DI HS
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Fra le macerie e l’impercettibile deserto o semideserto morale e civile di un paese e del mondo si muove senza timore un poeta che, per quanto piccolo e per certi versi inadeguato, è fra i pochi che possono cogliere i segni della decadenza…
Può farlo perché, appunto, è un poeta e sa osservare la superficie e ciò che vi si agita dietro…
Osserva e scruta il mare nero della prepotenza, della violenza, della crassa ignoranza e della volgarità più sordida e squallida…
Percepisce nella mente e sulla pelle le nefandezze di un nuovo Potere che soffoca la libertà trasformando gli uomini da cittadini a consumatori e stringendo nella sua morsa soprattutto i giovani attraverso la pubblicità che ne stimola quei bisogni e quei desideri che sono precondizione necessaria all’acquisto di ogni tipo di prodotto superfluo…
E’ quel Potere Invisibile che viene a coincidere con il Mercato : i mercanti sono usciti dal Tempio e hanno eretto un nuovo sacrario privo di sacralità…
Ma questo Nuovo Potere così inedito ed inafferrabile… Così postmoderno è realmente il frutto di un complotto gigantesco o la logica conseguenza di un processo inevitabile e, per certi aspetti inarrestabile ?
Come figlio di un’epoca ormai lontana, Pasolini non poteva ancora utilizzare quegli strumenti di analisi che permettono di poter discernere a proposito di tale e complesso quesito. Sono personalmente convinto che, come altri intellettuali e artisti magari meno conosciuti, si tormentava e si macerava nella costante ricerca della natura del nuovo Potere, del Mercato anche se non poté rispondere al quesito. Anche oggi, nonostante quella che dovrebbe costituire una ricchezza delle fonti informative – si pensi ad Internet -, sostanzialmente quella domanda rimane sospesa nelle riflessioni e nei ragionamenti. Per onore di verità bisognerà pure ammettere che il Mercato – nuovo e bizzarro Leviatano poco hobbesiano – ha dimostrato una forza e una capacità di penetrazione che và al di là di qualsiasi Trilateral, per non parlare della loggia P2.
I mercati si espandono e i mercanti dilatano la loro attività…
Quel che era bottega diventa impresa…
Quel che era impresa diventa una formidabile macchina industriale e finanziaria…
Quel che era macchina industriale si fa multinazionale, corporation in grado di condizionare vite di milioni di persone nel globo terrestre…
Naturalmente la competizione fa in modo di eliminare tutti i “pesci piccoli”, i bottegai incapaci di adeguarsi alla nuova realtà, impossibilitati a fare fronte alle esigenze della concorrenza…
E i vecchi mercanti, quelli che rimangono in piedi e fondano le moderne casate e i moderni imperi non territoriali, si fanno speculatori e continuano a fottersi allegramente a vicenda azzuffandosi e accordandosi nelle manovre di acquisto di importanti pacchetti azionari…
Siamo alla banalità del reale: il Complotto cede inevitabilmente alle lusinghe della Pecunia, una puttana molto laida ma anche molto molto concreta…
Se ogni buon mercante, ogni impresa e ogni multinazionale e corporation si pasce dei bisogni e dei desideri indotti dei consumatori, non si può prescindere dai mass media, dall’informazione e dal mondo dello spettacolo nelle strategie pubblicitarie di marketing. Lo stesso Pasolini ha dedicato un consistente numero di pagine a questi argomenti accattivanti e ineludibili se si vuol comprendere lo spirito della postmodernità. E’ risaputa la sia idiosincrasia intellettuale per la televisione a cui, anticipando i tempi, imputava il degrado della nazione e, soprattutto, del proletariato e del sottoproletariato urbano.
Siamo negli anni Settanta e l’Italia è agli albori della sua “Rivoluzione” antropologica che violenterà la comunità per fare degli italiani degli individui, degli amorali, dei cinici, degli edonisti.
