste nel mantenere una politica fallimentare, di cui una maggioranza in espansione nel paese desidera vedere la fine. Come risultato, il suo indice di gradimento sta raschiando il fondo del barile nei sondaggi, anche in quelli presumibilmente “architettati” per nascondergli di avere conseguito valutazioni di stima le più basse di tutti i tempi, le più basse viste mai per un Presidente in carica. Dick Cheney è ancora meno fortunato, ad un livello di consensi appena del 12%. Che risulta essere il più basso di sempre per un presidente o un vice-presidente.

Tenendo presente tutto questo, ecco come valuta la situazione Cook Political Report, il 29 giugno 2007: “…dopo sei anni e mezzo di presidenza di George W. Bush, il “marchio” Repubblicano è stato malamente appannato. Come risultato, per i Repubblicani ci sarebbe bisogno di un’enorme dose di fortuna per conservare la Casa Bianca o riprendere il controllo del Senato o della Camera dei Rappresentanti, figurarsi poi di tutte e tre le istituzioni…il Partito Repubblicano avrà bisogno di un lungo e faticoso processo di ricostruzione; riconquistare la Casa Bianca o le maggioranze congressuali è cosa improbabile per il prossimo futuro.” Il documento allude ad una possibile apocalisse Repubblicana, anche se sottolinea come i Democratici non siano riusciti a mettere fine alla guerra in Iraq, abbiano conseguito uno solo dei sei punti più importanti della loro piattaforma elettorale, (l’aumento del salario minimo federale), e per questo siano stati anche oggetto di dileggio.

Con 18 mesi da gestire, cosa deve fare un Presidente per resistere, per “trattenere la palla” e abbandonare la carica mediante il normale processo standard al termine del suo mandato, non come risultato di una votazione del Senato che lo destituisce prima della scadenza attraverso il “Concorso (richiesto) dei due terzi dei Membri presenti”? – impresa dura da realizzare, come la storia dimostra.

Questa situazione caratterizza George Bush e il suo “generalissimo” braccio destro e gli altri Alti Ufficiali al comando in Iraq. Secondo un assurdo proclama dei primi di aprile, costoro continuano a chiedere ancora tempo, insistono che la disastrosa “marea” è all’opera, affermano che la “marea del terrore” ha proprio bisogno di opportunità, e che ritirarsi troppo presto scatenerebbe un bagno di sangue del tutto simile ai campi di massacro Cambogiani. Non menzionato è il continuo bagno di sangue provocato dalla presenza Statunitense, strage che non vedrà la fine finché tutte le forze Americane e le altre forze ostili straniere non saranno ritirate.

Quello che è avvenuto, secondo recenti documenti della National Review Online (Rassegna Nazionale Online) e di altre fonti, è che l’amministrazione intende intensificare la sua forza sul terreno, non decurtarla. Devono essere immesse più truppe, e l’Air Force sta aumentando la sua macchina bellica. Viene reimpiegato il potente bombardiere B1, in grado di trasportare 24 tonnellate di bombe e di compiere bombardamenti multipli, di giorno e/o di notte. È stato inviato uno squadrone di aerei d’attacco A-10 “Warthog”, in aggiunta agli F-16C Fighting Falcons. Azioni di bombardamento sono state drammaticamente intensificate, e il livello di violenza, morte e distruzione è cresciuto a dismisura. Anche la Marina da Guerra sta contribuendo, visto che la portaerei Enterprise è stata inviata nel Golfo per aggiungersi alle due già esistenti della Quinta Flotta. Inoltre, negli ultimi mesi, l’Air Force ha moltiplicato il suo impegno in azioni di intelligence, sorveglianza, ricognizione (ISR) con l’utilizzo di droni Predator, in grado di colpire obiettivi e di operare spionisticamente, di U2 per grandi altezze, e di sofisticati aerei AWACS.

Tutto questo dimostra quello che succede sul terreno e che si riflette all’interno del paese. Il Congresso può dibattere su tutto quello che desidera. Ma non viene pianificato alcun ritiro dall’Iraq, anzi il conflitto sta per aggravarsi, e il solo problema sul tavolo è quello di spacciare l’attuale corso degli avvenimenti alla pubblica opinione, con un Congresso, già consenziente, che mostra di discutere solo per mostra, non per davvero. Il vergognoso imbroglio è iniziato attraverso il metodo antico, già sperimentato e preciso, vincente, di terrorizzare la gente a morte per andare avanti, e in questo caso perfino con intimidazioni.

George Bush prosegue la Guerra contro il Primo Emendamento

Il 17 luglio, George Bush promulga “a titolo personale” un altro dei suoi importanti decreti presidenziali dal titolo “Ordine Esecutivo: Bloccare le proprietà di quelle persone che minacciano gli sforzi di stabilizzazione in Iraq.” Più di ogni altro Capo dell’Esecutivo nella storia della nazione, questo Presidente abusa di questa pratica in modo grossolano, come altro esempio del suo disprezzo per la legge.

L’economista e giornalista Ferdinand Lundberg (1905 – 1995) scriveva nel suo libro istruttivo e di estrema importanza “Cracks in the Constitution – Strappi nella Costituzione”: “la Costituzione degli Stati Uniti in nessuna parte implicitamente o esplicitamente assegna al Presidente poteri per emanare nuove leggi”, attraverso l’emissione di decreti di ordine esecutivo “a titolo personale, spesso di larga portata”. Comunque, Lundberg aggiunge che “il Presidente, nel sistema costituzionale Americano è de facto molto vicino ad un monarca…di gran lunga il più potente amministratore politico sulla terra, formalmente eletto.” Egli ha “un ampio potere e si trova in una posizione intermedia fra un direttore generale della collettività (come nel sistema Britannico) e un dittatore assoluto.” Lundberg scriveva queste frasi più di 27 anni fa, quando George Bush era occupato a fare milioni, ( il risultato di compiacenti salvataggi finanziari di sue imprese in difficoltà), attraverso successive speculazioni affaristiche sul petrolio, che però facevano fiasco.

Le relazioni famigliari di George Bush lo salvavano negli affari, a dispetto della sua inettitudine, e alla fine gli consegnavano il grande premio della Presidenza, che lui sfruttava a pieno e ancoralo sta facendo a questo momento. Per lui, e per quelli che gli stanno attorno, la legge è solamente un artefatto da utilizzare, da oltraggiare o da ignorare a loro piacimento. In primo luogo, ha usurpato il potere “Esecutivo Unitario”, pretendendo che la legge sia quello che lui dichiara sia, e in sei anni e mezzo in carica ha emanato di suo pugno più di 800 decreti, più di tutti i Presidenti del passato messi insieme. La conseguenza è che ha allargato i poteri presidenziali, (già immensi, come aveva spiegato Lundberg), a spese delle due altre branche del potere esecutivo, spostando pericolosamente questo verso un’autorità esecutiva illimitata, altrimenti conosciuta come tirannia.

