RITRATTO DI UOMO IN… GRIGIO (QUARTA E ULTIMA PARTE)

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DI HS
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Come altri luoghi celebri e più frequentati dell’affaire Moro – via Fani, via Caetani, via Gradoli, via Montalcini – quell’appartamento è una miniera di documenti ed oggetti preziosi ed esplosivi. Ci limitiamo a citarne alcuni…

nelle tasche di Morucci vengono rinvenuti biglietti con annotati nomi, indirizzi e numeri di telefono. E’soprattutto uno – ma non il solo – a suscitare un certo scalpore fra gli addetti ai lavori: il commissario Antonio Esposito, responsabile della centrale operativa del commissariato di Monte Mario in servizio nella mattinata dell’agguato di via Fani.
Il commissariato di Monte Mario fu il primo ad attivarsi dopo le segnalazioni della sparatoria nel corso della quale Moro fu prelevato e rapito dai brigatisti. Ma c’è di più…

Il nominativo del commissario è stato rinvenuto nella lista conosciuta della loggia P2 che – com’è risaputo – occupò sostanzialmente il Ministero degli Interni e i Comitati di Crisi allestiti dal Ministro Cossiga per affrontare in maniera adeguata l’offensiva brigatista.
Nei fatti Gelli & c. avevano il paese nelle loro mani nel corso di tutti quei cinquantacinque giorni… Allora perché l’ex brigatista ed ex militante di Potere Operaio Valerio Morucci conservava in tasca un biglietto con nome, indirizzo e numero di telefono di un commissario di polizia piduista ? Per una futura azione “militare” ? O per qualcosa di meno confessabile da parte di chi si vanta di essere investito di salvifiche missioni rivoluzionarie ?

una perizia balistica conferma che la Skorpion – mitraglietta di fabbricazione cecoslovacca – trovata nell’appartamento è la stessa che ha sparato i colpi mortali per l’esecuzione della “sentenza di morte” comminata all’onorevole Moro. Anche in questo caso sorgono alcune spontanee domande: come mai quell’arma era in possesso di Morucci e della Faranda che, da ex brigatisti, si erano allontanati dall’organizzazione ? E’ verosimile e concepibile che i due fossero riusciti a sottrarre quel prezioso mitra all’insaputa di Moretti e dei capi brigatisti ? Soprattutto, da dove proveniva quel mitra dalla matrice abrasa ? Forse da qualche deposito di armi e munizioni destinato a qualche “corpo non convenzionale” ?

Sorprendentemente i due ex brigatisti si avvarranno della consulenza balistica di un perito d’eccezione e già molto noto e famigerato a quei tempi: si tratta di Marco Morin, ex ordinovista ed estremista “nero” il cui nominativo è comparso in una lista di soggetti reclutabili dall’organizzazione paramilitare atlantica GLADIO, la struttura anticomunista finanziata e foraggiata da americani ed inglesi. Già il servizio prestato da un ex estremista “nero”, neonazista e filoatlantico a favore di due ex brigatisti ed estremisti “rossi” non può non lasciare perplesso l’osservatore più distratto, si aggiunga poi che il personaggio in questione non è propriamente affidabile.

Da militante di Ordine Nuovo era stato arrestato e condannato dal Pretore di Verona per detenzione di esplosivi e materiale da guerra nel 1967 ma presto rilasciato. Come esperto di armi ed esplosivi aveva effettuato perizie per casi importanti ed assai delicati come l’assassinio del commissario Calabresi e la strage di carabinieri a Peteano nel Friuli contribuendo a diffondere la sua fama sinistra di depistatore.
Infatti anche in questo caso non si smentisce concludendo nella sua relazione che la Skorpion in questione non poteva essere quella usata per uccidere Moro. Perché Morin ha messo le sue doti di depistatore al servizio di Morucci e della Faranda ? E’ forse interessato alla provenienza della Skorpion ?

Se si dovesse decidere di cimentarsi in maniera esaustiva sulle stranezze e sui misteri che si intrecciano in maniera inestricabile attorno all’appartamento di viale Giulio Cesare 47 – con tutti i risvolti che rimandano al caso Moro – non basterebbero mille pagine da riempire con analisi, riflessioni e dati… Ai fini delle argomentazioni qui presenti ci accontentiamo di cercare di approfondire quel versante che coinvolge taluni personaggi che si muovono in un certo ambiente e i loro presumibili rapporti con l’”enigma Cefis”. Innanzitutto occorre ricordare che l’appartamento in questione fu messo a disposizione da Giuliana Conforto, figlia di Giorgio, meglio noto come l’agente “Dario” del KGB sovietico, ma anche personaggio misterioso che si presta a sospetti di “doppiogiochismo”, con un curriculum vitae comune ad altri protagonisti della nostra storia – espulsione dal PCI e successiva militanza nel PSI -. La presunta doppiezza di Giorgio Conforto, desumibile da una vecchia intervista rilasciata sul Borghese diretto all’amico giornalista missino e piduista Mario Tedeschi dall’ex dominus dell’Ufficio Affari Riservati del Viminale Federico Umberto D’Amato, rinvia forse all’appunto di Pecorelli circa un contatto CIA/KGB, mafia e BR ? Collegamento difficile da stabilire, ma in ogni caso, suggestivo e non del tutto inverosimile… Giuliana Conforto ha, però, puntato il dito contro Franco Piperno – non a caso indicato sempre da Pecorelli nel medesimo appunto – e Lanfranco Pace, leader sessantottini di Potere Operaio e promotori ed animatori del CERPET/Metropoli: costoro avrebbero le avrebbero chiesto di ospitare i due transfughi dalle BR.
La stessa Conforto è presente nel comitato di redazione di Metropoli.

Passando in rassegna i nomi e i cognomi che ricorrono in alcuni degli episodi più misteriosi ed inquietanti dell’affaire Moro si ha quasi l’impressione che ci si muova in un ambiente familiare ove i vari attori si conoscono e si frequentano grazie ai rapporti di amicizia e di parentela…

E con Giuliana Conforto l’affaire Moro rimbalza da viale Giulio Cesare direttamente a via Gradoli 96, nel covo brigatista ove risiedeva il capo del gruppo, l’ineffabile e discusso ingegner Altobelli alias Mario Moretti.