E’ ciò che, consapevolmente o meno, richiede l’espansione del Mercato…
Pasolini non farà in tempo ad assistere a quello che, a seconda delle prospettive, potrebbe essere considerato uno scempio, al compimento di un “processo” di cui aveva intuito i contorni, ma è proprio nel corso degli anni Settanta che matura quell’”evoluzione” dei mass media e dell’industria dello spettacolo, dell’intrattenimento e del divertimento che modellerà anche la nuova Italia.
Già abbiamo illustrato come in quel decennio gli assetti del mondo editoriale e dell’informazione venissero sconvolti dagli assalti dei “nuovi attori” e da continui conflitti e tensioni circa l’indirizzo da conferire alla stampa di opinione, ma il quadro è ancora imparziale e incompleto…
A tale proposito vorrei rimandare ai miei precedenti scritti “Di me cosa ne sai” e “That’s entertainment” e consigliarne un’attenta lettura se possibile… In quei lunghi articoli si trattavano ed analizzavano i destini paralleli ed interdipendenti della televisione e del cinema del nostro paese.
La storia poco nota e sviscerata – ma raccontata mirabilmente dall’ottimo documentario “Di me cosa ne sai” di Vincenzo Jalongo – inizia con un paio di leggi che hanno sconvolto i sistemi massmediatici e l’industria dello spettacolo in Italia. La legge del socialista Corona (1972) negando le sovvenzioni statali alle grandi coproduzioni internazionali a cui le case di produzione potevano partecipare, mette in crisi un settore vitale, creativo e competitivo come quello della cinematografia.
Il mitico e pionieristico produttore napoletano Dino De Laurentiis sospetta che le legge sia stata promossa e voluta dagli americani e dalle loro major hollywoodiane per sbarazzarsi del più agguerrito concorrente nell’”industria di celluloide” con la complicità di politici nostrani.
Da quel momento i più importanti produttori dell’epoca fra cui lo stesso De Laurentiis, Carlo Ponti – il marito di Sofia Loren – e Grimaldi emigreranno negli USA probabilmente anche perché allettati dai loro “amici” nelle major. Senza dimenticare la stessa oscura morte di Pasolini, regista di successo, sulla quale può essersi verificata una convergenza di interesse e la progressiva crisi della Cineriz, l’ottima società di distribuzione e di produzione cinematografica (aveva fra l’altro finanziato capolavori di Federico Fellini come “La dolce vita” e “Otto e mezzo”) propiziata dalle avventurose incursioni piduiste di Gelli e di Ortolani.
Sono storie che, curiosamente, riportano sulla scena li americani, la loggia P2 e pure la mafia che, con i suoi intrecci finanziari e la sua solida e fitta rete di rapporti italoamericani – di cui Sindona è stato il più autorevole e rispettato tessitore – ha investito rilevanti cifre nei settori merceologici dell’informazione, dei mas media, dello spettacolo e del divertimento ed intrattenimento in generale. A metà degli anni Settanta l’Italia è invasa da piccole e improvvisate emittenti locali grazie a una legge che liberalizza il sistema radiotelevisivo. Ancora gli italiani non lo sanno, ma quel modello così “provinciale”, raffazzonato, caciarone e volgare, quella televisione così ammiccante e sempre più esplicita in fatto di sesso, verrà popolarizzata da un signore a quei tempi ancora piuttosto sconosciuto ma che si era già fatto notare per aver costruito una città satellite vicino a Milano grazie a capitali di oscura provenienza e ad importanti appoggi politici.
Quell’uomo era iscritto alla P2 e non stupisce che un discreto numero dei canali televisivi privati locali fosse stato fondato da personaggi legati alla potente loggia coperta o, comunque, collocati a destra. Segno che si stava imponendo una nuova egemonia culturale che, da parte opposta, non si è riusciti a cogliere per tempo.