La Costituzione non presenta articoli sul potere “Esecutivo Unitario” o sul diritto di un Capo dell’Esecutivo di emanare decreti con la sua firma, che non abbia impedito a questo Presidente di procedere a suo piacere. Quindi, non esiste alcuna autorizzazione per emanare Ordini Esecutivi, come ben sottolineato, al di là della seguente vaga indicazione, come indicato da Lundberg, che sintetizza “l’essenza del potere presidenziale…in unica frase.” Nello specifico, l’Articolo II, sezione 1 recita: “Il potere esecutivo dovrà essere conferito al Presidente degli Stati Uniti d’America.” Questa semplice asserzione, tranquillamente glissata e malamente interpretata, significa che il potere quasi senza limiti di questa carica “è concentrato nelle mani di un solo uomo.” Poi, l’Articolo II, sezione 3, quasi con noncuranza, aggiunge: “Il Presidente deve farsi carico che le leggi siano fedelmente messe in esecuzione”, e non afferma che i Presidenti hanno effettivi pieni poteri di fare le leggi, così come di metterle in esecuzione; nulla nella Costituzione specificatamente consente questa procedura.

George Bush mette in atto assoluti abusi nell’ambito e fuori della legge. Il suo Ordine Esecutivo del 17 luglio rappresenta uno di questi abusi in questione, però particolarmente grossolano e pericoloso. Così comincia: “Il potere Presidenziale deriva dall’autorità a me conferita come Presidente dalla Costituzione e dalle leggi degli Stati Uniti d’America”; inoltre Bush si appella anche all’ International Emergency Economic Powers Act. Poi, l’Ordine continua: “….dovuto alla minaccia inusitata ed eccezionale alla sicurezza nazionale e alla politica estera degli Stati Uniti, provocato da atti di violenza che minacciano la pace e la stabilità dell’Iraq e minano gli sforzi per promuovere la ricostruzione economica e la riforma politica in Iraq e per fornire assistenza umanitaria in favore del popolo Iracheno.”
George Bush ha usurpato l’autorità di criminalizzare il movimento contro la guerra, ha reso illegale il diritto alla protesta assicurato dal Primo Emendamento, si è arrogato il diritto di confiscare i beni delle persone che violano questo Ordine.

Inoltre, alla stessa data, in un messaggio inviato al Congresso, George Bush affermava:

— “….Con il presente documento vi informo che ho emanato un Ordine Esecutivo che blocca i beni delle persone determinate nell’aver commesso, o di essere poste nel significativo rischio di commettere un atto o atti di violenza con lo scopo o l’effetto di minacciare la pace o la stabilità dell’Iraq o del Governo Iracheno o di minare gli sforzi per promuovere la ricostruzione economica e la riforma politica in Iraq o di fornire assistenza umanitaria al popolo Iracheno.”

In buona sostanza, il 17 luglio 2007, George Bush, con queste sole parole, e in violazione della Costituzione, criminalizzava il dissenso. Nel fare questo, Bush ha trascinato la nazione ad un passo più vicino ad una tirannia conclamata, con una stretta ad altre misure certamente a seguire. Di fatto, i media dominanti non hanno riferito nulla su tutto questo, nemmeno spiegheranno o esprimeranno preoccupazioni, quando Americani rispettosi della legge verranno arrestati e puniti per avere protestato contro guerre illegali in territorio straniero, scatenate da questa criminale amministrazione. Al contrario, è ben avviato il tentativo, sotto gli occhi di tutti, di una stampa cortigiana che giustifica tutti i prodromi e gli indicatori di ciò che potrebbe succedere.

Diffondere notizie allarmistiche diventa indispensabile

Il 7 luglio, l’ex Senatore della Pennsylvania Rick Santorum prendeva parte al programma radiofonico Hugh Hewitt. Egli veniva presentato dal conduttore come “uno dei nostri Americani più illustri”, non lasciando alcun dubbio dove si posiziona Hewitt.
Santorum, malgrado si presentino sul terreno situazioni senza speranza, arrivava a mettere sulla graticola la mancanza di risoluzione dei suoi ex colleghi che chiedevano di fermare il corso degli avvenimenti in Iraq. Inoltre non perdeva l’occasione di andare più oltre, sostenendo che “affrontare l’Iran è un assoluto passaggio obbligato per i nostri successi in quella regione,” che l’11 settembre ci ha insegnato che gli “Islamisti” devono essere affrontati, che costoro vogliono “soggiogare quella regione del mondo e presto mettere piede sul nostro gradino di casa, se non bloccati, e questo da adesso a novembre; stanno per succedere avvenimenti che forgeranno nel pubblico una opinione decisamente diversa di questa guerra…a causa…di molti eventi decisamente sfortunati, come quelli che stiamo vedendo accadere in Gran Bretagna.”
Rick Santorum è a conoscenza di qualche fatto che il pubblico non sa, e cosa lo ha autorizzato a diffondere questo allarmismo?

Un altro avvertimento arrivava il 10 luglio dal Ministro della Sicurezza Michael Chertoff, che praticamente rendeva noto ad un incontro con il comitato di redazione del Chicago Tribune che era in preparazione un altro rilevante attacco terroristico, alla fine o dopo questa estate, per il fatto che “sentiva sulla sua pelle” il periodo che precedeva un rischio in aumento. Fondando le sue valutazioni su una segreta azione di intelligence, (come sempre), e sulla base dei “disegni terroristici in Europa”, Chertoff aggiungeva: “L’estate sembra essere favorevole ai terroristi e noi siamo preoccupati che costoro stiano riorganizzando le loro attività. Io penso che in questa estate stiamo entrando in una fase di rischio accresciuto.”

Inoltre, Chertoff faceva la sua comparsa in un certo numero di programmi televisivi per esporre in dettaglio le sue “sensazioni di pelle”, usando a mani basse le scoperte di auto-bomba a Londra il 29 giugno, probabilmente una messa in scena, a cui faceva seguito il 30 giugno l’incidente all’aeroporto di Glasgow, che poteva essere stato solo un disgraziato incidente. Con nessuna credibile prova delle sue affermazioni, nonostante tutto, Chertoff dichiarava: “L’Europa potrebbe diventare la piattaforma di lancio di attacchi contro questo paese.” Di fatto, gli incidenti Britannici potevano essere stati una messa in scena per alimentare la paura in Gran Bretagna e quindi anticipatori di un importante evento terroristico domestico in un prossimo avvenire.

Maureen Dowd del The New York Times cercava di fare luce sulle affermazioni del Ministro, ritenendo che Chertoff dava l’impressione di essere “più un meteorologo che un uomo a cui era stato affidato il compito della nostra sicurezza.”

Il compito di Chertoff non è quello di “tenerci al sicuro”, la Dowd dovrebbe ben saperlo, e il tentativo di questa all’umorismo non risulta divertente. Le osservazioni di Chertoff devono essere prese in modo serio. Evidenziando per tempo uno o più eventi terroristici, forse imminenti, forse molto importanti, queste dichiarazioni sono rese per segnalare una variazione di clima politico.

Tutto ciò potrebbe servire a resuscitare un debole Presidente, nella stessa maniera in cui era avvenuto con l’11 settembre, anche se questa volta nessuno potrebbe osare di affermare che George Bush costituisca il concentrato risorto di Lincoln, Franklin Delano Roosevelt, e Churchill, o qualcosa che gli rassomigli.

