RIGASSIFICATORI: QUESTIONE LOCALE E GEOPOLITICA ?

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blankDI ENRICO GALOPPINI
Eurasia

Con questo breve intervento intendo affrontare la questione dei rigassificatori – che tanto, soprattutto a livello locale, fanno discutere – da un punto di vista che trascende le pur comprensibili preoccupazioni di carattere localistico e/o ambientalista che tale questione suscita.

Cominciamo col dire che questi rigassificatori servono a chi ci vuol vendere, trasportandolo via mare, gas allo stato liquido. E questo non è il caso né del gas che arriva dalla Russia né di quello che giunge dall’Algeria… Coi gasdotti, il gas arriva direttamente dagli Stati produttori (Algeria e Russia), le cui società sono a controllo pubblico. Per di più, la trasformazione, per pressione, allo stato liquido (nonché il trasporto via nave), impone un costo aggiuntivo, quindi quei rigassificatori di cui si parla – ed il cui elevato numero (17) configura un progetto vero e proprio – ci darebbero un gas oltretutto più caro…Infatti, il gas naturale si estrae dal sottosuolo sfruttando la pressione stessa del giacimento: si “buca” il terreno che lo tiene rinchiuso e quello risale da sé ad una pressione tanto forte che viaggia dalla Russia ai fornelli di casa nostra senza bisogno di stazioni di pompaggio (quelle invece utilizzate dagli oleodotti). Sia la Russia che l’Algeria, disponendo di gasdotti che giungono fino in Europa, utilizzano questo sistema per trasportarlo. Siccome, però, posizionare un gasdotto sott’acqua è problematico (su scala marittima già ci si riesce, mentre su scala oceanica è ancora impossibile), è stato inventato anche il trasporto in forma liquida. Il gas naturale si può liquefare (GNL) con uno speciale trattamento che, tra le altre cose, prevede temperature bassissime. Il GNL si può poi trasportare con apposite navi-cisterna, ma il ricevente deve disporre d’un rigassificatore.

I rigassificatori sono da alcuni ritenuti pericolosi, perché il gas, passando dallo stato liquido a quello aeriforme, aumenta enormemente il proprio volume. Quel che è certo è che sono costosi, che è costoso il procedimento di trasformazione e che al mondo, per ora, ve ne sono pochissimi.

Chi nell’UE vuole costruirli lo fa in nome della famosa “differenziazione” delle fonti energetiche, cioè per dipendere un po’ meno dalla Russia (ed un po’ più dall’Egitto, che sarebbe il principale fornitore di GNL dell’Italia). Per di più, non si capisce perché il gas dovrebbe arrivare da Paesi lontani (si parla anche della Birmania) quando lo abbiamo molto più vicino. Inoltre, non convincono né la ricerca di una “diversificazione” della provenienza (la “concorrenza” non porta quasi mai risparmi ai consumatori) né la loro “convenienza” (una volta costruito un rigassificatore dicono che il gas costi di meno, anche se ho i miei dubbi considerati tutti i chilometri che farebbe via mare).

E qui arriviamo al punto più importante. La Russia, recentemente, ha patrocinato una sorta di ‘cartello del gas’ con i Paesi del Golfo e con l’Algeria, Paese col quale anche la Cina sta intessendo stretti rapporti commerciali. Appena conclusi importanti accordi russo-algerini, ad Algeri (davanti al palazzo del Governo), l’11 aprile 2007, c’è stato un attentato firmato “Al-Qa’ida per il Maghreb islamico”…

La Russia oggi, dopo la fine dell’Urss (e sino a quella data percepita dai più come una realtà lontana e pericolosa, quasi “orientale”, tant’è vero che “Europa orientale” era chiamata la fascia di Paesi satelliti di Mosca), per forza di cose (basta guardare un atlante) tende ad integrarsi con il resto dell’Europa. Innanzitutto mettendo a disposizione le sue enormi riserve energetiche, ponendo le necessarie premesse per la costituzione di un superblocco europeo che, data la natura eurasiatica della Russia, si proietta come la base per l’integrazione grande-continentale dall’Atlantico al Pacifico.

Le potenze marittime (quelle che vorrebbero portarci il gas via… mare), prima la Gran Bretagna, poi gli Stati Uniti, hanno sempre temuto questi processi d’integrazione, facendo sempre di tutto per tenere divisa, di fatto e idealmente, l’Europa dalla Russia. Infatti sono ancora qua, con le loro oltre 100 basi, quando la scusa per restare (l’Urss) era finita. Così, proprio nel ’90-’91, nasceva il “problema islamico”, prima con l’Iraq di Saddam Hussein (il cui petrolio era nazionalizzato), poi con “Al-Qa’ida”, che guarda caso spunta anche in Algeria dopo che vi sono stati i russi.

Il gioco di chi perora la causa dei rigassificatori è evidente: una strategia per slegare l’Italia, e perciò una parte dell’UE, dalla Russia, ed impedire un’integrazione grande-continentale approfittando dell’appetito dei soliti politicanti italiani (alcuni progetti sono già fermi a causa di scandali), nella loro maggioranza senza alcun senso dello Stato e del bene pubblico, e privi di una visione lungimirante.

Quanto alle proteste, non sono giuste di per sé. Sta diffondendosi la moda di protestare e di opporsi a qualsiasi infrastruttura in nome d’interessi localistici, magari agitando pericoli di carattere ambientale. Tali proteste sono da valutare di volta in volta, sulla base dell’assunto che l’epoca in cui viviamo impone la creazione di grandi aggregati sopranazionali, che per loro natura non possono non essere che grandi-continentali. La protesta contro i rigassificatori è perciò giusta, ma sarebbe auspicabile che chi la guida fosse cosciente che la sua portata va ben oltre i paventati rischi di carattere locale e/o ambientale.

Enrico Galoppini
Fonte: http://www.eurasia-rivista.org
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22.08.2007

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