Intanto chiudono le case di produzione e distribuzione cinematografica piccole e grandi per i relativi studi che vengono ceduti alle televisioni private e allo smantellamento dell’”industria di celluloide” italiana – che, ricordiamolo, era seconda solo a Hollywood – al quale corrisponde lo strapotere delle majors hollywoodiane e la stagione dei costosissimi blockbusters. Un’egemonia, quella hollywoodiana, che si impone globalmente senza alcuna possibilità di resistenza per i concorrenti se non le politiche di sostegno da parte dello Stato. Si inizia da “Guerre Stellari” e dal cinema fiabesco e infantile di Spielberg e di Lucas, dalla diffusione del nuovo individualismo basato sul culto dell’immagine e ben rappresentato a quei tempi dalle movenze flessuose di John Travolta e dal corpo scultoreo dell’”American Gigolo” Richard Gere. A questi si può comodamente aggiungere la virilità belluina e feroce del John Rambo interpretato da Sylvester Stallone, simbolo dell’America trionfante, violenta ed aggressiva così come piaceva al Presidente repubblicano Ronald Reagan che, peraltro, era stato un (mediocre) attore ad Hollywood. Strumento principe per fare piazza pulita di ogni concorrenza saranno i complessi Multisala aperti dalle grandi majors hollywoodiane per diffondere le proprie pellicole e restringere gli spazi per le altre. E’ significativo che l’unico italiano in grado di aprire delle multisale cinematografiche darà proprio Berlusconi che, dopo aver acquistato la Medusa Cinematografica, si può considerare l’unico vero distributore italiano operante nel settore.
Quel che è accaduto al nostro paese è singolare e curioso: da un lato, attraverso la standardizzazione di un prodotto cinematografico destinato ad un consumo e ad una fruizione globale, si impone l’egemonia “culturale” americana, dall’altro il modello della televisione privata e berlusconiana – con il suo evidente “provincialismo” – soppianta lo stile austero e paludato della vecchia RAI in bianco e nero. La contraddizione è solo apparente: il Mercato diffonde modelli di comportamento individualisti, conformisti, consumistici ed edonisti che ben si conciliano con la nuova stagione cinematografica e televisiva dell’Italia. Se, forse inconsapevolmente, il movimento giovanile del Settantasette, aveva contribuito al recupero e all’affermazione del “privato” anche con esiti nefasti, non si può dimenticare che saranno proprio i canali televisivi della nascente e berlusconiana Fininvest e la stampa targata dalla casa editrice Rizzoli a portare la rivoluzione antropologica di cui discettava Pasolini alle estreme conseguenze… Non manca il contributo di intellettuali, scrittori e giornalisti già reduci della stagione sessantottina… Senza dubbio stanchezza e delusione hanno avuto un notevole peso nell’adozione di determinate scelte.
Negli anni Ottanta il passo è breve: la nuova televisione, il nuovo cinema e il nuovo giornalismo… Insomma il nuovo paese…
Al declino delle grandi famiglie del capitalismo italiano si accompagnerà l’ascesa dei nuovi manager, finanzieri ed imprenditori rampanti e con pochi scrupoli (Berlusconi, De Benedetti, Gardini, Briatore, ecc…)…
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L’industriosità cede il passo al guadagno facile e alla speculazione; l’austerità al rampantismo e all’edonismo…
Il modello edonista si popolarizza e viene “nobilitato” dall’involucro neoliberista…
Sono gli anni del reaganismo, del craxismo e dell’emergente berlusconismo che altro non sono se non tre diverse declinazioni della stessa società dello Spettacolo (e del Mercato) senza alcun fondamento o radice politica e, tantomeno, filosofica…
Gratta, gratta e dietro al neocapitalismo postmoderno scoprirai il Nulla morale ed intellettuale.
Come può Eugenio Cefis entrare in tutto questo ? L’”uomo in grigio” può essere considerato un profeta o un precursore dei “tempi nuovi” ? Difficile stabilirlo con certezza…
Sicuramente il suo nome rimbalza nelle vicende che hanno riguardato gli sconvolgimenti dell’”industria culturale italiana” (Sindona, P2, Rizzoli, scalate giornalistiche, ecc…) anche se è ancora difficile appurare il suo ruolo soprattutto dopo la sua fuga dall’Italia.
Sicuramente il Cefis che aveva in mente Pasolini, l’uomo coinvolto nella morte di Mattei, non era semplicemente un simbolo, ma l’essere che ha concretamente operata per dare un certo corso al paese.