Ancora più allarmismo

Pronto a giocare il loro ruolo guida di iperventilazione sul fuoco, il sistema corporativo dei media diffonde l’idea di un attacco a sorpresa terroristico estivo, a preparare in anticipo la pubblica opinione per quello che potrebbe arrivare, e di accettare in risposta le conseguenze di un’America stato di polizia.

ABC News forse è stato il primo a gonfiare la storia, citando una recente analisi del FBI sui messaggi di Al-Queda, analisi che lancia un allarme sul “loro intento strategico di colpire gli USA all’interno e gli interessi USA nel mondo, che non dovrebbe essere preso sotto gamba come un rumore di fondo puramente ingannevole.”

Poi, il 15 luglio, per coincidenza, ha fatto la sua comparsa il “Nemico Numero Uno”, bin Laden, in un videotape on line non datato. Portava questo titolo: “Venti di Martirio” e presentava bin Laden che declamava: “Felice è colui che viene scelto da Allah per essere martire.” In realtà, il filmato appariva come un vecchio spezzone o un rappezzamento di frammenti messi insieme da messaggi precedenti, riorganizzati per apparire un documento recente, e messo in diffusione pubblica due giorni dopo che il Senato aveva raddoppiato la taglia su bin Laden a 50 milioni di dollari.

Questo avveniva tre giorni dopo che l’Associated Press AP, il 12 luglio, riferiva che gli analisti dell’intelligence USA avevano concluso che Al-Queda aveva ricostituito la sua capacità operativa a livelli mai visti, se non prima dell’11 settembre, e “stava rinnovando gli sforzi per infiltrare cospiratori terroristi all’interno degli USA”, in aggiunta a quelli sicuramente già presenti.

Inoltra, AP citava una stesura di una Valutazione Preventiva da parte dell’Intelligence Nazionale “che ipotizzava, (ed ora viene diffusa come conferma), un quadro, sempre più inquietante, della capacità da parte di Al-Queda di usare le sue basi lungo il confine Pakistan-Afghano per provocare e lanciare attacchi, anche se funzionari dell’amministrazione Bush asseriscono che gli USA sono più sicuri ora, dopo quasi sei anni di guerra contro il terrorismo.”

Gonfiando la minaccia futura, AP faceva menzione di importanti valutazioni “classificate (segrete)” nel documento che pretendeva che Al-Queda “probabilmente sia alla ricerca di armi chimiche, biologiche o nucleari, per poi usarle quando i suoi agenti segreti abbiano sviluppato sufficienti capacità.” Inoltre, gli USA dovranno affrontare “una persistente, e sempre in sviluppo, minaccia terroristica (Islamica)” per i prossimi tre anni.

Con una dichiarazione chiaramente arrivata al momento opportuno, e motivata politicamente, il 17 luglio venivano divulgati “importanti giudizi” di Valutazione Preventiva (non più segreta) da parte dell’Intelligence Nazionale, in combinazione con opinioni di agenzie di spionaggio dell’amministrazione Bush, rilasciate il 16 luglio. Il tutto era intitolato: “La Minaccia Terroristica contro la Patria USA”, e presentava le seguenti rivelazioni, incluse quelle rimaneggiate in precedenza, in aggiunta a quelle già citate:

— Al-Queda ha “recuperato elementi chiave per la loro capacità di aggredire la Patria USA;”

— l’Iraq ha rafforzato Al-Queda che “potenzierà i contatti e le risorse” per attaccare il territorio Statunitense;

— Al-Queda e i suoi agenti in Iraq infonderanno energie alla comunità Sunnita più marcatamente estremista e la aiuteranno a reclutare e ad indottrinare nuovi adepti;

— malgrado la riorganizzazione di Al-Queda, dal 2001 gli sforzi USA contro il terrorismo in tutto il mondo hanno impedito agli estremisti Islamici di aggredire il suolo Americano; nonostante ciò, Al-Queda rimane una seria minaccia per il futuro e verosimilmente concentra le sue mire su obiettivi di alto profilo politico, economico e infrastrutturale per ottenere il massimo di vittime, una distruzione visivamente drammatica, con conseguenti shock economici e una opinione pubblica terrorizzata; — Al-Queda ha ripristinato la sua potenzialità di attaccare il territorio USA ed agisce liberamente nelle Aree Tribali Federativamente Amministrate del Pakistan (FATA);

— inoltre, altri gruppi terroristici Musulmani, e non-, costituiscono un pericolo esterno e possono prendere in considerazione di attaccare il territorio USA. Gli Hezbollah del Libano stanno in cima alla lista dei gruppi Musulmani citati. Anche il Fronte di Liberazione della Terra, definito un gruppo violento ambientalista, fa parte dell’elenco.

Nella sua conferenza stampa del 12 luglio, George Bush ha resuscitato lo spettro della minaccia di Al-Queda contro gli USA, citando il documento di intelligence summenzionato, come prova presunta. Con ciò, ha resuscitato una preziosa idea, da tanto tempo sorgente di molti dubbi: “La gente che ora sta bombardando il popolo innocente dell’Iraq è la stessa che ci ha attaccato in America, l’11 settembre. Qui in casa, dobbiamo renderci sicuri rispetto a coloro che hanno provocato ciò che sta avvenendo in Iraq.”

Naturalmente, non vengono mai menzionate dal sistema di informazioni le connessioni, da lungo tempo stabilite, fra “il Nemico Numero Uno”, bin Laden, Al-Queda e le strutture spionistiche degli USA e alleati, e come queste siano state usate nella fraudolenta “Guerra al Terrorismo” per manipolare e spaventare l’opinione pubblica, abbastanza da farle condividere qualunque avvenimento.

Ponendo in rilievo la possibilità di una rilevante aggressione terroristica contro il territorio USA, questi commenti, queste Valutazioni Preventive rese pubbliche dall’Intelligence Nazionale, queste incendiarie considerazioni da parte di dirigenti come Michael Chertoff, in associazione con il sistema dominante dei media che soffia sul fuoco, effettivamente attizzano il pubblico terrore. Questo può provocare un Allarme a Codice Rosso, che segnala il livello di minaccia terroristica più alto, e probabilmente l’Allarme sarà seguito da una sospensione della Costituzione, dall’imposizione della legge marziale e dalla fine della Repubblica. L’autorità della legge verrà sospesa, il dissenso non sarà più oltre tollerato, (è di già illegale), l’esercito e le altre forze di sicurezza saranno impegnati sul territorio USA in azioni di forza, se necessario, e uno stato di polizia, fascista, conclamato apertamente, da allora in poi verrà di fatto imposto.

È una conclusione più vicina di quanto si possa immaginare, in un tentativo di salvare la presidenza di Bush, che continua ad indebolirsi e implora con insistenza una via di uscita dalla sua imbarazzante situazione. Già in precedenza si erano messi all’opera sull’11 settembre, ed ora possono farlo a viso scoperto, in modo anche più persuasivo, in favore di un Presidente disperato abbastanza da tentare il tutto per tutto, per arrivare alla fine del suo mandato, lasciare la carica di sua spontanea volontà, e dare una ripulita a quello che ha perso della sua immagine offuscata.

