DI STEFANO VERNOLE
Ora che la vertenza sul gas tra Russia e Ucraina sembra essere stata risolta positivamente sarebbe però un errore sottovalutare gli insegnamenti che provengono dalla crisi scoppiata in questi giorni. Innanzitutto ricordando i motivi che hanno innescato la contrapposizione tra le due “sorelle” e le sue possibili ricadute sulla politica europea, tanto evidenti che tutti i maggiori quotidiani italiani hanno aperto il 2006 denunciando con toni più o meno irritati “l’imperialismo di Mosca” o “l’arroganza di Putin”.
Giudizi risibili se si considera l’atteggiamento estremamente moderato del Cremlino in tutti questi anni, durante i quali ha dovuto sopportare nell’ordine:
– la perdita dell’Ucraina nel progetto dello Spazio Economico Comune, malgrado gli stretti interessi economici e i legami storico-spirituali che uniscono le due nazioni;
– l’annullamento della vittoria del candidato filo-russo Yanukovic, la ripetizione delle elezioni e l’ascesa al potere del filo-occidentale Yushenko nonostante evidenti brogli elettorali;
– la rinuncia a giocare la carta del secessionismo nelle regioni orientali dell’Ucraina, le più ricche del Paese, totalmente filo-russe;
– il via libera al rafforzamento dei rapporti tra Kiev e Bruxelles, dopo il vergognoso atteggiamento filo-Yushenko e quindi filo-statunitense dell’Unione Europea;
– il furto di gas da parte dell’Ucraina, che solo negli ultimi dieci anni ha raggiunto l’astronomica cifra di due miliardi di dollari (1).
Su cosa è arrivato perciò lo stop da parte di Mosca? Sull’unico punto che nessuna dirigenza russa per quanto compromissoria avrebbe potuto accettare, cioè l’annuncio dell’Ucraina di volere entrare nella NATO, come confermato anche dal maggiore politologo del Cremlino, Sergej Markov (2). Anche perché dopo aver esteso le proprie basi militari in tutta l’Europa Orientale e in parte dell’Asia Centrale – dove comunque la Russia sta egregiamente rimontando – un posizionamento del Pentagono a Kiev avrebbe un valore strategico tale da completare l’accerchiamento a lungo sognato dai vari Brzezinski e Soros. Una pressione militare così vicina sarebbe peraltro talmente forte da provocare in breve tempo anche la caduta del più fedele alleato di Mosca nell’area ex-sovietica, cioè la Bielorussia del prode Lukashenko.
La reazione di Vladimir Putin è stata perciò proporzionata alla minaccia messa in atto dagli oligarchi di Washington e dai suoi fidi cagnolini di Kiev, richiedendo che l’Ucraina pagasse il gas esattamente al prezzo già concordato con nazioni come Italia, Germania, Francia e Austria, amiche ma non certo alleate. D’altronde è stata la stessa Unione Europea a riconoscere l’Ucraina tra i Paesi con economia di mercato, alla quale vanno perciò applicati i prezzi europei (3). A meno che non si pretendesse la continuazione della farsa in base alla quale i cittadini ucraini pagavano le forniture di gas a un prezzo inferiore rispetto a quello pagato dai cittadini russi.
Anche il disperato tentativo di Yushenko volto a collegare la questione energetica con quella della flotta russa ancorata a Sebastopoli sul Mar Nero, per la quale Mosca sborserà un affitto di 98 milioni di dollari all’anno fino al 2017, si è allora ancorato di fronte all’evidenza che un braccio di ferro con la Gazprom avrebbe ulteriormente compromesso la sua già precaria situazione politica in vista delle elezioni parlamentari del prossimo mese di Marzo. I sondaggi danno il beneficiario della “Rivoluzione Arancione” in caduta libera, anche perché molti ricordano come soltanto due anni fa l’Ucraina avesse rifiutato una generosa proposta targata Schroeder-Putin sulla creazione di un consorzio internazionale del gas, preferendo per puro calcolo politico mantenere il monopolio sui diritti di transito del gas russo. Ma se Kiev piange, Bruxelles ha ben poco da ridere.
Il gasdotto del Baltico, il cui consorzio non a caso è capeggiato da Gerard Schroeder, rappresenta sostanzialmente il tentativo di Mosca di evitare nel tracciato degli oleodotti gli ostili Paesi Baltici, ricompensando allo stesso tempo la Germania che fin dalla caduta del Muro di Berlino ha intrecciato uno strettissimo rapporto economico-finanziario con la Russia. Ma Vladimir Putin non si fida più dell’Unione Europea, al punto che preferisce mantenere relazioni privilegiate con Pechino, Nuova Dehli e il mondo islamico, snobbando i possibili rapporti con il Vecchio Continente. E per ottime ragioni. Questa Europa, manovrata ormai da sessant’anni da massoni e agenti del partito atlantista, appare decrepita, restia a pensarsi comunità di destino e incapace anche solo di abbozzare un cenno di vitalità, essendo priva del pur minimo progetto politico unitario e indipendente. Ciò non è conseguenza, come qualcuno crede, solo degli evidenti sabotaggi delle lobbies mondialiste, abbondantemente presenti in tutti i partiti, sia di “destra”, sia di “centro”, sia di “sinistra”, ma della mancanza di un qualsiasi anelito spirituale che pur tenuamente potrebbe mantenerla in vita.
Il modello nordamericano sta vincendo, in maniera sempre più evidente, non solo a livello economico-sociale ma anche nei cuori e nelle menti delle cd. “classi popolari”, lasciando intravedere un futuro di tensioni e miserie, soprattutto morali. Un’Europa occidentalizzata, cioè americanizzata, talmente cieca da non riuscire a riconoscere nemmeno i suoi più evidenti interessi ma che ora raccoglie meritatamente i frutti che ha seminato negli ultimi anni. Appoggio al bombardamento della NATO contro la Serbia e mancata risoluzione sia della crisi del Kosovo che di quella della Bosnia, due regioni da un momento all’altro pronte a scoppiare e a destabilizzare l’area dei Balcani; sostegno militare all’invasione statunitense dell’Afghanistan, che ci ripaga ora con un diluvio di droga pronta ad avvelenare la nostra gioventù; consenso in parte politico in parte logistico al genocidio del popolo iracheno, con il “beneficio” di pagare ora il petrolio a prezzi astronomici.
La crisi delle forniture energetiche provenienti dalla Russia, una nazione dalla quale importiamo il 40% del nostro gas naturale e il 20% del nostro petrolio, non è così che l’ultimo tassello di una strategia transatlantica che ci sta affossando definitivamente: spezzare il legame di dipendenza con Washington sarebbe la nostra unica speranza. A meno che la strategia avventurista dell’Amministrazione Bush non ci voglia dare una mano.
Stefano Vernole
Fonte: http://utenti.lycos.it/eurasiaprogetto/novita.htm
5.01.06
NOTE:
1) Vedi l’intervista concessa da Alexander Rahr, direttore del programma di studi sull’ex Urss del Consiglio per le relazioni tedesche, a “Il Giornale” del 04/01/2006, p. 10.
2) Il politologo Markov su “Corriere della Sera” del 03/01/2006, p. 12.
3) A. Grigoriev – Addetto stampa dell’Ambasciata della Federazione Russa – su “Corriere della Sera” del 03/01/2006, p. 37
VEDI ANCHE: PICCOLA GUERRA CIVILE EUROPEA