Il padrone dell’ENI e di Montedison, oltre ad imporsi ed ergersi a campione della “razza padrona”, è l’ex partigiano “bianco”, amico di americani ed inglesi, in grado al contempo di manovrare i neofascisti dell’estrema destra e l’estrema sinistra.
Per quel che riguarda quest’ultimo versante – i probabili rapporti fra Cefis ed esponenti dell’ultrasinistra sovversiva – qualcuno conforterà indirettamente e sorprendentemente la tesi esposta da Pasolini in “Petrolio”. Con qualche aggancio con il caso Moro…
Condannato per decenni a vivere con una pallottola conficcata nella testa in seguito ad un agguato mortale tesogli da solerti militanti della formazione terroristica di Prima Linea, Sergio Lenci è stato uno stimato e apprezzato professore e architetto specializzato in edilizia carceraria. Pungolato dall’urgenza di capire quali fossero le motivazioni dei terroristi nonché i meccanismi psicologici che ne presiedevano le azioni, scrisse un libro verso la fine degli anni Ottanta e oggi ripubblicato da Il Mulino con il titolo “Colpo alla nuca – memorie di una vittima del terrorismo”.
Quel che a noi preme e interessa nel contesto del presente scritto, sono quel paio di pagine in cui il povero e compianto Lenci – fra le sue puntuali disquisizioni sulla banalità e sulla pochezza del Male prodotto da quel terrorismo – menziona proprio il nostro Eugenio Cefis in relazione alla sentenza di rinvio a giudizio dei militanti dell’”Autonomia Organizzata” per il processo Metropoli.
Nelle pagine 201, 202 e 203 si segnalano alcuni pagamenti effettuati dalla Montedison al CERPET fra il 1975 e il 1977, uno strano istituto di ricerca economica e sociologica. Cosa può esserci di strano nel fatto che un importante polo industriale commissioni delle ricerche ad un istituto di studi ? Niente, sennonché il CERPET è un ben strano centro di studi. L’istituto viene fondato nel 1975 per iniziativa di Antonio Landolfi, membro della direzione del PSI mentre nell’atto costitutivo risultano le firme di due militanti, prima di Potere Operaio, poi dell’”Autonomia Organizzata”, ovvero il noto Lanfranco Pace e Stefania Rossini. In effetti permangono forti e ragionevoli sospetti che il CERPET altro non sia se non il centro di collegamento fra esponenti del PSI e frange dell’Autonomia e al contempo la copertura per attività ben diverse dalla semplice realizzazione di studi scientifici. Pare che nella stessa sede del CERPET, situata in piazza Cesarini a Roma, avesse trovato ospitalità quella di Metropoli, organo di stampa dell’”Autonomia”. Non solo…
Gli studiosi e i professori del CERPET sono presenti nel comitato di redazione di Metropoli ed è ormai accertato che, proprio nei locali del centro studi si svolgevano le riunioni degli uomini della rivista. Occorrerebbe fare un pochino di chiarezza dato che l’”Autonomia Organizzata”, nella costellazione delle sue varie frazioni, era sorta dopo il 1973 da Potere Operaio, la più agguerrita e violenta fra le organizzazioni della sinistra extraparlamentare. Nella fase più acuta e allarmante degli anni di Piombo furono i leader dell’”Autonomia Organizzata” a propugnare la lotta armata nel tentativo di egemonizzare il cosiddetto Movimento del Settantasette conducendolo sul terreno della violenza. E’ mai possibile che un importante e prestigiosa impresa, come la Montedison sotto la presidenza di Cefis, abbia commissionato degli studi ad un istituto in “odore di sovversione” ? Ed è altrettanto pensabile che gli esponenti di uno dei più importanti partiti dell’arco costituzionale, collocato a destra e a sinistra del PCI, abbia protetto e tutelato quegli strani professori che predicavano e tentavano di praticare la “destrutturazione del sistema ? Domande tanto più urgenti se si ha ben presente che la vicenda Metropoli entra a pieno titolo nell’affaire Moro…