Questo è ciò che il nostro avventurismo militaresco e la nostra risoluta aspirazione all’Impero ci hanno procurato. E questo non deve essere preso alla leggera, perché, se dovesse arrivare, non succederà tanto in là nel tempo. È adesso l’ora di smascherarli e di fermarli, e l’indicazione di Michael Chertoff per la fine dell’estate rapidamente sta quasi arrivando al traguardo.

Una “Catastrofica Emergenza in Patria” per giustificare l’aggressione all’Iran

Il puntare il dito dell’amministrazione Bush contro l’Iran, indicato come una minaccia alla sicurezza USA, è tanto privo di fondamento quanto sono state per la guerra contro l’Iraq le menzognere affermazioni sulle armi di distruzione di massa di un dittatore pericoloso. Questa è la stessa motivazione per cui Washington ha desiderato il cambiamento di regime nella Repubblica Islamica dell’Iran, dal momento in cui la rivoluzione del 1979 aveva deposto lo Scià Reza Pahlavi, rimesso sul trono al potere dagli USA in seguito ad un colpo di stato istigato dalla CIA nel 1953 contro il democraticamente eletto Mohammed Mossadegh.

L’amministrazione Bush ha lievitato attualmente i suoi sforzi, per prima cosa denunciando il legittimo programma Iraniano sul nucleare ad uso civile, pretesto appena velato, senza mai menzionare che era stato Washington, durante il regno dello Scià, ad incoraggiare gli Iraniani a sviluppare la loro industria per l’energia nucleare ad uso commerciale. Questo non può essere rivelato, dato che farlo sarebbe smascherare l’ipocrisia dell’attuale amministrazione guerrafondaia e fonte di allarmismo.

Attraverso la pratica usuale di corruzioni e prepotenze, l’amministrazione ha portato il Consiglio di Sicurezza ad agire per suo conto. Nel luglio 2006 è passata la Risoluzione ONU 1696, che pretendeva dall’Iran la sospensione dell’arricchimento dell’uranio, a partire dal 31 agosto. Al rifiuto dell’Iran, nel dicembre 2006 veniva votata la Risoluzione 1737, che imponeva sanzioni limitate, poi rese più restrittive nel marzo 2007 con la Risoluzione 1747. Questa imponeva l’interdizione alla vendita di armamenti ed allargava al paese un blocco delle attività, malgrado l’insistenza dei dirigenti Iraniani, (in assenza di prove a contraddirli), che il loro programma nucleare era del tutto pacifico e completamente in accordo con il Trattato di Non-Proliferazione Nucleare (NPT).

Tuttavia, da parte di Washington continua una dura retorica con George Bush che esercita pressioni per sanzioni aggiuntive, (contro un’altra banca Iraniana e contro una grande industria di progettazione ingegneristica di proprietà dell’esercito), mentre nel contempo sta imbrogliando su una minaccia inventata di un programma nucleare commerciale Iraniano, non diverso da quelli di altri stati firmatari del NPT.

L’Iran è stato paziente, ma subito, e fino ad ora, ha rifiutato di consentire agli ispettori della IAEA, (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica), di visitare il reattore ad acqua pesante di Arak. In uno spirito di cooperazione, e di fronte ad un possibile attacco preventivo da parte degli USA e/o di Israele, la visita è stata programmata per la fine di luglio. Inoltre l’Iran ha rallentato il suo programma di arricchimento di uranio in una dimostrazione di buona fede e ha concordato di rispondere ai quesiti riguardanti gli esperimenti già condotti presso i suoi impianti, per disinnescare la minaccia di più dure sanzioni ed evitare un possibile attacco, prospettiva reale e forse imminente.

Appena l’Iran ha dimostrato questa buona volontà di cooperazione e di non costituire minaccia per alcun paese, l’amministrazione Bush ha rinunciato al NPT e al suo cruciale Articolo VI, che impegna le nazioni nucleari a mettere in atto sforzi di “buona fede” per eliminare i loro arsenali atomici, poiché averli innalza il rischio di usare le armi nucleari, mettendo in pericolo il pianeta. Mentre l’Iran desidera la pace e la non-proliferazione nucleare, l’amministrazione Bush persegue un’agenda sconsiderata, che prevede quanto segue:

— pretende il diritto di sviluppare nuovi tipi di armi nucleari, e di non eliminare quelle già in possesso;

— ha rinunciato al NPT, pretendendo il diritto di sviluppare e testare nuovi tipi di armi;

— ha abbandonato il Trattato contro i Missili Antibalistici (ABM);

— ha rescisso e sovvertito la Convenzione sulle Armi Biologiche e Tossiche;

— ha rifiutato di prendere in considerazione un Trattato di Interdizione del Materiale Fissile, che vuole impedire che bombe nucleari vadano ad aggiungersi agli attuali depositi, già troppo pericolosamente colmi;

— le sue spese militari sono le più alte che nel resto del mondo, con grossi aumenti pianificati per il futuro, a partire dall’Anno Finanziario 2008, senza discussione e con la sicurezza di un’approvazione;

— pretende il diritto di intraprendere guerre preventive, secondo la dottrina illegale e terrorizzante dell’“autodifesa preventiva” con l’uso di armi nucleari di “primo colpo”.

Di fatto, mentre l’Iran non minaccia nessuno, l’America minaccia l’intero pianeta, e la comunità mondiale sopporta in silenzio davanti ad un potenziale disastro, se gli USA, sicuri di farla franca, scatenassero una guerra nucleare. Quale altra nazione oserà sfidare l’unica superpotenza mondiale rimasta, malgrado le possibili orrende conseguenze derivate da un tale atteggiamento sprezzante?

Spaventare l’Opinione Pubblica a Morte – Atto II

Un’altra campagna, già vista in precedenza e già screditata, ora sta nuovamente riscaldando gli animi, sebbene il Ministro degli Esteri Britannico, David Milliband, non abbia tenuto troppo in conto la sua credibilità in un’intervista dell’8 luglio al Financial Times.

Questa campagna mette in risalto, ma senza produrre prove credibili, anche perché non ve ne sono, le asserzioni e la retorica ostile degli USA su Reparti “Quds” della Guardia Rivoluzionaria Iraniana che stanno fornendo armi, finanziamenti ed addestramento agli Sciiti e ad altri combattenti della resistenza in Iraq e in Afghanistan.

Inoltre viene aggiunto che: “Gli istruttori dei Reparti “Quds” e di Hezbollah hanno addestrato in campi nei pressi di Teheran approssimativamente dai 20 ai 60 Iracheni per volta. Gli Hezbollah Libanesi…come mandanti o di supporto in Iraq.”

Michael Gordon, giornalista del New York Times, su una linea di difesa da falchi (riprendendo dal punto in cui la ignominiosa Judith Miller aveva lasciato), ha concluso “che l’Iran si è impegnato per anni in una guerra per procura contro le forze Americane e del governo Iracheno”.