Strano covo davvero, quello di via Gradoli 96…

In questa via, invero non centralissima di Roma, scopre che, oltre ad alcuni covi di formazioni armate brigatiste o pseudobrigatiste, abitano a pochi passi da Moretti anche estremisti di destra, latitanti della malavita romana e confidenti della polizia. Inoltre un buon numero degli appartamenti della palazzina sono gestite da strane società immobiliari e amministrate da fiduciari del servizio segreto civile, organismo da ricondurre al Viminale, ossia l’istituzione di governo che, direttamente, si occupa della crisi causata dall’operazione brigatista…

La scoperta quasi certamente pilotata del covo brigatista di via Gradoli 96 avviene in concomitanza con la diffusione del falso comunicato brigatista numero 7, il cosiddetto comunicato del lago della Duchessa, stilato su suggerimento dell’esperto americano dell’antiterrorismo Steve Pieczenick con l’intento ormai dichiarato di costringere i brigatisti ad eliminare direttamente Aldo Moro. L’esperto del Dipartimento di Stato che era giunto in Italia su sollecitazione del Ministro degli Interni Francesco Cossiga, era ripartito per gli States da tre giorni. Segno che i giochi erano ormai fatti ?

A stilare il falso documento brigatista era stato assoldato un bizzarro personaggio del sottobosco della malavita romana, tale Antonio Chichiarelli a cui sono state imputate disparate e incessanti frequentazioni di terroristi ed estremisti di destra, degli autonomi, di brigatisti, di esponenti di spicco della famigerata banda della Magliana, nonché dei servizi segreti e dell’Arma dei carabinieri. Coinvolto anche nei retroscena dell’assassinio di Pecorelli e in una serie di tentativi di ricatto attraverso l’esibizione di messaggi allusivi e riferibili al caso Moro, verrà a sua volta assassinato nel 1984 e la sua morte rimarrà senza spiegazione plausibile.
Invece non è più in discussione che il falsario romano agì su suggerimento e istigazione di personaggi in qualche modo collegate ai Comitati di Crisi di marca piduista e atlantica.

Da quanto tempo si sapeva della base operativa brigatista a Roma approntata per il sequestro Moro ? Quanti ne erano a conoscenza dentro e fuori lo Stato ? E’ ancora possibile identificarli ?

E’ stato accertato che il covo di via Gradoli non venne utilizzato solo da Mario Moretti e da Barbara Balzerani, ma anche dagli stessi Morucci e Faranda e che Luciana Bozzi – colei che sottoscrisse il contratto di affitto – era un ottima amica di Giuliana Conforto. Entrambe le donne erano ricercatrici per il Centro Nucleare della Casaccia e di fisica nucleare si occupava pure il professor Piperno, titolare di una cattedra all’Università di Cosenza. Le sorprese non finiscono certo qui… Secondo l’ex senatore Flamigni, l’ingegnere Giancarlo Ferrero, marito della Bozzi, sarà destinato ad una brillante carriera come manager nel delicato settore delle telecomunicazioni e dell’informatica. Alla fine degli anni Novanta siederà nel consiglio di amministrazione della Omnitel Pronto Italia e dal 1999 ricopre la carica di amministratore delegato della Bell Atlantic International Italia srl, filiale italiana della potente multinazionale americana del settore delle telecomunicazioni.
Le posizioni e le cariche ricoperte dall’ingegner Ferrero richiedono il NOS, il “nulla osta sicurezza” rilasciato dalle autorità della NATO per poter svolgere attività in settori strategici e delicati per la sicurezza nazionale. E’ verosimile che un così alto livello di accesso possa essere concesso a una persona così impastoiata in ambienti sovversivi e “rossi” ?
L’impressione generale che se ne ricava è che i vari Moretti, Morucci, Balzerani, Faranda, Ferrero, Bozzi, Conforto, Piperno e Pace si conoscano molto bene e che le rispettive frequentazioni non siano assolutamente superficiali. La passione per le telecomunicazioni e le nuove tecnologie informatiche potrebbe aver accomunato e avvicinato il capo brigatista Mario Moretti e l’ingegnere Giancarlo Ferrero… Il giorno dopo il massacro di via Fani e il prelevamento dell’onorevole Moro, un’inquilina di via Gradoli 96, la confidente della polizia Lucia Mokbel, segnalerà al vicequestore Elio Cioppa uno strano ticchettio proveniente dall’appartamento dell’ingegner Altobelli. Con ogni probabilità si trattava di una telescrivente ideata per comunicare con le varie colonne brigatiste. Ciononostante verrà ordinata e disposta solo una sommaria e superficiale perquisizione dei locali del palazzo mentre la base brigatista resterà intonsa. Dopo essere divenuto funzionario del servizio segreto civile, il SISDE, Cioppa vedrà calare le sue fortune: il suo nominativo compare nell’ elenco della loggia Propaganda 2 trovato a Castiglion Fibocchi.

Una “famiglia” piuttosto strana, quella formata da fisici nucleari e da esperti in informatica e telecomunicazioni che entra ed esce dalle abitazioni di via Gradoli 96 e da viale Giulio Cesare 47. Forse la chiave per comprendere questa rete di rapporti è proprio quello snodo rappresentato dal centro di ricerca CERPET e dalla rivista Metropoli che, a costo di apparire ripetitivo e monotono, rinviano alla tormentata, complessa e convulsa storia di Potere Operaio…

Nel 1974 Valerio Morucci, allora militante di Potere Operaio, venne tratto in arresto al confine con la Svizzera con un compagno dell’organizzazione, tale Libero Maesano per possesso di armi comuni e da guerra. In quel periodo la Svizzera era un canale privilegiato per i traffici d’armi gestiti, oltre che dai nostrani estremismi “bianchi”, “neri” e “rossi”, dai servizi segreti e dalle varie organizzazioni mafiose e malavitose che infestavano e infestano il nostro paese.
In circostanze simili viene pizzicato anche l’estremista di destra e neofascista Gianni Nardi, uno degli elementi “arruolabili” nella GLADIO e, probabilmente, in contatto con esponenti del servizio supersegreto Anello. Non è quindi un caso che il commissario Calabresi si stesse occupando proprio di investigare su questi traffici nel periodo che precedette il suo assassinio.
Ciononostante Morucci e Maesano verranno presto scarcerati senza alcuna plausibile spiegazione… Secondo Jacopo Sce e Silvano Bonfigli, consulenti della disciolta Commissione Stragi presieduta dal senatore Pellegrino, nel 1997 l’organismo per il quel stavano lavorando aveva acquisito l’agenda di Libero Maesano. A sorpresa vi erano annotati anche nomi che nulla avevano da spartire con il “sovversivismo rosso” e, fra questi, spiccava quello dell’ammiraglio Eugenio Henke, direttore del SID dal 1966 al 1970, il periodo “caldo” della “strategia della tensione” e della strage di piazza Fontana. Alla fine degli anni Settanta Libero Maesano compare nel comitato di redazione di Metropoli accanto a Giuliana Conforto a conferma di un percorso che pare assimilare gli ex “potopisti” e simpatizzanti del “lottarmatismo”.

A questo punto il dubbio che il gruppo che ruota intorno al CERPET/Metropoli sappia molto più di quanto abbia lasciato ad intendere sull’affaire Moro si rafforza. Come e quanto sono implicati i “compagni” ?