Dunque Antonio Landolfi non è un esponente di secondo piano del PSI ed è lo stretto collaboratore del potente Giacomo Mancini più volte Ministro dei Lavori Pubblici. Di origine calabrese, Mancini ha trovato una sua ambigua collocazione nella politica italiana degli anni Sessanta e Settanta oscillando fra la vicinanza alla destra autonomista ed anticomunista e gli approcci verso le sinistre del partiti più accomodanti nei confronti del PCI. Prosciolto dall’accusa di essere uno dei manovratori della cosiddetta rivolta di Reggio capoluogo poi egemonizzata dai mazzieri neofascisti all’inizio degli anni Settanta, l’esponente socialista è sempre stato chiacchierato soprattutto in virtù delle sue frequentazioni e dei suoi rapporti con esponenti dei movimenti dell’ultrasinistra, anche quella più risoluta nell’adozione di metodi violenti di lotta. Secondo l’informatissimo giornalista piduista Mino Pecorelli Giacomo Mancini – con la solita complicità dell’onorevole democristiano Andreotti – avrebbe fatto affluire cospicui finanziamenti a Lotta Continua, la più importante formazione della Nuova Sinistra attraverso il petroliere Nino Rovelli. I rapporti fra Sofri, Lionello Massobrio – il direttore amministrativo del giornale Lotta Continua – e Mancini sarebbero stati costanti e non superficiali, tuttavia esistono testimonianze di frequentazioni ben più pericolose…
Agli inizi degli anni Ottanta quando si recava in Calabria l’onorevole Mancini si faceva scortare dai brigatisti rossi del Partito Guerriglia, il gruppo capeggiato dall’ambiguo Giovanni Senzani che, spregiudicatamente, coltivava rapporti con esponenti della Camorra napoletana e della Ndrangheta calabrese. Senza molti scrupoli e con molto calcolo Mancini voleva attrarre a sé e al partito quegli strati giovanili che non si riconoscevano e, anzi, avversavano il PCI considerato ormai “integrato al sistema”. Non può sorprendere che questo personaggio, oltre mantenere fitti contatti con l’estrema sinistra, non abbia disdegnato i rapporti con aree, ambienti e personaggi di opposta provenienza.
Nel periodo in cui Giacomo Mancini era Ministro dei Lavori Pubblici, il fido Landolfi ricopriva la carica di Capo Ufficio Stampa. Allo scopo di gestire la campagna propagandistica sulla sicurezza stradale indirizzandovi i fondi ministeriali, Landolfi costituì a Roma l’agenzia stampa Presenza Socialista affidandola ad uno strano personaggio, tale Felice Fulchignoni. Chi era costui ?
Uomo d’affari, impresario cinematografico, televisivo e pubblicitario come molti personaggi della nostre storie, l’uomo aveva un grande ascendente e molta influenza negli ambienti del PSI pur essendo politicamente di destra. Fondatore della celebre agenzia stampa Adn Kronos e titolare del cabaret romano Il Bagaglino, ricettacolo di una satira qualunquistica e becera sotto la direzione del mediocre regista Pierluigi Pingitore, Fulchignoni aveva trascorsi da fascista e repubblichino, avendo ricoperto le funzioni di capo dell’Ufficio Propaganda del Direttorio Nazionale del PNF (il Partito Nazionale Fascista) e di direttore del settimanale Notiziario Romano del PNF. Grande esperto di propaganda, pubblicità e spettacolo, il giornalista, faccendiere ed impresario era soprattutto uomo dei servizi segreti essendo a libro paga del SIFAR e, secondo più recenti valutazioni ed accertamenti, uomo di punta del servizio supersegreto denominato Anello.