Questo tipo di linguaggio guerrafondaio sulla prima pagina del New York Times soffia sul fuoco in favore di una analisi logica di autodifesa, che induce ad una futura aggressione militare contro lo stato Iraniano, basata su false considerazioni, come le giustificazioni di Gordon.

Ciò indica la direzione verso cui si sta andando e sembra confermare quello che il London Guardian ha riportato, che una fonte “ben accreditata” a Washington di recente aveva affermato che “Bush non avrebbe abbandonato la carica con ancora l’Iran nel limbo, in uno stato di indeterminatezza”.

Sono le labbra di Bush a muoversi, ma sono le parole di Dick Cheney che vengono pronunciate, le sue e di quelli che gli stanno intorno, (come Elliott Abrams, criminale Iran-Contra, fanatico sostenitore di Israele, e consigliere deputato alla sicurezza nazionale), che da tanto sono favorevoli ad una azione militare diretta contro l’Iran, compreso l’uso di armi nucleari.

Secondo fonti del Guardian, “A Washington la bilancia non è più in equilibrio”, con George Bush sul bordo con il suo vice-Presidente, che, come sanno i ben informati, comanda con tutta rilevanza nel Campidoglio Nazionale.

Il Guardian riferiva che il direttore delle ricerche dell’Istituto Internazionale di Studi Strategici, Patrick Cronin, affermando che “Cheney ha posto un limite alla fuga di capitali, (una affermazione verosimilmente poco chiara), e, se usasse questi capitali per uno scopo mirato, (ad esempio per attaccare l’Iran), egli potrebbe ancora avere una forte influenza.”

Nel Golfo, gli USA hanno una formidabile forza d’urto solamente a questo scopo, con due raggruppamenti di mezzi di trasporto truppe, 50 o più navi da guerra dotate di armamento nucleare, centinaia di aeroplani e contingenti di Marines e di personale della Marina Militare.

I piani di battaglia sono già da tempo predisposti, (e naturalmente aggiornati alle necessità), secondo il codice, o nome delle operazioni, TIRANNT per Theater Iran Near Term – Teatro Iraniano Prossimo a Scadenza.

Se si arrivasse ad un attacco, questo partirà dalla task force Navale del Golfo e vedrà l’utilizzo anche di bombardieri a largo raggio e di altri aerei da guerra e di missili di stanza in Iraq e in postazioni strategiche, come la base di Diego Garcia, dentro un raggio di azione per cui risulta facile raggiungere i siti bersaglio.

La possibilità che ciò accada fa spavento, mentre, secondo un “Ordine Provvisorio di Allerta per un Attacco Globale” top secret e il CONPLAN 8022 (piano per le emergenze), Washington ribadisce il diritto di colpire preventivamente obiettivi in ogni parte del mondo, usando armi nucleari definite di “bassa cessione”, estremamente potenti, “distruggi bunker”, con l’Iran a costituire evidentemente il primo bersaglio della lista.

La sola buona notizia dal Guardian, (se corretta), è che “Nessuna decisione su un’azione militare è prevista fino al prossimo anno”, con il Dipartimento di Stato che continua per ora a perseguire le vie diplomatiche – cosa che può esattamente costituire una cortina fumogena diversiva per quello che è stato già pianificato.

Il 17 luglio, la Reuters riportava le dichiarazioni dell’Ambasciatore USA a Kabul, William Wood,: “ Certamente molte munizioni che finiscono nelle mani dei Talebani arrivano dall’Iran. Noi riteniamo che la quantità e la qualità di queste armi siano tali che il governo Iraniano non possa non esserne a conoscenza.”

Il Ministro della Difesa Robert Gates aveva reso una identica dichiarazione un mese prima, aggiuntiva ad altre comunicazioni sull’Iran, come questo stia fornendo aiuti agli Sciiti, ad altri combattenti “militanti” ed a elementi di “Al-Queda” in Iraq, agli Hezbollah in Libano, e ad Hamas a Gaza.

Tehran respinge queste accuse come “prive di fondamento e illogiche”, replicando ovviamente che a causare l’instabilità in quelle regioni è la presenza militare USA in Iraq e nell’Afghanistan e l’appoggio unilaterale di Washington per Israele.

Gli USA sono alla ricerca forte di un pretesto per colpire la Repubblica Islamica, ma il governo Iraniano non è disponibile a fornirlo. Infatti, sta facendo l’opposto, cooperando con la IAEA e continuando ad affermare la sua volontà di impegnarsi in costruttive trattative diplomatiche con l’amministrazione Bush.

Il 16 luglio, l’Iran ha fornito indicazioni sulla possibilità in un “vicino futuro” di un’altra ripresa delle consultazioni con Washington, collegate alla sicurezza rispetto alla questione Irachena.

[Nota del traduttore: da il Manifesto del 5 agosto 2007. Rappresentanti di Iran, Iraq e Stati Uniti si incontreranno domani, 6 agosto, per discutere i dettagli di un comitato “trilaterale” per la sicurezza in Iraq. La cosa in sé è notevole, e non solo perché Tehran e Washington hanno rotto le relazioni diplomatiche nel 1980 e da allora hanno relazioni più o meno fredde: in questo momento gelide. Il fatto è che nell’ultimo anno i comandanti USA in Iraq hanno accusato l’Iran di fornire armi alle milizie Sciite che attaccano le forze USA. Domani però si accorderanno su un comitato congiunto per riportare la sicurezza in Iraq.

L’incontro di domani è il terzo tra i “due grandi nemici”. Dopo quelli tenuti a Baghdad in maggio e poi il 24 luglio. Ed è al termine del secondo incontro che Stati Uniti ed Iran (tramite i rispettivi Ambasciatori in Iraq) e il governo Iracheno hanno deciso di formare un comitato trilaterale per trattare questioni come l’attività delle milizie armate e la presenza di Al-Queda in Iraq. Domani entreranno nei dettagli per stabilire la composizione e l’ordine dei lavori del comitato, secondo quanto ha dichiarato ieri l’Ambasciatore Iraniano a Baghdad Hassam Kazemi-Qomi all’agenzia Irna. Non ha specificato chi parteciperà all’incontro.

A prima vista, i ripetuti incontri e la formazione di un comitato congiunto contrastano con i toni da guerra fredda invalsi nelle relazioni fra Tehran e Washington. Le accuse americane all’Iran sono andate in crescendo, con anche gesti propagandistici, come quando, mesi fa, i comandi USA hanno diffuso disegnini di sofisticati ordigni smontabili secondo loro preparati in Iran ed usati contro i mezzi americani. In gennaio soprattutto le forze USA hanno arrestato ad Erbil, nel Kurdistan Iracheno, quattro addetti consolari Iraniani, accusandoli di essere in realtà ufficiali delle Guardie della Rivoluzione che agivano come agenti del traffico di armi (l’accusa è stata formalizzata solo più tardi ed è oggi una carta in mano a Washington nel contenzioso contro Tehran). Se le forze USA hanno prove circostanziate delle loro accuse, certo è che non le hanno mai presentate.