Al momento mi sovviene una battuta pronunciata da Gian Maria Volontè/Aldo Moro nel film “Il caso Moro” diretto da Giuseppe Ferrara, regista molto versato in pellicole che trattano i più inquietanti misteri della nostra Repubblica: “Dove c’è fumo, c’è arrosto !”. Dietro apparenti fumisterie e astruse allusioni c’è ben più di quello che viene immediatamente percepito.

Vediamo…

24 marzo 1979: presumibilmente su richiesta dei leader raccolti nel gruppo di Metropoli – Piperno e Pace – Giuliana Conforto ospita gli ex brigatisti Morucci e Faranda;

sempre nel marzo 1979: la rivista dell’”Autonomia” Metropoli pubblica un fumetto che dovrebbe sull’affaire Moro intriso di allusioni e di messaggi trasversali. Si rimanda alla “geometrica potenza delle BR” quasi a sottolineare che tale capacità militare non poteva essere esclusivamente farina del sacco brigatista. Vi compare un misterioso personaggio il cui volto è coperto da un punto interrogativo, chiaro riferimento a un “Grande Vecchio” o comunque a soggetti estranei alle BR che hanno partecipato all’operazione. Interpellato durante una seduta della Commissione Stragi il leader del PSI Claudio Signorile, uno dei protagonisti della “trattativa” condotta fra PSI – “Autonomia”/Metropoli – BR, sosterrà che quella sagoma non rappresentava un preciso personaggio, ma un soggetto collettivo a significare che, al di sopra delle BR, erano altri i veri cervelli dell’iniziativa terroristica;

7 aprile 1979: il sostituto procuratore di Padova Guido Calogero, già noto per le inchieste che investivano la cellula padovana di Ordine Nuovo, dispone l’arresto dei più importanti esponenti dell’”Autonomia” fra cui Toni Negri, Franco Piperno, Oreste Scalzone, Lanfranco Pace ed Emilio Vesce per citarne i più noti… Il “teorema” del magistrato si fonda sulla convinzione, non del tutto immotivata, che fra Potere Operaio, l’”Autonomia Organizzata” e le BR sussista un rapporto organico. Anzi, per il giudice, le BR non sono altro che il braccio armato della dissolta – almeno ufficialmente – organizzazione della sinistra extraparlamentare Potere Operaio. Si ventila un coinvolgimento dei “potopisti” nell’operazione del sequestro Moro che sarebbe stato ideata dal professor Toni Negri;

29 maggio 1979: il citato arresto di Morucci e della Faranda nell’abitazione della Conforto. Il blitz non può non suscitare l’allarme di certi ambienti considerata la presenza di reperti e documenti di interesse e pertinenza con il caso Moro;

aprile 1980: trascorre un anno dagli arresti dei principali esponenti dell’”Autonomia” ordinati dal giudice Calogero e la solita rivista Metropoli ospita un altro strano articolo colmo di allusioni nel quale, innanzitutto, una certa maga Ester, esperta in Oroscopi, prevede che il processo del 7 aprile si concluderà con una serie di assoluzioni. Si cita poi un misterioso “Grande Vecchio” di origine russa che avrebbe condotto gli interrogatori dell’onorevole Moro nella prigione brigatista. Il misterioso personaggio verrà individuato anni dopo nella figura del celebre direttore d’orchestra Igor Markevitch, già quotatissimo negli ambienti culturali ed intellettuali, ed amico in passato del musicista Igor Stravinskiy , del poeta, scrittore e pittore Jean Cocteau e del critico d’arte Berenson. Il messaggio non può che destare perplessità: si vuole direttamente coinvolgere il musicista russo o si vuole alludere ad altro, a qualcosa che appartiene alla sua biografia e alle sue relazioni ? In ogni caso la maga Ester azzeccherà la previsione sull’esito del processo del 7 aprile. Ma chi si cela dietro la “maschera” della finta astrologa ? Probabilmente la stessa Giuliana Conforto che al di fuori della sua professione scientifica coltiva l’hobby dell’esoterismo. Ad ogni buon conto davanti alla Commissione Stragi Piperno e Pace saranno molto elusivi ed evasivi sull’argomento anche se appare ormai lampante che, non solo Metropoli è coinvolta in qualche modo nell’affaire Moro, ma minaccia di fare gravi rivelazioni in merito se non verrà chiusa la vertenza giudiziaria.

E’ come una maledetta partita a scacchi…

I messaggi non sono comunque circoscritti agli articoli di Metropoli, perché all’incirca nello stesso periodo il giornale satirico Il Male, piuttosto vicino alle posizioni dell’”Autonomia”, annuncia la pubblicazione di un libro “Malta, Cavalieri e testine rotanti”. Il titolo si riferisce in maniera piuttosto chiara ad un coinvolgimento di personaggi del famoso ordine cavalleresco nell’affaire Moro e, soprattutto, nella redazione del falso comunicato brigatista numero 7, quello del lago della Duchessa. L’Ordine dei Cavalieri di Malta è ritenuto generalmente un utile strumento nelle mani dei servizi angloamericani e delle logge massoniche. Il libro mai venuto alla luce sembra, quindi riprendere la tesi dello storico americano Tarpley nel suo “Chi ha ucciso Aldo Moro ?” (1978) commissionato dal compagno di partito di Moro Giuseppe Zamberletti. Tarpley chiamava direttamente in causa Henry Kissinger e gli angloamericani ritenuti i veri registi dell’azione che ha portato alla morte dell’architetto del Compromesso Storico. Sempre Il Male darà alle stampe un libretto sulla morte del giornalista Mino Pecorelli che dedicò parecchie energie a inseguire lo scoop nell’affaire Moro. Curiosamente il più stretto collaboratore di Mino Pecorelli, uomo notoriamente di destra e anticomunista, già iscritto alla P2 e vicino all’ex direttore del SID Vito Miceli, militare dalle sincere simpatie fasciste e gradito negli ambienti vicini all’amministrazione americana del Presidente repubblicano Richard Nixon, era un certo Paolo Patrizi, ex militante di Potere Operaio. Mino Pecorelli poteva forse costituire un’ottima ed inesauribile miniera di informazioni per quei settori del giornalismo legati all’”Autonomia” ?