E’ il terzo uomo della struttura citata, dopo i senatori missini Pisanò e Nencioni, a fare la sua comparsa fra le pieghe di queste storie. Come gli altri “agenti” dell’Anello anche Fulchignoni ha un passato da fascista e repubblichino e si suppone che abbia mantenuto tale dirittura politica ed ideologica. Secondo un’anonima fonte Felice Fulchignoni aveva presenziato alla cerimonia di inaugurazione dello stabilimento Permaflex di Prato del 1965 e si sarebbe trovato accanto a Giulio Andreotti (l’importante politico democristiano che probabilmente dirigeva l’Anello) e a Licio Gelli (il capo della loggia coperta P2 o, forse, solo il gregario di Eugenio Cefis con formidabili entrature nei servizi segreti). Secondo la giornalista Stefania Limiti – nel suo notevole “L’Anello della Repubblica – La scoperta di un nuovo servizio segreto. Dal fascismo alle Brigate Rosse” ed. Chiarelettere – la struttura creata durante il conflitto mondiale era stata posta la servizio della causa occidentale nella “Guerra Fredda” e, fra l’altro, cercava di rafforzare e avvantaggiare le correnti autonomiste e anticomuniste della destra socialista a scapito della sinistra del partito ricorrendo, come consueto, a quelle azioni “poco ortodosse” di cui determinati settori dei servizi segreti sono esperti. Nonostante l’incompletezza e la frammentarietà del quadro Parecchie impressionanti e documentate informazioni ci inducono a ritenere che, almeno nella seconda metà degli anni Settanta si stesse stabilendo e consolidando un asse Cefis – Gelli – Sindona – Andreotti – Mancini – Craxi in grado di reggere le sorti del paese. A più riprese il caustico e attivissimo Pecorelli sul suo bollettino OP ha ribadito e ripetuto che sostanzialmente l’odiatissimo Andreotti si era alleato con i socialisti Mancini e Craxi, mentre nel Piano di Rinascita Democratica della loggia P2 il nome di Mancini compare accanto a quello di Bettino Craxi fra i pochi selezionatissimi esponenti del PSI cui sarebbe toccato in sorte di “rivitalizzare la politica nel paese”. Inoltre Mancini risulta fra i destinatari dei finanziamenti del bancarottiere piduista e mafioso Sindona e si è ipotizzata a più riprese la presenza del suo nome nella celebre “lista dei 500”, gli esportatori clandestini di valuta in Svizzera che si giovavano dei servigi del banchiere siciliano. E’ realmente stupefacente che sia calato il silenzio sulla documentata circostanza che un importante esponente del PSI, discusso e anche biasimato per i suoi rapporti poco trasparenti con la sinistra extraparlamentare fosse reputato uomo quantomeno “avvicinabile” dalla loggia P2 e da quei poteri che, almeno teoricamente, erano riconducibili all’”opposta sponda”. Ma i giudizi lusinghieri del Gran Maestro nei confronti dell’area dei socialisti autonomisti non sorprende… Nella celebre intervista rilasciata sul Corriere – del quale era l’effettivo padrone – al giornalista piduista Maurizio Costanzo nell’ottobre del 1980, il Venerabile Gelli gettava la maschera e rivelava che la sua massima ispirazione era conciliare il democristiano Andreottti e il socialista Craxi destinati, in una futura Repubblica presidenziale, a ricoprire rispettivamente la carica di Presidente della Repubblica e Presidente del Consiglio.
In quanto ad Eugenio Cefis, dopo aver sostenuto a lungo l’anziano Amintore Fanfani, può aver deciso di puntare su altri cavalli (Andreotti e Mancini). Agli inizi degli anni Settanta la scalata di Cefis alla Montedison era stata sostenuta ed appoggiata proprio da Fanfani ed era avversata da Andreotti e Mancini vicini al concorrente del successore di Mattei, Nino Rovelli e la sua SIR.
Dopo l’insuccesso del referendum per abrogare la legge che istituiva il divorzio (1974) era ormai chiaro che una personalità, in fondo di vecchio stampo, come Fanfani non poteva più brillare.