Poi però Washington ha accettato di avviare incontri diretti con Tehran – precisando che l’unico tema sarebbe stata la sicurezza in Iraq, dunque non il contenzioso sul programma nucleare Iraniano ne’questioni bilaterali di altra natura. Dunque, da un lato c’è la campagna, altamente pubblicizzata, sulle presunte forniture di armi Iraniane alle milizie; dall’altro c’è una richiesta molto più pragmatica: che Tehran usi la sua influenza presso le varie forze Sciite Irachene perché queste riducano gli attacchi contro le forze americane. Lo si desume da quanto dichiarava l’Ambasciatore USA a Baghdad Ryan Crocker al termine dell’incontro del 24 luglio: l’amministrazione di Washington, ha detto al reporter, considera l’Iran responsabile degli attacchi delle milizie Sciite in Iraq e si aspetta che faccia qualcosa per mettervi un freno. Che è poi quanto aveva dichiarato lo scorso ottobre il Sottosegretario di Stato USA Nicholas Burns, incaricato per la politica verso l’Iran: ciò che gli USA vogliono è che Tehran usi la sua influenza presso gli Sciiti per calmare la situazione in Iraq e allentare la pressione sulle forze USA laggiù. Questo per lo meno è l’obiettivo della Segretaria di Stato Condoleezza Rice o del Segretario alla Difesa Gates, a quanto sembra di capire.

Le forniture di “armi sofisticate” resteranno nell’aria (e nei titoli dei media), naturalmente: “fanno parte di una più ampia strategia per aumentare la pressione su Tehran”, osserva l’analista di questioni di sicurezza Gareth Porter su Asia Times. E poi possono sempre servire a creare le “prove” necessarie alle operazioni di forza auspicate dai neo-con dell’amministrazione di George Bush. Ma.Fo.]

Tehran dimostra ancora una volta che pensa quello che dice. Il problema è che è l’amministrazione Bush a non farlo, che persevera in tattiche di linea dura, preferendo la belligeranza e la doppiezza nei confronti dell’Iran, cosa comunque che corrisponde al suo stile di condurre gli affari. L’amministrazione Bush vuole costringere a negoziare solo alle sue condizioni, mentre mette sul tavolo la minaccia di un’opzione militare o sanzioni economiche contro quelle nazioni che non vogliono accettare. Allo stesso tempo, l’Iran sa che la CIA e reparti delle forze speciali sono state impegnate in azioni segrete nel paese per molti mesi, per destabilizzare il governo in carica.

Per giunta, Washington ha cercato di mettere in piedi una coalizione anti-Iraniana fra l’Arabia Saudita, la Giordania e l’Egitto, in modo da indebolire ulteriormente l’influenza di Tehran nella regione. Inoltre, il Dipartimento di Stato ha esercitato pressioni su banche internazionali e altre corporations perché tronchino le relazioni con l’Iran, in modo da far “schiantare” il paese, con le stesse modalità dell’amministrazione Nixon nei confronti del Cile di Salvador Allende e dell’amministrazione Bush e di Israele nei confronti di Hamas, eletto democraticamente al governo di Gaza. Naturalmente, l’Iran, come il Venezuela guidato da Hugo Chavez, è riccamente dotato di materie prime largamente richieste nel mondo e può conservare un buon flusso di entrate, che gli consente di non dare troppa importanza a tutto questo.

Il fattore Israele

Quando si arriva all’Iran, Israele fa parte in ogni modo dell’equazione.

L’11 luglio, il Senato ancora una volta dimostrava di essere territorio occupato da Israele, (assieme alla Camera dei Rappresentanti), approvando 97 – 0 l’Emendamento del Senato 2073, fortemente voluto dal Ministro per gli Affari Strategici di Israele, Avigdor Lieberman, (National Defense Authorization Act per l’Anno Finanziario 2008).

Questo conclama la stigmatizzazione dell’Iran per la sua complicità nell’uccisione di soldati USA in Iraq. Era un chiaro avvertimento a Tehran, che sta esigendo la produzione delle prove, mai addotte, che il suo governo stia usando per procura forze sul campo per attaccare le truppe USA. Questo, in seguito a mesi di accuse da parte dei comandi Americani, che l’Iran sta fornendo vari tipi di armi ai gruppi della Resistenza Irachena, senza alcuna prova chiara che questo avvenga.

Israele sta nella mistura, (e tanto!), e ha ripetutamente messo in guardia per un attacco contro l’Iran, come ha fatto all’inizio dell’anno il Primo Ministro Ehud Olmert, affermando che il suo paese non poteva correre il rischio di un’altra “minaccia alla sua esistenza”, con chiaro riferimento all’Olocausto Nazista.

Con questo, Olmert e altri dirigenti politici e militari Israeliani di alto grado puntano il dito contro il programma nucleare ad uso civile dell’Iran, asserendo falsamente che Tehran è fanaticamente ed ideologicamente impegnata a distruggere lo Stato Ebraico. Questa è una sciocchezza, ma è utile, alimentando le paure, per portare l’opinione pubblica di Israele e del mondo ad essere favorevole a qualsiasi azione militare, pianificata per “auto-difesa”.

Altri dirigenti Israeliani per la sicurezza nazionale hanno un punto di vista contrario, ma le loro prese di posizione non incontrano l’attenzione della stampa. Costoro pensano che il governo Iraniano sia razionale e non abbia affatto l’intenzione di scatenare una guerra contro Israele, gli Stati Uniti o qualsiasi altra nazione.

Israele e gli USA sanno tutto questo, ma non si sognano di renderlo pubblico. Se l’Iran attaccasse Israele, sarebbe come commettere un suicidio. Sarebbe come garantirsi una risposta totale da parte di Israele e Stati Uniti, forse con armi nucleari, che vedrebbe devastato il paese.

Inoltre, non si cita mai che, dopo che l’antico impero Persiano divenne Iran nel 1935, questa nazione ha sempre osservato il diritto internazionale, non ha mai occupato un altro paese, non ha mai attaccato o minacciato di aggredire un’altra nazione, al di là di occasionali schermaglie di frontiera, ben lontane dal costituire un conflitto. Il solo conflitto a tutto campo è stato di natura difensiva in risposta all’invasione del settembre1980 scatenata da Saddam Hussein, sostenuto, equipaggiato e aiutato finanziariamente dagli USA. Le prove di questo ora sono schiaccianti.

L’Iran non minaccia alcuna nazione e solamente difenderà se stesso, se aggredito.

L’Iran ha presentato formali proteste presso il Consiglio di Sicurezza, censurando i commenti minacciosi di Ehud Olmert e del Ministro per i Trasporti Shaul Mofaz.

Mofaz aveva espresso le sue osservazioni durante una visita a Washington in giugno e Olmert aveva manifestato le sue in aprile alla pubblicazione Tedesca Focus, ma in seguito le aveva ritrattate, pur essendo state testualmente riportate.

Entrambi i dirigenti parlavano di una possibile aggressione di Israele contro le strutture per il nucleare civile dell’Iran, con il Primo Ministro Israeliano che dichiarava che il programma nucleare Iraniano poteva essere portato a termine da 1000 missili Cruise lanciati per 10 giorni. Egli aggiungeva: “Forse è impossibile distruggere completamente il loro programma nucleare, ma certamente sarà possibile danneggiarlo in modo tale da portarlo indietro di anni.” Un migliaio di missili Cruise, molti con testate nucleari, porterebbero indietro di anni l’intera nazione, se non addirittura all’anno zero.