Non è finita: tre anni prima del sequestro Moro, mentre la formazione della colonna romana delle BR era in corso d’opera, il cabaret romano Bagaglino fece uscire una pubblicazione per celebrarne la fondazione. In quell’unico numero era contenuto un perturbante scritto intitolato “Dio salvi il Presidente” e firmato dal già citato regista Pingitore, nel quale veniva descritta dettagliatamente e con ricchezza di particolari la giornata dell’allora Presidente del Consiglio Aldo Moro con tanto di orari e spostamenti. Leggendo quell’”articolo” i brigatisti non avrebbero avuto bisogno di condurre alcuna inchiesta preliminare all’azione di prelevamento del politico democristiano. E’ assai arduo considerare il povero regista comico come l’estensore di quello che appare, a tutti gli effetti, il rapporto di qualche servizio segreto, ma qualche dato interessante ci può venire in aiuto…
Perché il Bagaglino appartiene all’impresario e faccendiere Felice Fulchignoni, ex fascista e uomo di destra al servizio dell’Anello e, al contempo, sodale degli esponenti del PSI Giacomo Mancini e Antonio Landolfi che flirtavano con la sinistra extraparlamentare. Senza ritenerlo l’autore, è assai probabile che quel rapporto sia stato compilato e pubblicato dietro suo suggerimento.
Ripensando, poi, alla comune amicizia con il potente leader socialista Mancini, è lecito domandarsi se il Fulchignoni conoscesse e intrattenesse rapporti di qualche tipo con il professor Piperno e il gruppo CERPET/Metropoli ? Ancora una volta le vicissitudini della rivista dell’”Autonomia” rinvierebbero all’oscuro mondo dei servizi segreti e dei poteri occulti…

E’ proprio vero: dove c’è fumo, c’è anche arrosto…

In anni più recenti i maggiori protagonisti di queste vicende hanno aperto qualche nuovo piccolo squarcio sulla realtà senza dare però l’affondo finale. Se il professor Piperno parlerà di una sua visita nella lussuosa abitazione alto borghese di un personaggio altolocato di Roma rimasto senza identità per un incontro che vede presenziare anche il capo brigatista Mario Moretti nell’estate del 1978, Valerio Morucci confesserà che l’organizzazione (le BR) decise di non rendere noti i “verbali” dell’interrogatorio brigatista di Aldo Moro, perché quanto svelato non rispondeva alla realtà che i terroristi dipingevano… In Italia non contava tanto la DC quanto una sorta di tecnocrazia che oggi, molto semplicisticamente e sommariamente, identifichiamo con la loggia P2. Siamo, però, ancora alla superficie…

Tanto per aggiungere illazione a illazione sulla base, però, di ragionevoli supposizioni dedotte da elementi fattuali è veramente così peregrino pensare che i maggiori leader del gruppo dell’”Autonomia” raccolto intorno alla rivista Metropoli conoscessero la provenienza di determinati fondi (Montedison) che pervenivano al CERPET, la perfetta copertura dei rapporti fra il movimento e importanti esponenti del PSI ? E che fossero stati messi al corrente, magari proprio dagli stessi esponenti socialisti, che Cefis costituiva la punta di diamante di una cordata di potere politica finanziaria massonica – magari sostenuta generosamente da taluni ambienti americani – (Gelli – Andreotti – Sindona – Calvi) ? E che, dopo aver appreso queste primizie, si sono adattati ad un ruolo cucito su di loro per poi lanciare messaggi minacciosi in corrispondenza con gli sviluppi della situazione politica italiana seguiti alla morte dell’onorevole Moro ? Restano le domande e rimangono le illazioni…

I maggiori attori protagonisti che attraversano l’ennesima vicenda che, forse, riguarda pure l’ex padrone dell’ENI e di Montedison si sono guadagnati il Paradiso dopo quel po’ po’ di Purgatorio…

Dopo aver rimbalzato fra la solita Francia e il Canada, il professor Piperno è tornato in Italia e al vecchio ovile dell’ex PCI o PDS e DS. In prossimità del Sessantotto era stato espulso dal partito per le sue posizioni estremiste ed eretiche, ma ormai quei tempi sono lontani… Per un certo periodo di tempo è stato chiamato dal vecchio amico Giacomo Mancini, all’epoca sindaco di Cosenza, a fare l’Assessore alla Cultura, carica che ricoprirà anche con la Giunta successiva retta da Eva Catizone. Recentemente il professor Piperno ha sostenuto davanti alle telecamere del programma di Bruno Vespa – “Porta a Porta” – che i brigatisti erano “brave persone e mosse da ideali”.

L’amico di Piperno, Lanfranco Pace ha trovato “asilo” ne Il Foglio diretto da Giuliano Ferrara, ex comunista, ex agente CIA, ex craxiano, neo e teocon e “berlusconiano critico”. Il quotidiano raccoglie le firme di parecchi ex di Lotta Continua e di Potere Operaio sostanzialmente convertiti al craxismo e poi al berlusconismo. Lo stesso Ferrara si fregia dell’amicizia del solito Adriano Sofri, un uomo le cui riflessioni sono buone per ogni stagione del centrodestra e del centrosinistra. Quando Ferrara abbandonerà la conduzione del programma televisivo “Otto e Mezzo” in onda su La 7, verrà chiamato proprio l’amico Lanfranco a rimpiazzarlo.

Per quel che riguarda l’ex “potopista” ed ex brigatista Valerio Morucci, è trattato alla stregua di un “eroe rivoluzionario” in determinati ambienti giovanili suggestionati e suggestionabili dalle gloriose epopee estremiste di qualsivoglia colore.

Con somma sorpresa dei neofiti in materia il “terrorismo” ed il “sovversivismo rosso” incrociano più volte la strada percorsa dall’enigmatico Cefis e dai suoi uomini all’interno dell’ENI e della Montedison, quasi tutti ex militari ed ex partigiani “bianchi” vicini ad Enrico Mattei. L’ex brigatista Alberto Franceschini rivelò che verso la metà degli anni Settanta le BR avevano in progetto il rapimento di Carlo Massimiliano Gritti, in quel periodo strettissimo collaboratore e braccio destro di Cefis e manager della Montefibre del gruppo Montedison.
L’azione – che avrebbe dovuto essere attuata in contemporanea al sequestro dell’onorevole Giulio Andreotti – rientrava in una campagna finalizzata allo svelamento delle trame “neogaulliste” in favore di una riforma neopresidenziale dello Stato italiano portate avanti da noti ambienti finanziari, politici e militari. Qualcosa che richiama molto da vicino i piani piduisti anche se, sicuramente, Curcio, Franceschini e gli altri “compagni” delle BR non potevano essere a conoscenza dell’esistenza della loggia coperta. Nel quadro della campagna brigatista, la formazione armata penetrò nella sede dei Comitati di Resistenza Democratica del solito Edgardo Sogno nel maggio del 1974 per trafugare alcuni scottanti documenti sull’argomento. Pare che, tuttavia, in maniera alquanto imprevista, il più prezioso dei collaboratori ed alleati del blasonato ex comandante partigiano filoamericano e filo inglese – Luigi Cavallo, dall’oscuro passato da partigiano comunista nella formazione Stella Rossa – fosse riuscito a mettersi in contatto con talune formazioni dell’area “lottarmatista” e a carpirne la fiducia… In ogni caso le due operazioni di sequestro non vennero mai realizzate e si ripiegò su un obiettivo più comodo e modesto, il giudice genovese Mario Sossi.
Su Gritti ritorneremo in seguito, anche se non può sfuggire il livello dell’obiettivo fissato dai capi brigatisti. Uomo di fiducia di Mattei e responsabile della sicurezza interna dell’ENI e dei rapporti con i servizi segreti, Gritti doveva essere a conoscenza di taluni, inconfessati retroscena della morte del padrone dell’ente petrolifero ed energetico. Secondo Italo Mattei, il figlio del Presidente, Gritti tentò di convincere la famiglia che il padre era stato vittima di un incidente.
Negli anni successivi anche questo compagno d’armi ed amico di Mattei si legherà alle sorti di Cefis prima nell’ENI e poi nella Montedison costruendosi la fama di potente ed influente manager e finanziere. Nell’eventualità di un interrogatorio i brigatisti avrebbero chiesto al Gritti di raccontare quanto accadde intorno al Presidente Mattei nell’imminenza dell’”incidente” del 1962 oltre che di descrivere i rapporti con l’”eminenza grigia” ?