Occorrevano uomini capaci di interpretare i tempi nuovi ed agire di conseguenza…
Sempre nel citato testo del prof. Lenci il sostegno di Cefis al socialista Mancini è fuori questione: nel periodo considerato il Presidente della Montedison finanziava Tempo Illustrato, un periodico molto vicino alle posizioni di Mancini. Ne era direttore il giornalista Lino Iannuzzi, allora piuttosto allineato alle posizioni dei radicali e dei socialisti, che sarebbe stato eletto senatore per la berlusconiana Forza Italia. Sorprendentemente ben informato grazie ad alcune fonti molto addentro ai servizi segreti – fra queste, con ogni probabilità, anche l’ex capo dell’Ufficio D del SID Gianadelio Maletti piuttosto vicino alle posizioni di Andreotti -, il giornale fu ben presto costretto a chiudere.
Il cerchio pare serrarsi proprio ripescando i personaggi della “sovversione rossa”…
Quando nel corso del procedimento giudiziario contro la già citata rivista dell’”Autonomia” Metropoli, il personaggio più importante del comitato di redazione Franco Piperno venne scarcerato, Mancini gioì per la sorte dell’amico. In seguito alle successive incriminazioni il professor Piperno riparò in Canada, ossia lo stesso paese in cui si era rifugiato anche Cefis a partire dal 1977. Dopo che il leader dell’Autonomia venne arrestato dalla polizia canadese, le autorità giudiziarie furono costrette a rimetterlo in libertà perché qualcuno aveva pagato la cauzione di 60.000 dollari. Pur non affermandolo esplicitamente, Lenci si era certo convinto che quel pagamento fosse stato effettuato dallo stesso Cefis su intercessione dell’onorevole Mancini.
Nulla prova questa illazione e, tuttavia v’è da chiedersi come certe latitanze siano state mantenute e pagate…
Soprattutto Franco Piperno non è mai stato un attore di secondo piano nelle vicende della “sovversione rossa” e, innanzitutto, del caso Moro…
In seguito all’assassinio di Mino Pecorelli, come di rito la polizia eseguì i rilevamenti nell’appartamento di via Tacito e rinvenne parecchio materiale interessante e addirittura scottante…
In un appunto scritto a mano vi si legge: “Come avviene il contatto mafia-BR, CIA/KGB-mafia. I capi BR risiedono in Calabria. Il capo che ha ordito il rapimento, che ha scritto i primi proclami BR, è il prof. Franco Piperno, prof. Fisica univ. Cosenza.”
Premettendo che tale enunciato è eccessivamente perentorio per una vicenda complessa come quella dell’affaire Moro, ci sentiamo il dovere di aggiungere che la posizione del professor Piperno e dei personaggi che ruotano intorno alla rivista Metropoli è tutt’altro che risolta…
Una buona parte di pubblicistica tende a sottolineare il presunto ruolo positivo del PSI e di Craxi nel tentativo di salvare Moro e di sottrarlo dalle mani brigatiste attraverso una trattativa da condurre con quella fazione brigatista “che voleva Moro vivo” (Morucci e Faranda) con la mediazione di personaggi importanti dell’”Autonomia Organizzata” che ruotavano intorno alla rivista Metropoli.
Ad un occhio meno superficiale e più indagatore non sfugge, però, che tali contatti si ammantarono di una robusta dose di ambiguità. La vicenda CERPET – Metropoli dimostra con pochi margini di dubbio che esponenti importanti del PSI coltivavano rapporti tutt’altro che sporadici con i “sovversivi” autonomi e che, di tali relazioni, si giovarono i maggiori leader del partito, Craxi e Signorile per rilanciare una linea politica autonoma dalla DC e dal PCI. Conoscendo lo spregiudicato protagonismo dell’allora segretario del partito è assai arduo concludere che egli si fosse posto come obiettivo precipuo quello di “liberare Aldo Moro”, mentre sarebbe assai più semplice, alla luce dei fatti documentati, riconoscere che la presunta “trattativa” concerneva un oggetto diverso, il governo del paese. In quei fatidici cinquantacinque giorni si decideva quale assetto governativo alternativo al temuto Compromesso Storico potesse essere più consono