L’11 luglio, il Ministro per gli Affari Strategici di Israele, Avigdor Lieberman, si dimostrava all’altezza della sua tristemente famosa reputazione di super-falco sprezzante con idee da fascista estremista. Egli dichiarava alla Radio dell’Esercito di Israele di essersi recato negli USA e in Europa per sostenere un attacco militare Israeliano contro le strutture nucleari dell’Iran in un incontro con dirigenti della NATO e dell’Unione Europea. Continuava dicendo che il messaggio che aveva ricevuto era che l’America e l’Europa erano già impegnate in Iraq e in Afghanistan e che Israele doveva procedere per conto proprio per “prevenire la minaccia Iraniana che sente su di sé”.

Secondo il Maggior Generale Eyal Ben-Reuven dell’Esercito di Israele (IDF), comandante responsabile delle forze Israeliane nella guerra disastrosa dell’estate scorsa in Libano, Israele deve tenere presente due fronti.

In una conferenza del 16 luglio di valutazione sulla guerra in Libano dell’estate 2006, il generale parlava all’Istituto per gli Studi sulla Sicurezza Nazionale e dichiarava che l’IDF sta “preparandosi ad una guerra incondizionata con la Siria, e questo è un importante cambiamento nella premessa operativa dell’esercito”, dopo la batosta umiliante dell’anno scorso per mano degli Hezbollah. Il Generale Ben-Reuven aggiungeva che, allo scoppio della guerra, la Siria verrà danneggiata in modo massiccio nelle sue strutture militari e civili, e per questo l’IDF sta addestrandosi per un’invasione rapida e schiacciante, “per mettere fuori combattimento quelle zone da cui possono essere lanciati missili Siriani…quanto più rapidamente possibile.” Inoltre, “preparandoci ad una guerra totale, dobbiamo tenere conto del terrorismo Palestinese”, e sottolineava le necessità di un possibile attacco contro Hamas a Gaza, combinato allo stesso tempo con quello contro Hezbollah.

Il 18 luglio, Haaretz riportava che l’ONU poteva partecipare al sostegno del programma aggressivo di Israele, comprovando la minaccia della Siria alla sicurezza della regione, e così giustificando la progettata aggressione.

L’Ambasciatore Siriano all’ONU Bashar Ja’afari, in una lettera al Segretario Generale Ban Ki-moon, protestava per il fatto che Israele stesse fabbricando prove per dimostrare che il suo paese, la Siria, presumibilmente inviava di nascosto armi in Libano. Nello specifico, accusava l’inviato del Segretario Generale in Libano e in Siria, Terje Roed-Larsen, che da tanto tempo serviva gli interessi dell’Occidente e di Israele. In una sua precedente relazione, costui faceva proprie le accuse prive di sostanza mosse da Israele, che armi stavano entrando in Libano attraverso la Siria, insinuando che fosse lo stesso governo Siriano ad inviarle.

Inoltre, Ja’afari accusava Israele di violazioni di confine, di missioni di spionaggio illegali con sorvoli dello spazio aereo Libanese, di fotografare consegne di autocarri di tipo commerciale asserendo trattarsi di contrabbando di armi.

Questa informazione rivela come Israele e gli USA stiano mettendo sotto tiro in un colpo solo tutti i loro nemici nella regione, con possibili piani che vanno estendendosi dall’Iraq all’Iran fino alla Siria, e perfino a Hezbollah nel Sud del Libano e a Hamas a Gaza.

È possibile che si configuri il medesimo progetto messo in atto da un padrino della mafia locale per eliminare i suoi nemici e consolidare il suo potere. In questo caso, si tratta di un padrino globale e del suo giovane socio (ma potente ed influente nella regione), che mettono in atto quello che un “don” locale ritiene opportuno fare per prendersi cura degli affari della “famiglia”.

Il risultato finale sarà forse quello di mettere a ferro e fuoco l’intero Medio Oriente, distruggere coloro che Washington non è riuscita per nulla ad influenzare, mettere in pericolo la sicurezza in patria, ed accrescere il rischio di ritorsioni contro gli interessi Statunitensi ed Occidentali in ogni parte del mondo.

Si può pensare ad una situazione peggiore, solo se venisse preso come bersaglio anche il Pakistan. Questo può accadere, con o senza il permesso del Presidente Pervez Musharraf, dato che si sostiene che le aree tribali nel paese sono rifugio per Al-Queda, che si atteggia come minaccia regionale e più estesa.

Il Wall Street Journal riportava: “Gli artefici della politica USA sono sotto pressione per estirpare queste enclavi, e questo potrebbe scatenare una reazione violenta locale, forte abbastanza da far crollare quello (il Presidente Pervez Musharraf) che il Presidente Bush ha definito come il più stretto alleato nella lotta contro al Queda.”

Il New York Times suonava lo stesso tema affermando: “…funzionari Americani si sono incontrati nelle recenti settimane per discutere quello che qualcuno ha definito come…una strategia aggressiva di nuova concezione, che vede coinvolti elementi pubblici e sotto copertura, e molte nuove misure segrete per evitare di creare difficoltà al Generale Musharraf.”

Guardando in avanti

Con 18 mesi ancora di mandato, e la sua presidenza che sta sfasciandosi, George Bush è come un animale stretto all’angolo, così disperato da tentare qualsiasi cosa per sopravvivere. Bush è circondato da un numero, pur al tramonto, ma ancora potente, di sostenitori della linea dura e questo articolo vuole mettere in luce uno scenario per il futuro che crea turbamento, presagio di disgrazie per la nazione e per il mondo, se dovesse configurarsi.

Ne risulta che il progetto dell’amministrazione Bush implica di cambiare i soggetti da sottoporre a minacce allarmistiche, con la successiva messa in scena di uno o più cruciali attacchi terroristici sul territorio nazionale del tipo di quelli dell’11 settembre, quindi lo scatenamento della guerra contro l’Iran con il pretesto fasullo che Tehran minaccia la sicurezza degli USA e di quella regione. Inoltre, possono essere pianificati attacchi contro le aree tribali del Pakistan, assieme alle mire di Israele contro la Siria, gli Hezbollah, ed Hamas, a sostegno degli USA.

Questi saranno gli inquietanti sviluppi, se dovesse succedere quello che è stato illustrato.

In un tentativo di sopravvivenza, per portare a buon termine il loro mandato, George Bush e Dick Cheney, fermamente decisi a giocare per questo il tutto per tutto, forse potranno raggiungere lo scopo.

Una valutazione della CIA di qualche tempo fa, comunque mette in evidenza parte del problema. Si trattava di una valutazione schietta e densa di preoccupazioni nel sostenere che, quand’anche gli USA attaccassero l’Iran, il Sud dell’Iraq Sciita si sarebbe incendiato esplosivamente e lo scoppio si sarebbe esteso senza controllo a tutta la regione. Inoltre, verosimilmente, anche gli Sciiti dell’Arabia Saudita, che si trovano nella parte del Regno più ricca di petrolio, verrebbero istigati, ma non solo, potrebbe essere coinvolto anche l’intero mondo Musulmano in una ribellione armata contro qualsiasi obiettivo Americano ed Occidentale.