Non meno importante e rilevante di Massimiliano Gritti è un altro protagonista del nostro “romanzo”, l’ex agente dell’OSS americano, ex magistrato, amico e collaboratore di Mattei e di Cefis, Ugo Niutta.
Seguendo un percorso comune ad altri personaggi che popolano queste vicende, Niutta entrò in contatto con i partigiani della Val d’Ossola durante la guerra. Laureatosi in giurisprudenza, entrerà in magistratura, ma presto Mattei lo chiamerà al suo fianco nell’ENI. A lungo lavorò e operò nelle Partecipazioni Statali: nel 1975 fu nominato commissario straordinario dell’Ente Cinema e successivamente portò l’EGAM alla liquidazione. Il suo attivismo e la molteplicità dei suoi rapporti gli guadagnò molte amicizie fra esponenti della DC e del PSI e nell’ambito dell’industria privata.
In quel periodo si diffonde il sospetto che il famoso “Antelope Cobbler”, delle tangenti pagate dal colosso americano dell’industria bellica Lockeed per la vendita degli Hercules al Ministero della Difesa italiano fosse proprio il Niutta, perché con tale nome in codice aveva prestato servizio presso i servizi segreti americani durante la guerra.
Il Presidente della Montedison e inseparabile amico, Eugenio Cefis, lo insediò alla guida della Carlo Erba, il gioiello farmaceutico del gruppo. Nel 1978 Niutta condusse la Carlo Erba alla fusione con Farmitalia per la creazione di un grande polo industriale farmaceutico con quotazioni a Wall Street. Il nome di Niutta, tuttavia, si intreccia con un altro discusso e mai abbastanza approfondito personaggio che si riconnette alla stagione della “strategia della tensione” e degli “anni di piombo”.
Il 13 luglio del 1979 l’ex tenente colonnello del nucleo Traduzioni e Scorte dell’Arma dei carabinieri, Antonio Varisco viene assassinato da un commando brigatista diretto da Antonio Savasta. E’ un mese cupo e perturbante, quel luglio di più di dieci anni fa, un mese che non si può dimenticare… Il giorno prima è caduto l’avvocato Ambrosoli – liquidatore della Banca Privata del banchiere piduista e mafioso Sindona – sotto il piombo di un killer italoamericano prezzolato, mentre nella settimana successiva, il 21 luglio, verrà ucciso da Cosa Nostra il commissario Boris Giuliano, l’intraprendente capo della Mobile di Palermo sulle tracce dei proventi dei traffici di droga gestiti dalla mafia siciliana ed italoamericana.
La figura del “solerte servitore dello Stato” Antonio Varisco è ancor oggi circondata di quell’aura di mistero che permea parecchi ufficiali dell’Arma (si veda, ad esempio, il famoso capitano Delfino). Nella pubblicistica sull’argomento che si è succeduta in tutti questi anni, il nome del tenente colonnello compare nella trattazione di tutti i più inquietanti e misteriosi “enigmi” della Repubblica italiana come la “strategia della tensione”, la strage di piazza Fontana, la Rosa dei Venti, la loggia P2 e i retroscena dell’affaire Moro.
Secondo Rita Di Giovacchino, Varisco era legato al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa quando questi dirigeva la Securpena, il servizio segreto operante nelle carceri, mentre per l’esperto Paolo Cucchiarelli l’ufficiale era uno dei punti di riferimento dell’Arma dei Carabinieri nei rapporti tenuti con la destra più eversiva.
Secondo le ricostruzioni del solito Flamigni il tenente colonnello Varisco fu il primo a segnalare la famosa Renault 4 rossa in cui verrà rinvenuto il cadavere dell’onorevole Moro e ben prima dell’esecuzione di quest’ultimo. Inoltre Varisco non sarebbe estraneo agli sviluppi delle indagini sul covo di via Gradoli 96.
Quel che non si può assolutamente contestare è l’amicizia che legava il militare al giornalista e “piduista pentito” Mino Pecorelli che poteva sicuramente giovarsi di una ricca e preziosa fonte di informazioni soprattutto per quel che concerneva il caso Moro. Il 6 marzo del 1979 i due si ritrovarono in un ufficio sito in un elegante palazzo di piazza delle Cinque Lune in compagnia di un altro personaggio rimasto nell’ombra e che, a seconda delle versioni, alcuni hanno identificato nel generale Dalla Chiesa, altri nell’avvocato Ambrosoli…
Sicuramente i tre partecipanti all’incontro erano pedinati e sorvegliati…
Risponde a verità che, in quella sede, si discusse su inediti particolari dell’affaire Moro ?
La fine di Pecorelli è nota: ammazzato secondo il rituale di un’esecuzione mafiosa prevista per
coloro che “parlano troppo” appena due settimane dopo.
A distanza di ulteriori venti giorni un misterioso “turista straniero” a ritrovare un borsello contenente oggetti che evocano le modalità di esecuzione dell’onorevole Moro oltre ad alcune schede contenenti i nominativi di bersagli brigatisti tra cui lo stesso Pecorelli. La messinscena è stata architettata dal falsario Chichiarelli legato alla banda della Magliana e al servizio di branche dei servizi segreti nel quale ci siamo imbattuti accennando agli episodi del falso comunicato del lago della Duchessa e del ritrovamento (pilotato) del covo brigatista di via Gradoli 96. Il famoso borsello venne consegnato al colonnello dell’Arma Antonio Cornacchia, del nucleo di Polizia Giudiziaria e iscritto alla loggia P2. Il capitano Straullu stilerà un rapporto che, se reso pubblico, “avrebbe dovuto far saltare in aria il Palazzo”, ma anche lui verrà assassinato per mano dei terroristi “neri” dei NAR nel 1981. Ignoti killer malavitosi, bande armate “nere”, commandos di brigatisti rossi… E’ opinione ricorrente fra gli inquirenti e gli investigatori coinvolti nelle indagini di questi delitti sostanzialmente irrisolti che le armi utilizzate per uccidere Pecorelli, Varisco e Straullu provengano tutte dal famoso arsenale gestito dalla banda della Magliana e collocato nei sotterranei del Ministero della Sanità. Secondo lo storico “pentito” della mafia Tommaso Buscetta a Cosa Nostra venne chiesto di contattare i brigatisti per attentare alla vita del generale Dalla Chiesa, il presumibile “terzo uomo” di piazza delle Cinque Lune. La mafia siciliana non avrebbe maturato alcun interesse a eliminare il capo plenipotenziario dell’Antiterrorismo, ma avrebbe agito su commissione, subappaltando il delitto… Il 3 settembre 1982 l’organizzazione criminale ormai nelle mani dei boss corleonesi si farà carico eseguire direttamente il delitto a Palermo…
E’ una regola che buona parte della narrativa poliziesca o “gialla” rispettano senza riserve di sorta:
gli ambienti altolocati che frequentano il sempiterno Palazzo ove si svolgono i giochi nascosti del Potere e del Profitto si affidano agli esperti e ai professionisti delle azioni criminali a cui vengono appaltati e subappaltati i “dirty jobs”. In primis possono venire coinvolte quelle strutture militari o paramilitari (tipo Anello o le cellule inserite nel sistema STAY BEHIND) addestrate ad eseguire quei compiti non propriamente contenuti nell’alveo costituzionale con la copertura dei servizi segreti “ufficiali” o anche le tradizionali organizzazioni criminali mafiose come Cosa Nostra, la Ndrangheta e la Camorra, particolarmente versate in ogni tipo di attività delinquenziale con la connivenza di settori istituzionali. Si può fare anche ricorso a una manovalanza meno sofisticata e, magari, anche più raccogliticcia, come le varie bande armate “bianche”, “rosse” o “nere” o ad elementi della delinquenza comune. Verosimilmente il “contratto” dipende dalla gravità e dalla delicatezza del “servizio” appaltato. Un conto è il reclutamento di giovani teppisti per sfasciare qualche auto o vetrina, un altro è l’esecuzione di un attentato dalle modalità “pseudo terroristiche” e un altro ancora l’occultamento di prove e l’attività di depistaggio…
Il sabotaggio dell’aereo privato di Mattei rientrerebbe perfettamente nella casistica così come, ad esempio, l’attività di depistaggio delle indagini sulla strage alla stazione di Bologna, attuata dai vertici del SuperSISMI piduista (Santovito – Pazienza – Musumeci) con la fattiva collaborazione della banda della Magliana. I mitra MAB, fatti trovare sul diretto Taranto – Milano nei pressi della stazione ferroviaria di Ancona per accreditare la matrice straniera dell’attentato stragista, provenivano dal famoso deposito del Ministero della Sanità. Si sospetta, inoltre, che lo stesso SuperSISMI fosse coinvolto nell’attività criminosa e depistante portata pervicacemente avanti dal solito Chichiarelli per ingarbugliare la matassa intrecciata intorno ai casi Moro e Pecorelli…