per una stabilizzazione definitiva del paese. Niente di male trascurando il piccolo dettaglio che tale decisione non era affidata ad un responso elettorale e neanche alla discutibile contrattazione fra i partiti, ma alla sinistra sinfonia dei mitra. E’ verosimile, quindi, che, dati i margini ristretti di manovra per riuscire a convincere i brigatisti a rilasciare Moro dietro una soddisfacente contropartita, chi aveva fitti contatti con il “partito armato” pensasse di lucrare politicamente sulla “linea della trattativa”. Inoltre, nel periodo “caldo” delle trattative, i promotori brigatisti della “linea morbida” nei confronti dell’ostaggio – Valerio Morucci e Adriana Faranda, ossia coloro che avevano avviato i contatti con i loro “ex compagni” di Potere Operaio per una possibile trattativa – riferivano gli sviluppi al capo brigatista Mario Moretti, presunto fautore della linea “dura”, che non ostacolò quello che poteva essere anche essere considerato il frutto di una iniziativa autonoma e portata avanti al di fuori dei normali canali dell’organizzazione. In realtà la colonna romana delle BR pullulava di militanti ed ex militanti di Potere Operaio, del quale, nella peggiore delle ipotesi non era che una succursale. Non potendo contare su una propria stabile cellula già insediata nella capitale, verso la fine del 1975 ed in concomitanza con la firma per il contratto d’affitto per l’appartamento di via Gradoli 96, Moretti decise di fare ricorso all’aiuto dei “compagni” dell’”Autonomia” per insediare a Roma una colonna brigatista proprio in previsione dell’operazione Moro. E’ anzi probabile che questa “colonna romana” fu creata allo scopo esclusivo di fornire il necessario supporto militare e logistico a un’azione che, diversamente, sarebbe rimasta solo sulla carta. Raccogliere elementi a sostegno di tale tesi significherebbe corroborerebbe il cosiddetto “teorema Calogero”, dal nome del giudice padovano che istruì il processo contro la fazione dell’Autonomia che faceva riferimento al professor Toni Negri e che si era convinto che la relazione fra le BR e la “galassia” sorta dallo “scioglimento” di Potere Operaio poggiasse su solide fondamenta. E’ innegabile che i brigatisti romani che parteciparono all’operazione Moro provenissero dalle file di Potere Operaio – l’organizzazione dell’ultrasinistra fondata da Negri, Piperno, Pace e Scalzone -. Giovani e decisi militanti come Bruno Seghetti, Alessio Casimirri, Alvaro Lojacono e Rita Algranati, ma perfino lo stesso Morucci e il “quarto uomo” della prigione brigatista, quel Germano Maccari che fu costretto ad ammettere il proprio ruolo a distanza di una quindicina di anni. Quando, almeno apparentemente, Potere Operaio si dissolse, Morucci e Maccari costituirono una struttura “militarista” e “militarizzata”i Comitati Comunisti Rivoluzionari.
Simpatizzanti, irregolari o militanti inquadrati ?
Autonomi o brigatisti ?
Nelle strutture dotate di flessibilità e fluidità risulta assai difficile se non impossibile tracciare un qualsivoglia confine…
Se l’affaire Moro potrebbe essere accostato ad un mosaico infinito che serba sempre nuovi ed inediti tasselli, Metropoli vi si inserisce senza difficoltà incastrandosi alla perfezione.
Occorre partire da un’operazione di polizia, una perquisizione effettuata in un appartamento sito in viale Giulio Cesare 47 a Roma il 29 maggio del 1979. Nel corso dell’irruzione vengono tratti in arresto Valerio Morucci e Adriana Faranda che, dopo l’esecuzione dell’onorevole Moro, avevano deciso di lasciare le BR per fondare un proprio gruppuscolo armato. E’indubbiamente un successo, ma quel che viene trovato e repertato desta sicuramente ansia e preoccupazione ai piani alti.
Vediamo perché…
FINE TERZA PARTE
HS
Fonte: www.comedonchisciotte.org
6.08.20120
VEDI ANCHE: RITRATTO DI UOMO IN…”GRIGIO” (PRIMA PARTE)
RITRATTO DI UOMO IN…”GRIGIO” (SECONDA PARTE)
VEDI ANCHE: RITRATTO DI UOMO IN…”GRIGIO” (QUARTA E ULTIMA PARTE)