Ora, ci si sta orientando verso questo tipo di “showdown”.

Già, gli Stati Uniti sono uno stato paria, che sta perdendo la sua influenza all’intensificarsi della sua deliberata imprudenza e sconsideratezza. Di fronte ad un mondo ostile, ridurre la sua forza militare potrebbe essere probabilmente il modo per evitare di porsi la domanda, se potrebbe essere di aiuto usare i muscoli od evitare di farlo. Questa è una possibilità per il futuro, ma certamente non per il presente. Nell’immediato, esiste la minaccia di una guerra nucleare, la fine della repubblica, e la perdita della norma Costituzionale. E questo riguarda una nazione che sta consumandosi ed avviandosi alla bancarotta e già, secondo molte valutazioni ed analisi, è impossibilitata a rifondere 80 bilioni o più di dollari in titoli a termine privi di copertura e in altre passività.

Questo è il punto di vista dell’economista Laurence Kotlikoff nella sua valutazione del 2006 per la St. Louis Federal Reserve Bank in un articolo dal titolo “Gli Stati Uniti sono alla bancarotta?”

Tutto ciò non accadrà fintanto che il Presidente della Federal Reserve Bernanke continua a stampare denaro con la stessa sprezzante imprudenza e a ritmo doppio di come aveva fatto Alan Greenspan prima di lui. Costoro e gli altri presidenti della Federal Reserve sono obbligati al medesimo cartello bancario e all’establishment di Wall Street, che possiede e dirige la Federal Reserve per i loro interessi, non per quelli dei cittadini. Il loro schema è simile allo schema di Ponzi,

[ Nota del traduttore: Lo Schema di Ponzi

Le caratteristiche tipiche sono:

Promessa di alti guadagni a breve termine
*
Ottenimento dei guadagni da escamotage finanziari o da investimenti di “alta finanza”

documentati in modo poco chiaro
*
Rivolto ad un pubblico non competente in materia finanziaria
*
Legato ad un solo promotore o azienda
*
Risulta evidente che il rischio di investimento in operazioni che sfruttano questa pratica è molto elevato. Il rischio è crescente al crescere del numero degli iscritti, essendo sempre più difficile trovare nuovi adepti.

In Italia, USA e in molti altri stati, questa pratica è un reato, essendo a tutti gli effetti una truffa.],

quello di monetizzare una prosperità ininterrotta, di tirare la corda finché la corda resiste, cosa che non può durare all’infinito, come ci ha ben illustrato l’ex consigliere economico principale di Nixon, Herb Stein. Ma più si va avanti, peggiore sarà il risultato quando si arriverà inevitabilmente alla fine, con le persone, come sempre, pronte a subire una rovinosa caduta.

L’attuale turbolenza economica domestica e la minaccia della strozzatura del credito, (con implicazioni globali), sono il risultato di quello che segue, che è abbastanza grave, ma non ancora disastroso:

— il crollo immobiliare,

— la ricaduta da speculazioni con emissione di debito garantito da fondi di copertura non sicuri e, soprattutto, da Wall Street con il rifornimento della Federal Reserve,

— obbligazioni a garanzia del debito pubblico (CDO) in sofferenza, vincolate a valutazioni di indebolimento delle sub-prime mortgage [Nota del traduttore: Le subprime sono società che concedono mutui anche a quei cittadini con un “credit score” non particolarmente elevato, ossia che non offrono garanzie abbastanza alte per potersi rivolgere a banche e ad istituti di credito tradizionali. Questa la notizia che ha fatto precipitare la borsa di New York nella giornata di ieri, 6 agosto 2007: quattro importanti compagnie di mutui per la casa specializzate in subprime mortgage hanno dichiarato bancarotta, perché i propri clienti non pagavano le rate mensili nei termini previsti. Sono circa il 25% del totale gli Americani che decidono di imbarcarsi in pagamenti sensibilmente più alti rispetto alla norma e che aumentano di mese in mese a causa dei tassi di interesse in continua crescita.

Si é calcolato che due milioni e duecentomila sono gli Americani che rischiano di perdere la casa quest’anno perché non possono più permettersi il mutuo.

E così, in molti cominciano a rinunciare al sogno americano di una casa tutta propria: le case invendute sono il 20% in più rispetto allo scorso anno.]

— titoli assistiti da ipoteca residenziale (RMBS), prima ben considerati, ora in ribasso,

— abbattimento dei prestiti “subprime”,

— la speculazione sul mercato di derivati finanziari per molti bilioni di dollari, che Warren Buffet definisce come “bombe a tempo”e “armi di distruzione di massa finanziarie”,

— obbligazioni ad alto rischio che producono “rottami”,

— debolezza del dollaro,

— inflazione molto più alta di quella dichiarata ed in aumento continuo, a causa di una spesa che dura da anni oltre le proprie possibilità, con un super indebitamento finanziario e con un’imposizione fiscale inadeguata,

— ed altre potenziali perturbazioni finanziarie a vicino e medio termine, che, se davvero succedessero, certamente coglierebbero di sorpresa.

Finora si tratta di un disturbo di fondo ciclico paragonato al ben più grande disastro del secolo che si fa strada a causa delle bolle speculative immobiliari, del consumo massimo di petrolio, del riscaldamento globale, dei disastri ecologici in intensificazione, delle guerre permanenti nel mondo, e dello sviluppo in tutto il suo splendore della tirannia in patria.

Chi scrive è arrivato alla conclusione, condivisa con altri, nel pensare che l’America al presente si trovi in una catastrofe economica. Comunque, dove l’accordo è molto forte, è che si conosce quello che ci si deve aspettare, ma non si sa quando con precisione; quando capiterà, verosimilmente coglierà di sorpresa, potrà colpire come in un Armageddon, in uno scontro decisivo, e quando colpirà produrrà “la Grande Depressione”, ancora più pesante e più lunga di quella già vista in passato.

Tuttavia, per ora, l’impegno è quello di rimuovere la classe criminale da Washington, restaurare il dominio della legge, salvare la Repubblica, evitare guerre ulteriori, e mettere fine a quelle in corso. Fallire in questo, può significare che qualsiasi cosa accada, non avrà più alcuna importanza. Sarà troppo tardi, molto tempo prima che le cose precipitino. Quelli che si preoccupano per questa situazione e vedono meglio la minaccia, investano altri del problema, per fare in modo che aumenti la protesta, e per agire in tempo, collettivamente, per bloccare tutto ciò! Questo può avvenire solo con un movimento che parte dal basso, mai per altre vie.

Stephen Lendman
vive a Chicago e può essere contattato a [email protected] .

Inoltre, è possibile visitare il suo blog a www.sjlendman.blogspot.com
Fonte: www.globalresearch.ca
Link: http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=6396
23.07.07

Traduzione di CURZIO BETTIO di Soccorso Popolare di Padova

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