In quali vesti e a quale titolo il potente Niutta entra in questa catena delittuosa ? E’ presto detto…
Dopo che Pecorelli venne ammazzato, il tenente colonnello Varisco rassegnò le dimissioni per essere chiamato a ricoprire l’incarico di responsabile della sicurezza della Farmitalia – Carlo Erba da Ugo Nutti in persona. Attraverso Nutti, Varisco conosceva Cefis che in quel periodo era riparato all’estero per evitare le conseguenze di qualche azione giudiziaria ? Nulla lo prova e, tuttavia, l’ipotesi non si può scartare aprioristicamente… In genere, nella solita pubblicistica, si ritiene che l’ex tenente colonnello avesse rassegnato le dimissioni per poter meglio indagare sulla fine dell’amico giornalista, ma questa versione non convince del tutto… Non può essere, invece, possibile che, accettando l’offerta di Niutta, Varisco pensasse di potersi cautelare e di trovare un’adeguata protezione di fronte alla concreta minaccia di venire assassinato per quanto sapeva su molti recenti “misteri” della Repubblica italiana ? La tesi non è certo peregrina…
Ciononostante la prudenza e la cautela non sono mai sufficienti e l’ex tenente colonnello dell’Arma cadde in un imboscata brigatista.
Non sarà riservata miglior sorte allo stesso manager della Farmitalia – Carlo Erba: il 4 novembre 1984 il corpo senza vita di Ugo Niutta verrà rinvenuto all’hotel Grosvenor a Londra. Ufficialmente si tratta di suicidio per overdose di barbiturici: l’uomo sarebbe stato affetto da un male incurabile che lo avrebbe indotto a togliersi la vita. Non tutto torna in questa storia…
Un paio di anni prima, sempre a Londra, un altro opportuno “suicidio londinese” – quello del Presidente del Banco Ambrosiano Roberto Calvi – aveva sgombrato il campo da un altro personaggio scomodo, una mina vagante che avrebbe potuto creare non pochi fastidi ad ambienti massonici e vaticani.
Sempre nel 1984 il potente politico democristiano Toni Bisaglia, vicino a Piccoli e amico del Niutta, morirà annegato al largo di Portofino, sorte che il fratello prete condividerà qualche anno più tardi.

Invece in quegli anni, nonostante le voci che lo dipingono come uomo ormai in disgrazia ed in declino, Eugenio Cefis è ancora vivo e risulta un difficile ritenere che fosse pressoché inattivo…

“Io sono anche per il mantenimento della mafia e della ndrangheta. Il Sud deve darsi uno statuto poggiante sulla personalità del comando. Che cos’è la mafia ? Potere personale spinto fino al delitto. Io non voglio ridurre il Meridione al modello europeo, sarebbe un’assurdità. C’è anche un clientelismo buono che determina crescita economica. Insomma, bisogna partire dal concetto che alcune manifestazioni tipiche del Sud hanno bisogno di essere costituzionalizzate”.

Queste gravi e perturbanti osservazioni e disquisizioni dal carattere politologico non sono state rilasciate dall’ex Ministro Lunardi, bensì dal compianto Professor Gianfranco Miglio meglio conosciuto come la testa pensante ed ideologo della Lega Nord durante un’intervista poi pubblicata dal quotidiano berlusconiano Giornale nel numero del 20 marzo 1999 e acquisita agli atti dalla Procura di Palermo. In quell’occasione il professore svelò alcuni retroscena sul progetto federalista e presidenzialista che venne approntato e coltivato agli inizi degli anni Novanta con il concorso delle cosiddette Leghe. All’epoca si stavano manifestando i primi sintomi di quella irreversibile decadenza della Prima Repubblica che culminerà con i processi di Tangentopoli. La formula del CAF, l’accordo programmatico e di governo fra Craxi, Andreotti e i dorotei vicini a Forlani sta mostrando la corda nonostante avesse risposto agli auspici degli ambienti piduisti o ad esso contigui. Proprio nell’estate del 1990 il governo craxian andreottiano aveva varato la legge Mammì che, più che dare finalmente una sistemazione al sistema radiotelevisivo italiano, riconosceva il fatto compiuto, ossia il duopolio RAI – Fininvest. Una sistemazione legislativa che non poteva non essere gradita a Berlusconi e ai suoi accoliti che, qualche mese prima, erano anche riusciti a strappare all’ingegner De Benedetti la gemma dell’impresa editoriale italiana: la Mondadori.
La particolare congiuntura economica finanziaria e politica del periodo compreso fra la fine degli anni Ottanta e gli inizi degli anni Novanta si presenta in maniera tutt’altro che semplice e rosea…
Da qualche tempo in Lombardia ha messo piede una nuova forza politica, la Lega Lombarda di Umberto Bossi che, oltre ad affidarsi a rozze e volgari manifestazioni razziste e xenofobe, lancia virulenti attacchi contro la partitocrazia imperante ma anche in evidente crisi di consenso. Sull’esempio e ad imitazione delle leghe settentrionali già in via di affermazione, agli inizi degli anni Novanta fiorisce tutta una serie di leghe dell’Italia meridionale, del Centro e delle Isole. L’obiettivo al quale vengono informate pare essere lo stesso che il professor Miglio aveva concepito per Bossi e i suoi soci: la divisione dell’Italia in tre grandi “regioni” federate al Nord, al Centro e al Sud e la creazione di una Seconda Repubblica Presidenziale. Sul versante “meridionale” si ritrovano i soliti personaggi legati alle mafie, alla criminalità organizzata, alla massoneria “coperta” e alla destra eversiva. Accanto al solito Licio Gelli, il prezzemolo dei complotti in salsa italica, scorrono i nomi di Vito Ciancimino – che il figlio Massimo ha descritto come uomo dell’organizzazione GLADIO oltre che come punto di snodo fra la politica democristiana e Cosa Nostra -, di Giuseppe Mandalari, massone e “commercialista” del boss corleonese Totò Riina, il solito Stefano Delle Chiaie, protagonista dell’eversione di destra e della stagione della “strategia della tensione” o anche l’ex senatore socialista Domenico Pittella, coinvolto nel favoreggiamento della brigatista rossa Natalia Ligas. Secondo le numerose testimonianze provenienti innanzitutto dal milieu mafioso, la proliferazione delle “leghe” impegnate in processi “federalisti” e “secessionisti” rientrava nel progetto di destabilizzazione della Prima Repubblica e dei suoi partiti ormai ritenuti inaffidabili e a corto di consenso. In queste manovre potrebbero essere coinvolte oscure lobbies e mai identificati potentati nazionali ed internazionali finanziari ed economici. Contano le solite convergenze di interessi politici, economici, finanziar, strategici e criminali… Intervistato da Augusto Minzolini per la Stampa, l’importante esponente della corrente andreottiana della DC Vittorio Sbardella individua un interesse americano ad assecondare quegli sviluppi: la “Guerra Fredda” è ormai conclusa e l’attenzione degli yankees si focalizza sui tentativi di impedire che si consolidi una nuova superpotenza in grado di fare concorrenza all’Impero Americano. Indubbiamente l’appoggio a movimenti e gruppi che predicano e cercano di conseguire il frazionamento territoriale, ostacola il processo di integrazione europea che, all’epoca dei fatti, suscitava i timori d’oltreoceano dopo un lungo periodo di strumentalizzazione a fini antisovietici.
Forse non può essere una coincidenza che i fatti in questione si verificarono in concomitanza con la grave crisi jugoslava che provocò lo smembramento della federazione passando per una serie di sanguinosi conflitti a cui, probabilmente, diedero il loro contributo forze ed interessi esterni.
Tralasciando, poi, gli interessi legati ai traffici di armi e droga – sempre molto presenti in un paese come l’Italia, vero e proprio crocevia “mediterraneo” -, non va trascurato il “voltafaccia” di quelle forze politiche come la DC ed il PSI che, dopo aver lasciato intendere che il cosiddetto Maxiprocesso a Cosa Nostra si sarebbe risolto in maniera accomodante per i boss, magari con gli aggiustamenti delle sentenze attuati in Corte di Cassazione, cominciarono a percorrere la strada di una più decisa politica all’insegna dell’“antimafia”. Certo da questi “tradimenti” perpetrati da personaggi come l’allora Presidente del Consiglio Giulio Andreotti – a lungo debitore di Cosa Nostra che aveva portato in dote alla corrente democristiana omonima i voti siciliani – e il Ministro di Grazia e Giustizia Claudio Martelli su cui erano confluiti i voti mafiosi alle elezioni politiche del 1987. Proprio il socialista Martelli aveva convinto il giudice Falcone a trasferirsi a Roma e a lavorare alla Direzione Affari Penali caldeggiandone la designazione alla futura Superprocura Antimafia.
A rileggere quanto accadde quegli anni diventa più agevole identificare quella convergenza di obiettivi, interessi e finalità che aggregò diverse componenti e potentati nazionali ed internazionali più o meno criminali. Da quanto è emerso l’ideologo della Lega, il professor Gianfranco Miglio si è imposto per questo ruolo di promotore e motore del disegno presidenzialista e federalista.
In tale prospettiva e sotto questo profilo non riesce difficile immaginare come la Lega Nord e suoi principali esponenti non avessero disdegnato contatti con le loro “controparti” meridionali, espressione della massoneria “deviata” e delle organizzazioni mafiose. D’altronde i convincimenti di Miglio pesano come un macigno e suonano come una legittimazione inattesa della criminalità organizzata di marca meridionale. Sono gli anni degli assassinii mafiosi che decapitano la corrente andreottiana in Sicilia (l’onorevole Lima e Ignazio Salvo), degli orribili attentati con autobomba in cui vengono uccisi prima Falcone e poi Borsellino e della stagione contrassegnata dal terrorismo che colpisce indiscriminatamente le persone, oltre al patrimonio artistico a Roma, Milano e Firenze.
Sono anche gli anni di Tangentopoli e della fine di una classe politica corrotta, decotta e ormai scaricata dagli alleati abituali… Poi verrà Forza Italia, il partito azienda berlusconiano cui molto ha dato il chiacchierato Marcello Dell’Utri, presidente dell’ammiraglia pubblicitaria della “galassia Fininvest”, Publitalia. Come d’incanto il “leghismo centromeridionale” si scioglierà rapidamente come neve al sole, mentre il terrorismo mafioso e paramafioso cesserà di mietere vittime dopo un biennio convulso (1992-1993). I patti che hanno fatto germogliare la “nuova politica” hanno finalmente dato i loro frutti ? La normalizzazione della Seconda Repubblica ha ormai occupato il campo ? Quel che è certo è che dopo la vittoria della coalizione berlusconiana alle elezioni politiche del 1994, le acque si acquietano, almeno sul versante delle problematiche causate dalla varie mafie di casa nostra. Molte pagine della recente storia della Repubblica sono ancora tutte da scrivere…

Quali gruppi di potere finanziari e industriali hanno appoggiato l’avventura “leghista” e “federalista” prima della chiamata alle armi forzitaliota e berlusconiana ? Forse la biografia del professor Miglio può aiutarci a comprendere e a discernere… Cattolico, conservatore, inizialmente piuttosto vicino alle posizioni andreottiane, il futuro ideologo della Lega era stato ingaggiato nel lontano 1967 dal solito Eugenio Cefis per istruire e formare i quadri e i dirigenti dell’ENI. Tale e tanta era la stima riposta nel professore che il buon successore di Mattei lo mandava a prendere alla Malpensa con un aereo privato che, periodicamente, lo conduceva a Roma perché espletasse i suoi compiti… A quanto risulta, pare che l’amicizia nutrita da Cefis nei confronti del professor Miglio non sia mai venuta meno… Dopo aver abbracciato come molti il decisionismo craxiano, Miglio ha annusato i “tempi nuovi” scagliandosi contro le pastoie della burocrazia italiota e contro l’onnipresente burocrazia… Via gli Andreotti, dunque… Via pure i Craxi…
Da anni, invece, su Eugenio Cefis è calato il silenzio: le solite notizie dei suoi spostamenti fra la Svizzera e il Canada. Alla luce del suo oscuro passato, però, è tutt’altro che peregrina l’idea che abbia inizialmente scommesso sul suo antico amico intellettuale e studioso contribuendo a finanziare l’iniziativa con altri amici ed alleati non ancora emersi… Per poi concentrarsi sulla più fattibile impresa del “fratello di loggia” Silvio Berlusconi…
Ripercorrendo il filo degli anni di transito fra la Prima e la Seconda Repubblica si ha la ventura di scoprire che mister Cefis era tornato in Italia per compiere nuove scorrerie speculative apparentemente senza significato (l’acquisto del 2% della società d’aste Finarte Case). Parallelamente si muove anche l’antico collaboratore nell’ENI e nella Montedison, quel Carlo Massimiliano Gritti che si era assunto la responsabilità dell’intelligence interna dell’ente petrolifero ed energetico creato da Mattei. Il suo nome spunta nell’inchiesta milanese sulla maxitangente Enimont, la grande scatola vuota pubblico – privata che aveva rimpinguato le solite casse dei soliti partiti. Ai tempi si ipotizzò che, pur essendo uscito dal gruppo Montedison, il Gritti avesse continuato a seguirne le vicende interne, coltivando un’intesa perfetta con Giuseppe Garofano, elemento di continuità fra il periodo di Schimberni e quello di Raul Gardini. Attraverso una “controllata” dalla sua svizzera finanziaria Pilar, pare che fosse riuscito a tenere un piede dentro la Intermarine, società del gruppo Montedison attiva nel settore industriale degli armamenti.
Al di là delle elucubrazioni e delle supposizioni che possiamo fare dalla nostra umile posizione, è indubitabile che l’affare Enimont rappresenti un altro dei numerosi “buchi neri” della nostra Repubblica, suggellato da ben tre “suicidi” sospetti ed eccellenti: il Presidente dell’ENI Gabriele Cagliari, il supermanager della Montedison Raul Gardini e il direttore delle Partecipazioni Statali Sergio Castellari. Nel caso di Gardini si addensa qualche nuvola inquietante e tempestosa…
Secondo il “pentito” di mafia Angelo Siino il gruppo Ferruzzi aveva potuto operare in Sicilia grazie alla protezione della famiglia dei Buscemi ottenendo il monopolio della produzione di calcestruzzo, mentre, nel corso di un’intervista al periodico QC, il sedicente “gladiatore” Antonino Arconte rivelò che Raul Gardini finanziava l’organizzazione GLADIO della quale egli stesso faceva parte.
Molti dei protagonisti di quella convulsa e indecifrabile stagione sono morti e, difficilmente, se non per altre impervie e malagevoli strade, i morti possono parlare… Lo stesso Cefis è spirato il 28 maggio del 2004 a Milano portandosi nella tomba molti enigmi ed interrogativi.
In particolare, riguardo alla stagione di Tangentopoli e delle stragi mafiose o massomafiose del 1992 e 1993 fino alla”discesa in campo” del Cavaliere le domande permangono, numerose e inevase: chi appoggiò e finanziò le scorrerie “leghiste” delle mafie e della “massoneria deviata” ? Gli stessi soggetti caldeggiarono l’accesso in politica di Berlusconi ? E come si collocano in questo contesto Cefis e i suoi sodali ? Quale sistema si cela dietro l’affare Enimont ? Per quale motivo si avviò e portò avanti l’ennesima “strategia della tensione e delle stragi” ?

Le domande di ieri sono anche gli interrogativi di oggi e di domani…

A ben vedere le solite consorterie, i soliti gruppi di potere e le solite lobbies ricorrono in tutte queste vicende per certi aspetti inenarrabili…

Allora occorre allargare lo sguardo…

Ampliare la prospettiva…

Posare gli occhi anche oltre a al fianco del nostro uomo in “grigio”, così solerte, cupo, risoluto e ambizioso…

Gruppo di famiglia nel Palazzo del Potere…

Chi sono gli inquilini ?

Ecco perché il buon Marcello Dell’Utri dispensa messaggi e allusivi consigli…

E a noi che siamo fuori non rimane che riportare la memoria ad Ostia e a quel corpo straziato…

FINE

HS
Fonte: www.comedonchisciotte.org
11.08.2010

VEDI ANCHE: RITRATTO DI UOMO IN…”GRIGIO” (PRIMA PARTE)

RITRATTO DI UOMO IN…”GRIGIO” (SECONDA PARTE)

RITRATTO DI UOMO IN…”GRIGIO” (TERZA PARTE)

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